Il profondo sud di Nina Simone

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Nata il 21 febbraio 1933, Miss Nina Simone era nota a tutti con il nome di Eunice Kathleen Waymon e viveva con la sua famiglia a Tyron, nel North Carolina, in un piccolo quartiere di periferia della comunità nera. Quando era ancora una bambina, all’età di 8 anni, attraversava i binari della stazione ferroviaria e raggiungeva il centro della città interamente abitato dalla popolazione bianca. Andava a scuola, in chiesa, al parco e immediatamente poteva rendersi conto della differenza della qualità di vita che conduceva una persona bianca da una persona nera.

Amante della musica fin da piccola, suonava il pianoforte nella chiesa della cittadina. Era talmente brava che non poté non farsi notare da un insegnante russa che la portò con sé a studiare. Si esercitava otto ore al giorno imparando a conoscere Bach, Beethowen, Motzart. Le sue dita vivevano per la musica classica. Voleva diventare la prima pianista classica di colore in America e ci credeva, ci credeva veramente.

Attorno agli anni ’50, si trasferì a New York per poter continuare a studiare. Tentò l’esame d’ammissione in una delle più prestigiose scuola di musica classica del tempo, ma non fu ammessa, nonostante la sua esecuzione fosse impeccabile. La motivazione – che al tempo ignorò completamente – era di natura razziale. Quando era ancora molto giovane in casa Waymon, sebbene quelli fossero i tempi della segregazione dei neri, non si parlava di razzismo ed ingiustizia, poiché tale stile di vita era in lei così profondamente insito da anni che era oramai impossibile pensare che fosse scaturito da una condizione esterna e che tutto ciò potesse cambiare da un momento all’altro. Ovviamente, questo pensiero mutò quando dovette fare i conti con le grandi città.

Non potendo più studiare, decise di lavorare in locali notturni come pianista e cantante facendosi chiamare Nina Simone. Il successo fu immediato.

Reduce dalla solitudine nella quale era stata costretta a vivere per tutti questi anni, questa volta Nina voleva essere vista e sentita da chiunque. Ricordava quando i genitori erano obbligati a restare in piedi nell’ultima fila, quando andavano ad ascoltarla suonare in chiesa, e non avrebbe mai più permesso che riaccadesse una cosa del genere.

La sua impronta era puramente classica, ma seppe giostrare con qualsivoglia genere che andasse nel blues, jazz, soul, folk, gospel. Era impossibile suonare assieme a lei, non si sapeva mai cosa aspettarsi dalle sue note e dalla sua grinta.

«Voglio scuotere le persone così forte che quando escono dal club in cui mi esibisco, devono essere a pezzi»

Nina Simone

Debutta ufficialmente nel 1958 con I Loves You, Porgy e My Baby Just Cares Of Me. Scala le classifiche nel 1960 con Ain’t Got No, I Got Life raggiungendo le primissime posizioni nel Regno Unito, in Olanda, Belgio, Francia. Arrivò la fama, arrivò l’amore, arrivò una figlia, ma tutto questo a Miss Simone non bastava: voleva avere uno scopo e, arrivò ben presto anche quello.

Scrisse Missisipi Goddam in meno di un’ora e divenne uno dei primi inni per i diritti civili dei neri, assieme a To Be Young, Gifted and Black e Four Women. In seguito al bombardamento di una Chiesa in Alabama che uccise quattro bambini di colore, e l’omicidio di Medgar Evers, attivista americano per i diritti civili, i demoni delle ingiustizie passate rievocarono il dolore di Nina dell’essere una donna nera in America, e decise allora di non voler stare più in silenzio lasciandosi vivere al privilegio che aveva conquistato, ma di combattere assieme al suo popolo come artista e portavoce. Avvertiva la responsabilità di lanciare messaggi, di rispecchiare il dolore del suo popolo. Non poteva ferire con le armi e decise di farlo con la musica. La sua stessa voce iniziò a cambiare, impregnandosi di rabbia e rivoluzione, non tornando più quella di una volta.

«E come si può essere un’artista e non riflettere i tempi in cui si vive?»

Nina Simone

Missisipi Goddam divenne un inno che alla radio eclissarono, ma che accompagnò Martin Luther King nella marcia verso Selma. L’impegno alla lotta dei diritti civili ampliò le conoscenze della Simone: divenne amica di Malcolm X e Martin Luther King, frequentava le loro famiglie e le loro mogli. Trascorrevano le giornate a parlare di politica, cultura, società, capitalismo. Furono momenti di creatività davvero molto importanti per lei. Ciononostante portarono la sua carriera musicale e la sua vita privata ad un declino sempre più vicino.

Diventò rabbiosa, violenta, distante con i colleghi e la sua famiglia. Più di tutto, Nina Simone odiava i bianchi e avrebbe voluto ucciderli tutti.

«I’m not nonviolent» – disse così a Martin Luther King. In alcune sue performance ormai incitava alla violenza, alla rivolta contro gli oppressori, persino all’omicidio; da attivista divenne estremista. Arrivò poi il giorno della morte del signor King e lei restò sconvolta, componendo quindi una canzone che era anche una domanda, desolata e senza speranza: Why? (The king of love is dead). La suonò dal vivo il giorno del funerale e da quel momento non fu più la stessa. I demoni che l’avevano tormentata per anni si facevano sentire più forti, la vita negli Stati Uniti era intollerabile. Decise un giorno di lasciare la sua fede nuziale e scappare con la figlia Lisa, poiché anche la vita di coppia non era più sostenibile.

Nei suoi diari si legge di intensi momenti di violenza subiti da parte del marito ed agente Andrew Stroud. In I Put A Spell On You, è tangibile l’orrore che ella stessa ha vissuto nelle mani di chi avrebbe dovuto prendersi cura di lei. Ma lei non era una semplice vittima. Nina lottava infatti con tutti le sue forze, fino a quando non ce l’ha fatta più. Voleva andare lontano, lontano da quella società intollerante, lontano dalla pressione dell’essere artista attivista, moglie e madre: si trasferì così in Liberia per trovare la sua pace.

«Andrew mi ha picchiato ieri sera: me lo meritavo ovviamente, dopo tutti questi giorni di depressione. È convinto che in realtà io voglia essere picchiata, me l’ha detto lui stesso».

Diari di Nina Simone

Nonostante la Liberia e l’incontro con quello che sembrava essere il popolo più simile a lei, i suoi demoni continuavano a perseguitarla: con la stessa Lisa, sua figlia, fu una madre violenta e aspra, al punto tale da indurre la minore ad andare a vivere per sempre con il padre.

A questo punto della sua vita, anche la carriera della cantante cadde nello sconforto. Nessuno voleva avere nel proprio programma o nel proprio club un’attivista estremista, e così si ritrovò a suonare in piccolissimi bar nei quali era poco pagata e apprezzata. Visse nella miseria, aiutata dai suoi colleghi musicisti che non l’abbandonarono mai. Scoprì in Francia di essere affetta da un disturbo ossessivo compulsivo bipolare, che la indusse a fare uso di pillole, che influenzarono molto il suo modo di suonare, ma fu proprio lì che la tecnica della musica classica divenne per lei ancora di salvezza, cuccia di luce e conforto.

Ritornò sulle scene nel 1978 con l’album Baltimore. Acclamata come mai prima d’ora, eccola che sconfisse la sua paura: il pubblico non si era affatto dimenticato di lei – e come avrebbe potuto? Ritornò in vetta negli anni ottanta, quando Chanel utilizzò come canzone per la sua campagna pubblicitaria la famosa My Baby Just Cares Of Me.

Nina Simone era ormai conosciuta dal mondo come icona della musica Jazz, simbolo dei diritti civili e della lotta femminista, e da quel momento in poi per lei ci furono soltanto riconoscimenti e meriti.

Morì il 21 aprile 2003 per un tumore al seno, malattia con la quale lottò fino al suo ultimo respiro. Le sue ceneri sono ora sparse in differenti luoghi dell’Africa, così come ella stessa ha chiesto, nella terra dei suoi antenati.

«La stella luminosa di Nina Simone era destinata a cambiare per sempre il panorama musicale, tuttavia, secondo me, non ha mai pienamente ottenuto il suo giusto riconoscimento. Fino alla fine ha lottato contro i cosiddetti demoni che la stregavano sia in privato che nel sociale, e la sua vita rappresenta tutto il retaggio del razzismo in America, ma al tempo stesso è anche l’esempio dell’influenza che una persona esercita quando decide di scendere in campo anche contro i pregiudizi più forti e radicati.»

Liz Garbuz, autrice del documentario What Happened, Miss Simone?

Nina Simone e la sua straordinaria musica, il suo profondo sud.

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