L’utopia concreta di Adriano Olivetti

Tempo di lettura: 7 minuti

Esiste una storia tutta italiana che vale la pena raccontare alla luce dei nuovi modi di fare impresa e della rinnovata attenzione al benessere della forza lavoro.

Quella della Olivetti spa è una storia di avanguardia made in Italy, che solo di rado viene raccontata dai manuali accademici e ancor meno celebrata dai mezzi di comunicazione.

La figura di Adriano Olivetti

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By Unknown (Mondadori Publishers) – Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=41318442

La Olivetti nasce ad Ivrea nel 1908 ad opera dell’ingegner Camillo Olivetti. Sarà la prima fabbrica nazionale di macchine da scrivere. All’epoca la Olivetti contava appena quattro dipendenti, in confronto alla FIAT, nata 10 anni prima, in cui lavoravano circa 50 operai. Sarà a partire dagli anni ’30, quando la direzione della fabbrica passò al figlio Adriano, che la Olivetti inizierà il suo percorso di evoluzione da piccola fabbrica artigianale di macchine da scrivere a grande plant industriale internazionale. A rendere straordinaria l’utopia concreta di Adriano Olivetti fu, in gran parte, la sua formazione accademico-imprenditoriale, fortemente sostenuta anche dal padre Camillo. Nato nel 1901, Adriano conseguì la laurea in ingegneria nel 1924. Subito dopo la laurea entrò in fabbrica come apprendista operaio, per poi partire per un’esperienza nelle principali realtà aziendali americane. Sarà proprio in questo periodo che maturerà in Adriano, dopo averlo provato sulla propria pelle, la convinzione di quanto fosse alienante l’organizzazione scientifica dei tempi e dei metodi di lavoro di stampo Taylorista e Fordista, allora diffusi in America e trapiantati anche in Italia. Insieme alla disillusione politica conseguente al fallimento della rivoluzione socialista degli anni 20, e al venir meno delle promesse di un sistema economico concorrenziale di stampo liberista, che raggiunse il suo culmine con la crisi del ‘29, in Adriano si fece strada l’idea di un’impresa che coniugasse la competitività liberista, con lo statalismo e gli ideali di solidarietà e palingenesi di stampo socialdemocratico. Una terza via politica, culturale e imprenditoriale di stampo liberaldemocratico.

Concezione di impresa

Tali convinzioni ed ideali ispirarono così una visione di impresa che non scartava a priori l’efficienza. Questa sarebbe andata di pari passo con una coscienza collettiva del lavoro. Il profitto, per quanto essenziale, era in subordine a mete di carattere personale e spirituale: parliamo di valori umani, etica, di appartenenza alla comunità verso cui la persona nutre un profondo dovere sociale. Per citare le sue parole, se le persone divengono esse stesse mezzi per il fine unico della massimizzazione del profitto “il lavoro diviene tormento dello spirito perché non serve un nobile scopo[1]. Da grande pioniere quale era, Adriano Olivetti fece edificare nello stabilimento di Ivrea una biblioteca ed anche un centro di formazione. In quest’ultimo gli apprendisti potevano studiare le tecniche di lavorazione e al contempo partecipare a corsi di formazione sulla storia della rivoluzione industriale[2]. La tecnica, unita al sapere storico, rendeva comprensibile agli occhi degli “abitanti della fabbrica” da dove quella stessa tecnica adoperata provenisse, facilitando negli operai la consapevolezza dei suoi meccanismi, della loro posizione e mansione in relazione ad altre funzioni. Tutto ciò conferiva un “perché”, una forte creazione di senso del proprio operato, di completezza e di visione d’insieme della classe operaia e, in ultimo, un profondo senso di identità professionale e di appartenenza ad una fabbrica finalmente compresa. Una fabbrica solidale, così la definirà Adriano, in contrapposizione al distacco e all’assenza di dialogo tipici dello scientific management. Un dolce Fordismo. Restituì l’identità e le vocazioni proprie della persona all’individuo della catena di montaggio, coltivando il talento e le propensioni ad apprendere attraverso il lavoro. Adriano – per primo – aveva compreso la centralità del welfare. La Olivetti fu pioniera nell’introdurre asili nido all’interno degli stabilimenti, servizi medici, reti di trasporto, servizi sportivi e tutta una serie di coperture assicurative. Estese inoltre i due mesi di maternità previsti per legge a nove, introducendo un contributo economico per ogni nascita. Insomma, un sistema di welfare e di benessere sostanziale che non può prescindere da vocazioni e quindi mete proprie di un individuo valorizzato in quanto persona[3]. Adriano era fortemente convinto che la vera realizzazione della persona passasse dal lavoro, ma solo se quest’ultimo fosse stato davvero compreso e intimamente accettato dalla persona nella sua sfera ideale e di aspirazione.

Tutti questi principi saranno alla base di una visione olistica del fare impresa. Una fabbrica che “abbraccia” i lavoratori, che diventa persino materialmente, architettonicamente ed esteticamente funzionale al lavoro e alla vita al suo interno. Saranno molti gli architetti impegnati nella progettazione degli edifici del complesso industriale di Ivrea. In questo Olivetti sarà precursore dei moderni open space, il cui scopo era quello di armonizzare i luoghi di produzione con il territorio del Canavese e favorire internamente la socializzazione tra dipendenti piuttosto che la loro alienazione, sia lungo la linea produttiva, sia nei vari complessi della fabbrica. Ancora, due architetti erano a disposizione dei dipendenti qualora volessero costruire la casa dei loro sogni con gusto e razionalità. La Olivetti di Adriano fu anche la prima azienda in Italia a dedicare un ufficio studi relazioni sociali per la ricerca sociologica di impresa e una delle prime aziende italiane ad avere un dipartimento risorse umane costituito da psicologi, con lo scopo di selezionare del personale e di sviluppare un’organizzazione più morbida rispetto al modello taylorista comunque presente al suo interno[4]. Dal 2018, inoltre, la stessa città industriale di Ivrea è iscritta nel patrimonio UNESCO .

All’esterno la Olivetti non fu da meno. Il marchio si distinse per i suoi curatissimi punti vendita (come nell’immagine iniziale di copertina). Riporta il Sole24Ore in un articolo: << Nel settembre del 1954 la rivista Domus scrive che il negozio Olivetti è una invenzione, è pieno di inediti e di valori poetici. Colpisce la vetrina arretrata, con al centro un piedistallo di marmo verde – estratto dalla cava di Runaz, nel comune di Challand, in provincia di Aosta – sulla cui sommità poggia una Lettera 22. I passanti possono ammirarla ma anche provarla, usarla per scriverci un messaggio da lasciare lì, o da portare a casaPer capire l’emozione suscitata nei consumatori di allora, non dobbiamo andare lontano: pensiamo a quello che abbiamo provato utilizzando per la prima volta un iPad esposto “ai passanti” sui banchi di un Apple Store >>[5]. Eppure a Steve Jobs non è mai stata sconosciuta la Olivetti, anzi, secondo quanto riportato dal quotidiano online dell’UniTorino – The password – <<durante un meeting internazionale Jobs conobbe Mario Bellini, designer collaboratore di Adriano Olivetti e disegnatore del primo modello di pc portatile, la P101, la famosa perottina, presentata a New York undici anni prima, quando Jobs aveva appena dieci anni. In quell’occasione la Apple Computer offrì un contratto a Bellini, il quale rifiutò l’offerta, probabilmente non intuendo le potenzialità dei tre ragazzi americani>>[6].

La ricerca dell’armonia tra le bellezze territoriali e gli edifici della fabbrica andava oltre la company town Canavese e si instaurava in un progetto di ampio respiro politico-economico, che coinvolse anche il Sud Italia. Nel 1953 Adriano Olivetti decise di aprire uno stabilimento proprio al Sud, a Pozzuoli. Questa scelta rientrava nell’ambito dei progetti del suo movimento politico – Comunità – per il risanamento del meridione. In una parte del celebre discorso di inaugurazione nel 1955 Adriano Olivetti affermò:

«Di fronte al golfo più singolare del mondo, questa fabbrica si è elevata, nell’idea dell’architetto, in rispetto della bellezza dei luoghi e affinché la bellezza fosse di conforto nel lavoro di ogni giorno. La fabbrica fu quindi concepita alla misura dell’uomo, perché questi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza».

Insomma, la Olivetti crebbe: sotto la direzione di Adriano alla fine degli anni 50 contava 24000 dipendenti circa. In quelli successivi arrivò ad acquisire l’americana Underwood Typewriter, arrivando ad un totale di 50000 dipendenti. La Olivetti era ormai un’azienda presente in 177 paesi con 18 stabilimenti, escluse controllate e filiali.

Tra le principali invenzioni ricordiamo l’Elea 9003, uno dei primi mainframe computer transistorizzati per il quale l’azienda vincerà il Compasso d’Oro, il più antico e prestigioso premio per disegno industriale al mondo; la Divisumma 14, prima calcolatrice scrivente al mondo in grado di eseguire le quattro operazioni.

Dopo Adriano Olivetti

In seguito alla morte prematura di Adriano avvenuta nel 1960, e a causa di una serie di coincidenze avverse, la Olivetti si approcciò solamente al mondo dell’elettronica, che proprio negli anni ’60 troverà la sua definizione odierna di informatica. Prima che la divisione elettronica venisse venduta all’americana General Electric, però, la Olivetti uscirà sul mercato con un prodotto rivoluzionario, la P101, da molti storiografi considerato il primo desktop PC al mondo, anticipando di molti anni colossi come l’IBM. Fu l’ultimo lascito di un’impresa rivoluzionaria, l’ultimo treno mancato a causa della scarsa lungimiranza della classe politica e dei successivi investitori, in quello che avrebbe potuto essere il nucleo di una Silicon Valley italiana.

Con gli occhi di un nuovo mondo globalizzato – dove la tecnologia rappresenta il principale mezzo di collaborazione tra reti di imprese frammentate e disarticolate – è difficile dire se la Olivetti sarebbe stata all’altezza, se avrebbe fatto quel salto di qualità che oggi hanno consacrato colossi come Microsoft, Google o Apple. Non dimentichiamo tuttavia, che la rete internazionale della Olivetti era ben diffusa, interconnessa da telescriventi piuttosto che da internet. È difficile, dunque, anche immaginare cosa avrebbe potuto essere. Resta, quindi, da raccogliere la grande eredità intellettuale dell’ingegner Olivetti, la sua idea di cura della persona e di impegno sociale di impresa, di molto ai prodromi delle nuove esigenze aziendali sorte con l’era tecnologica e in virtù dei cambiamenti storici che stiamo vivendo.


Riferimenti

[1] Citazione tratta da https://www.fabbricafuturo.it/adriano-olivetti-e-la-concretezza-del-possibile/

[2] Gallino L. (2014). L’impresa responsabile: un’intervista su Adriano Olivetti. Einaudi. Torino.

[3] Ibid.

[4] Ibid.

[5] Tratto da https://www.ilsole24ore.com/art/da-olivetti-steve-jobs-l-apple-store-nato-54-genio-adriano-AEkNoOJF

[6] Tratto da https://thepasswordunito.com/2022/02/02/p101-quando-steve-jobs-rubo-lidea-ad-olivetti/

[7] Olivetti, l’occasione perduta. Podcast de Il Sole24Ore

[8] https://www.fondazioneadrianolivetti.it/bioadrianoolivetti/

Immagini tratte da Wikimedia Commons.

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Psicologo, con esperienza maturata in ambito organizzativo. Ha conseguito la laurea in psicologia del lavoro con una tesi sul work-life balance.
Co-fondatore de Il Controverso, cura la rubrica #SpuntidiPsicologia e scrive di tematiche riguardanti la criminalità organizzata.

"Scrivo perché amo andare a fondo nelle cose"

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