Le trappole del razzismo in questa guerra

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A meno di una settimana dal suo inizio, la guerra Russo-Ucraina ci ha rivelato non solo la fragilità delle dinamiche internazionali e politiche, ma anche quanto sia ancora radicata ed imperante, ad oggi, l’ideologia razzista nel mondo che abitiamo.

All’alba dell’esplosione del conflitto sono iniziate le fughe dei civili dal territorio ucraino: code di macchine, code di persone, in strada, alle stazioni. Sono oltre 500 mila le persone che sono riuscite ad attraversare i confini ucraini per sfuggire alla guerra. Il diritto alla fuga, però, non è per tutti: video e testimonianze si accumulano, per le persone non bianche l’attraversamento del confine ucraino non è agevolato, bensì osteggiato dalle istituzioni di confine. Non è possibile passare. Se inizialmente i respingimenti sembravano avvenire prevalentemente al confine tra Ucraina e Polonia, anche ai confini con Ungheria e Romania il numero di persone non bianche che non riesce ad attraversare i confini sta notevolmente aumentando. Le persone arrivate con fatica al confine polacco sono quindi costrette ad attraversare nuovamente il territorio ucraino, spesso a piedi, per raggiungere altri confini sui quali potrebbero essere, ancora, respinti.

Nonostante le leggi in materia di protezione internazionale chiariscano che in caso di fuga dai conflitti non è necessario richiedere documenti o visti, i controlli alla frontiera avvengono in chiara violazione dei diritti umani. Nei filmati condivisi in rete dai confini dell’Ucraina si sente chiaramente: “prima gli ucraini”. Si aggiungono immagini chiare di forze armate che aggressivamente impediscono a studenti internazionali, così come a donne con bambini, di salire su bus e treni che attraversano il confine, immagini chiare di persone provenienti da Africa, India, America Latina, che non riescono ad attraversare il confine e sono bloccate da giorni in attesa di poter uscire dal territorio ucraino. La resistenza delle forze armate, che con i fucili puntati impediscono il passaggio, ha già prodotto la morte per assideramento di due persone che erano in attesa di poter fuggire dalla guerra. Il presidente nigeriano Buhari, così come L’Unione Africana, hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali sulle evidenti violazioni di diritti umani che impediscono ai cittadini africani di attraversare il confine ucraino in sicurezza e sfuggire così alla guerra: “tutte le persone hanno il diritto di attraversare i confini internazionali durante i conflitti, e quindi di uscire dal territorio per salvarsi dal conflitto in Ucraina, indipendentemente dalla loro nazionalità o identità razziale. […] Tali differenziazioni di trattamento rappresentano azioni scandalosamente razziste e una violazione del diritto internazionale”.

Il 27 febbraio il ministro degli Esteri nigeriano Geofrey Onyeama ha riferito di aver parlato con il suo omologo ucraino Dmytro Kuleba, il quale avrebbe assicurato che le guardie di frontiera ucraine hanno ordine di consentire a tutti gli stranieri di lasciare l’Ucraina senza restrizioni. Ciò nonostante, video ed immagini di persone non bianche bloccate al confine continuano ad accumularsi. La giornalista del The Guardian, Stephanie Glinski, riporta immagini da Lviv, al confine ucraino: “al confine c’è una fila separata per gli stranieri, principalmente persone dall’Africa e dal Medio Oriente. A loro non è garantito l’ingresso nell’UE, al contrario, vengono mandati via. Alcuni sono seduti al confine giorno e notte”, scrive. “Vivo e studio in Ucraina da anni” racconta Loic, un ragazzo originario del Congo, “adesso siamo al confine con la Polonia, vorremmo uscire dall’Ucraina ma non ce lo consentono. Stiamo dormendo in mezzo alla strada, fa troppo freddo, stiamo perdendo la speranza”.

Gli imperativi razzisti non finiscono ai confini della guerra, ma sono più che mai vivi nel linguaggio occidentale e nella narrazione che l’occidente sceglie di produrre sugli avvenimenti di guerra. A meno di una settimana dall’inizio del conflitto Russo-Ucraino sono stati molteplici i racconti di cronaca e le analisi geopolitiche che hanno scelto come strumento di veicolazione il confronto razzista per sottolineare la maggiore gravità del conflitto sul territorio ucraino. Su innumerevoli emittenti televisivi si accavallano i servizi che raccontano di una guerra tragica, che “miete vittime civilizzate”.

Il confronto è spesso esplicito, in un esercizio pubblico di empatia razzializzante: “non stiamo parlando di siriani in fuga dalla guerra, stiamo parlando di europei che fuggono, che ci somigliano, che fuggono in auto come noi”, racconta in diretta il giornalista francese Philippe Corbé, evidentemente gerarchizzando le vittime di guerra in uno sfogo di solidarietà selettiva che non lascia spazio a fraintendimenti: c’è del sangue che conta più di altro. La scelta di questa tipologia di narrazione che decide di mettere a confronto paesi e vittime di guerra è uno sfoggio razzista tutto occidentale. L’AMEJA – the Arab and Middle Eastern Journalists Association – ha rilasciato una condanna pubblica dell’approccio razzista e orientalista dei media che scelgono di parlare di popoli o paesi “incivili” o meritevoli di vivere condizioni di conflitto in virtù di ragioni economiche. 26 febbraio, CBS News, il corrispondente Charlie D’Agata commenta: “questo non è un luogo, con tutto il dovuto rispetto, come l’Iraq o l’Afghanistan, che ha visto infuriare conflitti per decenni. Questa è una città relativamente civile, relativamente europea – devo scegliere queste parole con cautela – una città in cui non te lo aspetteresti o in cui speri che non accada”. Daniel Hannan sul The Telegraph scrive: “sembrano così simili a noi. È questo ciò che rende questa guerra così scioccante. La guerra non è più qualcosa che colpisce popolazioni povere e remote”. Il conduttore inglese di Al Jazeera, Peter Dobbie, dichiara:” ciò che è interessante è che solo a guardarli, il modo in cui sono vestiti, sono prosperi…sono riluttante a usare questa espressione…sono persone della classe media. Questi non sono ovviamente rifugiati che cercano di fuggire dalle aree del Medio Oriente che sono ancora in un grande stato di guerra. Queste non sono persone che cercano di allontanarsi dalle aree del Nord Africa. Queste sono persone che assomigliano a qualsiasi famiglia europea che ti vive accanto”. Kelly Cobiella, corrispondente NBC News: “questi non sono rifugiati dalla Siria, questi sono rifugiati dall’Ucraina. Sono Cristiani, sono bianchi, ci somigliano”.

La guerra sul territorio ucraino viene così costantemente paragonata ai conflitti in altri territori producendo in modo totalmente esplicito e impunito una pericolosa normalizzazione della violenza al di fuori dei confini occidentali.

Ideologie e pensieri razzisti sono quindi alla guida di azioni e narrazioni occidentali e sottolineano al mondo come ci sia del sangue che vale più di altro. Queste azioni e queste narrazioni ci raccontano ancora oggi che ci sono guerre che spaventano più di altre, e persone, in questa guerra, che contano più di altre.

È così che l’occidente si racconta, da questa “civiltà” che tanto ostenta e reclama.

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