Legalizzazione della cannabis: per non fare di tutta l’erba un fascio

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Svegliandosi da un letargico torpore, la Commissione Giustizia della Camera, circa una settimana fa, ha approvato il testo base della legge riguardo alla depenalizzazione della coltivazione domestica di marijuana, consentita esclusivamente per uso personale, rincarando allo stesso tempo le pene per il traffico, la detenzione e lo spaccio di grandi quantità.

In particolare, il testo adottato in Commissione – proponendosi di modificare il Testo Unico sugli stupefacenti, in vigore dal 1990 – annovera cinque articoli, il primo dei quali concede ai soli soggetti maggiorenni “la coltivazione e la detenzione per uso personale di non oltre quattro femmine di cannabis, idonee e finalizzate alla produzione di sostanza stupefacente e del prodotto da esse ottenuto”; il secondo prevede l’inasprimento delle pene relative al traffico, alla detenzione e allo spaccio di grandi quantità di cannabis, stabilendo la “reclusione da 8 a 20 anni” e una multa “da 30 mila a 300 mila euro”, mentre le pene attuali contemplano la reclusione da 3 a 12 anni e multe da 20 mila a 250 mila euro; il terzo articolo, al contrario, riduce le pene per i reati sussumenti il possesso o la cessione di quantità definite di “lieve entità”, con la reclusione fino a un anno per i reati connessi alla cannabis e a due per quelli connessi ad altre sostanze. Inoltre, se il fatto tipico è commesso da una persona tossicodipendente, si applicherà una pena avente ad oggetto i “lavori di pubblica utilità”, come misura alternativa alla detenzione.

Tra gli scranni parlamentari, ancora una volta, si è assistito al ritrito ed ormai consumato spettacolo di chi ostinatamente spegne il lume della ragione, ingozzandosi di un proibizionismo dal sapore irrancidito, la cui data di scadenza è decorsa già da un bel po’; quegli stessi soggetti secondo i quali la depenalizzazione della coltivazione personale di cannabis non è altro che il train d’union per la legalizzazione vera e propria, e, quindi, il micidiale trampolino di lancio per un uso spropositato e costante di ogni tipologia di droga.

Del resto, si sa: la cannabis è un pendolo che oscilla costantemente tra la coltivazione tra le quattro mura e lo spaccio di droghe sintetiche e pesantissime. Siamo al cospetto di un volo pindarico che nemmeno lo stesso Pindaro sarebbe stato in grado di intraprendere, a meno che non avesse immaginato di finire come Icaro.

Eppure c’è chi addirittura dà credito a questi signori dalla dubbia dignità, chi si schianta perpetuamente contro il muro del proibizionismo e, imperterrito, vuole continuare a farlo.

Probabilmente, dall’alto della loro enciclopedica sapienza, questi signori ignorano che intercorre una macroscopica differenza tra ciò che si intende per legalizzazione e promozione al consumo: perché legalizzare non è un licenzioso incentivo ad assumere droga indiscriminatamente; al contrario, non è altro che il liturgico processo di iniziazione per portare alla luce ciò che, fino ad ora, è stato avvolto tra le spire del mercato nero.

Perché è lapalissiano che la legalizzazione delle droghe leggere non comporti l’estinzione del mercato illegale, né l’arresto della produzione da parte delle mafie; ma è noto che il commercio legale di una sostanza permette al consumatore di scegliere se continuare a rivolgersi a spacciatori d’avventura – manovalanza delle mafie stesse – o, al contrario, ricorrere a chi legalmente detiene e vende tale materia, sottoposta ad accurati controlli e regolamentazioni.

Perché il mercato della cannabis soggiace alla ferrea legge di ogni altro mercato: quella della domanda e dell’offerta, e se la domanda sarà soddisfatta sempre e solo dalla criminalità organizzata, i proventi finiranno sempre nelle tasche di quest’ultima.

Al contrario, la legalizzazione non solo spianerebbe la strada ad un mercato trasparente, ma soprattutto sottrarrebbe interi capitali alle organizzazioni mafiose.

Perché è risaputo che le mafie si insinuano nella più striminzita falla del sistema e che, anche qualora si assistesse al miracolo della legalizzazione, esse continuerebbero indisturbate a commerciare illecitamente, ma è anche vero che se non si attua una vendita legale e disciplinata ex lege, le associazioni criminali persevereranno nell’ingurgitare denaro sporco.

E non solo. Legalizzando la cannabis, si creerebbero migliaia di posti di lavoro e, allo stesso tempo, con il sistema tassativo, lo Stato italiano potrebbe godere di ben 10 miliardi di introiti fiscali l’anno.

Ma soprattutto perché l’effetto gateway – compendiabile nel farneticante assunto secondo il quale se il consumo di cannabis procura sensazioni piacevoli, ciò aprirà il varco alla sperimentazione di sostanze più pesanti e dannose, nell’aspettativa di uno stato d’animo di ancora maggior benessere – è solo l’ennesimo dei vaneggiamenti insensati di una certa forza politica. Seguendo le orme di questa congettura, si giungerebbe a credere che chi fa uso delle cosiddette “droghe legali” (tabacco ed alcol), inevitabilmente, per una forma di atavica predestinazione, farà ricorso anche all’eroina o altre forme di droga.

Ebbene, quella stessa forza politica forse non ha le calibrate capacità di comprendere il discrimen che passa tra una mera successione di fenomeni ed un processo, con tanto di nesso causale, vero e proprio: in altri termini, chi fa impiego di cannabis non per forza è votato a usufruire di droghe più pesanti. Ma si sa che siamo innanzi a chi ha lo stesso comprendonio di un mulo, per il quale si rischia di perdere acqua, tempo e sapone.

Altresì, si erige un’altra adamantina differenza tra la legalizzazione e la mera depenalizzazione: la prima è foriera della rimozione di restrizioni legali, autorizzando così la coltivazione, la vendita, la lavorazione e l’uso della cannabis a scopo medico e, talvolta, anche a scopo ricreativo; la seconda, al contrario, concernerebbe la sola eliminazione delle sanzioni penali contro il suo uso, coltivazione ecc.

La proposta referendaria – che nell’arco di soli tre giorni ha raccolto ben 330.000 firme – prevede l’eliminazione del reato di coltivazione, la rimozione delle pene detentive per qualsiasi condotta legata alla cannabis, la cancellazione della sanzione amministrativa del ritiro della patente, implicando così la sola depenalizzazione. Tuttavia, ciò è solo un piccolo primo passo, affinché finalmente si possa fare ingresso in una strada lastricata di diritti, in cui non bisogna più sostenere costi esorbitanti per comprare cannabis, non si va in carcere per aver consumato erba a scopo medico, né si persevera nel finanziare le mafie.

È finito il tempo della repressione.

Che il Parlamento abbia il coraggio di liberarsi dall’asfissiante fardello della ricerca del consenso e prediliga il sacrosanto riconoscimento dei diritti.

Di seguito, il link per firmare online per la proposta referendaria:

Raccolta Firme Online

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