Spiagge: bene comune o pertinenza privata?

Tempo di lettura: 7 minuti

Per quest’anno non cambiare
Stessa spiaggia, stesso mare

Mina – Stessa spiaggia stesso mare nell’omonimo album con testo di Mogol – 1963

L’estate è il momento per chiunque per poter approfittare della spiaggia e, se escludiamo chi va all’estero per godersi spiagge esotiche, moltissimi italiani scelgono, prima del periodo di ferie, di approfittare del clima per poter andare nei fine settimana al mare per poter stare al sole, potersi fare un bagno e per sdraiarsi sulla spiaggia.

Intorno a questo rituale, comune dal Nord al Sud, è nato un fiorente settore ricettivo che lavora attivamente tra i mesi di aprile e settembre circa (in base alla zona ed alle condizioni climatiche) e sono numerose le città costiere che sono ben felici di accogliere, oltre ai turisti dell’alta stagione, i bagnanti “pendolari” che scelgono di passare una giornata in spiaggia e che, con le loro spese, permettono delle sicure entrate ai Comuni costieri che tappezzano intere città di strisce blu (escludendo i parcheggi privati anch’essi fiorenti) pagate dai visitatori a peso d’oro, neanche fossero dei garage di un hotel a 5 stelle.

Ma l’italiano, si sa, è stoico e resiliente per natura, sopporta qualunque calamità pur di godersi la propria meritata giornata di svago in un posto di mare, anche al costo di dover pagare di più. Ed infatti intorno agli appassionati del mare e della tintarella vi è un interesse economico capace di smuovere un giro d’affari di miliardi di euro soltanto per questi turisti occasionali, escludendo, quindi, coloro che scelgono per la propria villeggiatura una località di mare ed intorno a cui sorgono servizi alberghieri e ricettivi del più ampio spettro.

Quello che è comune in questo scenario che, pian piano, si sviscera sempre di più, è lo stabilimento balneare, detto comunemente lido. Cos’è il lido secondo le norme? Il lido è una concessione su un bene demaniale perché, giova ricordarlo, il lido del mare, la spiagge e le rade sono demanio necessario dello Stato e, dunque, non possono appartenere a nessun altro che allo Stato quale rappresentante della collettività (art. 822 co.1 Cod. Civ.).

Per questo, le spiagge sono un bene che appartiene a tutti e di cui tutti dovrebbero, in teoria, poterne godere. Ma in Italia la concessione pubblica di un bene pubblico è diventata un’altra tipica storia di rendite di posizione e di privilegio intoccabile: è ben nota la resistenza dei gestori degli stabilimenti balneari a qualsiasi accenno di introduzione della libera concorrenza con gare pubbliche trasparenti che permettano ad altri operatori di poter entrare nel redditizio mercato della spiaggia e questo, rafforzato dalla norma, ora abrogata, del “diritto di insistenza” che, nelle procedure di assegnazione, favoriva i gestori già presenti rispetto a quelli successivi, ha creato un regime semi-privatistico nella gestione di questo specifico bene pubblico.

A Forte dei Marmi (LU), nella foto, la spiaggia data in concessione supera il 90% della spiaggia disponibile.

La nostra normativa sul tema della gestione delle spiagge, del resto, è piuttosto vaga, oltre ad essere particolarmente permissiva sul tema del quanta spiaggia possa venire data in concessione. Difatti, dopo il decentramento attuatosi sin dal 1995 e portato a compimento con la Riforma del Titolo V della Costituzione, la gestione è stata lasciata alle Regioni, le quali si sono regolate in maniera completamente differente tra di loro senza che sia mai stato stabilito, a livello nazionale, un minimo garantito di spiaggia libera. In questa materia la decisione è lasciata alle Regioni ed abbiamo una percentuale di spiagge libere che variano sensibilmente tra le stesse diverse Regioni1.

Negli anni, poi, proprio per il sopracitato “diritto di insistenza” si sono create delle rendite fisse annuali con privilegi che non vengono mai mossi se non dalla compravendita tra privati, impedendo che si realizzi una migliore concorrenza. Ma, oltre ciò, va detto che in Italia vi è una delle percentuali più alte in Europa di spiagge date in concessione; in Francia, ad esempio, per legge è previsto che su tutto il territorio nazionale deve essere garantito che vi sia l’80% e le concessioni possono durare per un massimo di 12 anni, mentre in Spagna una normativa del 2013 ha arretrato le concessioni di molti metri rispetto alla cosa e le spiagge libere sono anche qui l’80%2.

Per cui, nel girovagare tra le (numerose) spiagge sabbiose italiane, il bagnante, prima o poi, è quasi sempre costretto tra l’alternativa di un prezzo altissimo presso uno stabilimento o l’affollamento e la spasmodica ricerca di una spiaggia libera che in Italia è diventata una rarità.

L’infinita distesa di lidi e l’invisibilità della spiaggia libera di Rimini (RN) dove le concessioni occupano il 90% della spiaggia.

Di recente, il governo Draghi ha cercato di porre un freno a questa rendita di posizione degli stabilimenti che esistono da molti anni con l’introduzione di una normativa che miri a rendere effettiva la direttiva Bolkenstein sulla concorrenza anche in questo campo, magari aprendo la strada a nuovi operatori che, in un teorico regime di concorrenza potrebbero permettere una discesa dei prezzi. Inoltre, gli stabilimenti pagano canoni di concessione ridicoli ( in media 5000 euro l’anno, con la metà di questi che pagano meno di 2000 euro3) e lo Stato, a fronte di un giro d’affari stimato intorno ai 20 miliardi di euro l’anno, incassa meno di 100 milioni di euro4. Davvero, per chi ha ricevuto (o ereditato) una concessione balneare si tratta di una gallina dalle uova d’oro e, certamente, non si dimenticano le tasse da pagare e gli oneri, ma, a fronte dei costi, i ricavi di 5 mesi di stagione balneare sono davvero incredibili.

Nella foto la spiaggia di Positano (SA). A Positano c’è una striscia di spiaggia libera in prossimità del molo, scenario affascinante il farsi il bagno in prossimità delle eliche dei natanti.

Ed a questo regime di appropriazione legalizzata di un bene pubblico a cui, in teoria, dovrebbero avere diritto di goderne tutti i cittadini italiani, dai più abbienti a quelli con meno possibilità, si associano numerosi politici che, sia per conflitto d’interesse5 che per puro e semplice lobbying con i gestori, ostacolano in ogni modo sia la razionalizzazione del rapporto tra spiagge libere e quelle in concessione e sia, quando s’affaccia la possibilità che questi quasi secolari privilegi possano venire toccati, sono capaci di fare delle dichiarazioni che non hanno alcuna spiegazione logica.

Difatti, di recente, l’On. Giorgia Meloni, sul tema si è espressa dicendo che “Il Governo Draghi vuole espropriare 30 mila aziende. FdI difende il lavoro e un modello di turismo balneare che il mondo ci invidia6“. Tralasciando la considerazione in ordine al fatto che “il mondo ci invidia gli stabilimenti” (cosa parecchio dubbia, atteso l’andamento delle legislazioni europee sopracitate) viene davvero a galla il controsenso di un partito che si è sempre dichiarato a favore della concorrenza e dei più deboli, eppure, posti di fronte ad una questione che riguarda la concorrenza, la scelta è stata verso la tutela del privilegio quasi privatistico su un bene di proprietà pubblica. In quest’intervento l’Onorevole Meloni ha affermato di difendere il lavoro, quando i salari degli stagionali sono bassissimi e, per tutta l’estate, i gestori si sono lamentati di non essere riusciti a trovare personale perché il Reddito di Cittadinanza ha creato degli “sfaticati” a cui, evidentemente, fa schifo essere pagati meno di 500 euro al mese7.

L’Onorevole Meloni, da politica navigata, dovrebbe ricordare che questo non è un “esproprio”, definendosi quest’ultimo come l’acquisizione da parte dello Stato di beni di privati per ragioni di pubblica utilità (art. 42 Cost.). Al contrario, questo è la ripresa di controllo su un bene pubblico che appartiene al demanio statale, un bene inalienabile che, secondo i principi dell’ordinamento, può essere solo dato in concessione, ed è un argomento fuorviante ritenere che quanto si trovi in un’area demaniale diventi automaticamente una proprietà privata, perché su questo tipo di beni non può mai intervenire l’usucapione.

E, in ogni caso, il Governo non vuole riprendersi (purtroppo) proprio un bel niente8, ma vuole rimettere le concessioni in un regime di concorrenza senza, peraltro, ridurne le dimensioni, mentre la rarefazione della spiaggia “libera” è un processo deciso in ogni singola Regione che continua ad andare avanti, pur con delle eccezioni. Il Governo di Roma, quantomeno, cerca di spezzare un monopolio che dura da decenni in Italia e che ha creato delle posizioni privilegiate, per permettere al libero mercato di funzionare, facendo entrare dei nuovi attori – quello stesso libero mercato che certa parte della destra pare dimenticare nei momenti opportuni, ma che potrebbe, in questo caso, far aumentare le magre entrate statali sulle concessioni e magari portare ad una concorrenza sui prezzi tra stabilimenti e non all’attuale regime simile ad un cartello.

Non è più decente che le persone debbano, per forza, pagare tanto per poter usufruire di una risorsa comune e demaniale, non è più possibile tollerare un regime semi-feudale di impossessamento della cosa pubblica, perché tutti hanno il diritto di poter scegliere se farsi un bagno, come farselo, di poter accedere alla spiaggia libera ed alla battigia senza venire perquisiti all’ingresso di un lido alla ricerca di generi alimentari9 e senza doversi necessariamente svenare o essere costretti a dover sostare su spiagge libere sempre più strette e di qualità inferiore rispetto a quelle date in concessione.

Il regime delle concessioni va totalmente rivisto nel senso di una razionalizzazione a livello nazionale delle percentuali di spiagge che possono essere date in concessione seguendo l’esempio dei paesi virtuosi europei ed eliminando quest’anomalia tutta italiana del “lido” figlio del privilegio e non frutto di uno sfruttamento razionale delle risorse naturali e, ove permesso, del regime della libera concorrenza nell’auspicio, per il bagnante, di avere più scelta e prezzi più bassi per godere di quello che, per legge, è un bene di tutta la collettività: le spiagge.

Fonti

  1. Rapporto Spiagge 2021 Legambiente – LINKPDF
  2. Concessioni balneari e Direttiva 2006/123/EC (cd. Bolkenstein) nel contesto europeo – LINK; uno studio della Camera dei Deputati sul tema – LINK; un Rapporto di Legambiente – LINK; un articolo della LUISS – LINK; un articolo di “Chiamamicitta.it” dal titolo “Come funzionano le concessioni di spiaggia in Europa e le tante bugie dei balneari” – LINK; un articolo di denuncia de “La Repubblica” del 2018 – LINK.
  3. Sul tema si segnalano: un articolo de “Il Fatto Quotidiano” del 2021 dove si affronta anche il tema delle dichiarazioni fiscali mendaci da parte dei gestori ed un articolo de “La Repubblica” di quest’anno. Invece i dati grezzi possono trovarsi sul sito del Ministero dei Trasporti (qui link agli opendata).
  4. Ibidem.
  5. Va ricordato che Daniela Santanché è proprietaria, con Flavio Briatore, dello stabilimento Twinga Beach Club. Lei stessa si rese protagonista del “balletto contro il lockdown” in un momento in cui mancavano i vaccini nell’Agosto 2020. Sul tema un articolo de “Linkiesta” (LINK).
  6. Dichiarazione resa con una trascrizione dell’intervento alla Camera del 18 Febbraio 2022 e resa disponibile sul sito personale dell’Onorevole Meloni – LINK.
  7. Sul tema degli stagionali un nostro articolo dal titolo “L’estate, il lavoro stagionale ed il Reddito sotto assedio” con i dati sul tema.
  8. Concessioni balneari, ddl concorrenza: cosa prevede l’accordo tra Draghi e maggioranza – la Repubblica.
  9. Sul tema un articolo di Fanpage sul caso di Bacoli ad inizio Giugno 2022 – LINK – Sul tema si è espressa anche l’Unione Nazionale Consumatori con una diffida del suo Presidente – LINK.
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