Quella che segue è un’intervista immaginata dove le domande vengono poste a Pier Paolo Pasolini
Vincenzo (V): Diamo il benvenuto a Pier Paolo Pasolini, luminare ineccepibile della storia della cultura italiana. Siamo pronti a sondare questo stupefacente abisso di sapere.
Pier Paolo Pasolini (P): La ringrazio, ma mi sento un letterato umile, non una star devota per i suoi traguardi.
V: Esistono diversi paradigmi potenzialmente formulabili della storia, di cui soprattutto uno si presta ad una sistematica ripetizione della sua multiformità; perciò, è possibile che un giorno il corso degli eventi si palesi nella bontà emotivo-intellettuale che sembra trasparire dal clamore mediatico che si manifesta in occasione di eventi socialmente salienti, o bisogna piuttosto pensare che non sia la sua squallida finzione a generare un ancora maggiore conflitto entro le divergenze sociali, se non altro trattando il tema del conflitto generazionale che separa i giovani dai boomer?
P: Il punto è che tra la frazione boomer e quella degli anni postumi c’è una differenza decisamente marcata. Infatti, si parla di lavoro più ponderato, dello sradicamento della concezione del senso di sacrificio e di maggiore tolleranza per la condizione degli altri. Tuttavia va anche specificato che, affianco alla narrativa del sussidio psicologico risalente ad alcuni anni fa, ci ritroviamo in un paese in cui si muore all’università a causa del senso di altissima competizione in sede scolastica fra gli stessi ragazzi. Allora, chiediamoci se tra la generazione di ieri, per quanto inappropriata la si voglia definire, e quella di oggi c’è tutta questa grande differenza nelle più profonde condotte mentali, nelle vacillanti ragioni umanitarie: la questione concerne più una “colpa” da attribuire alla condotta sregolata dei ragazzi in quanto tali o piuttosto a quel mondo precedente (post seconda guerra mondiale) che continua a ragionare secondo il criterio di un’eccellenza che sarebbe giusto si proclami come inefficiente? Il confine potrebbe essere labile, ma questo non toglie che la Generazione Z stia compiendo passi notevoli nel suo itinerario ideologico.
Ma valutiamo adesso l’attuazione del disegno borghese che ho avuto modo di delineare in innumerevoli opere che caratterizzano la fruizione del mio pensiero, ribadendo il punto chiave del discorso: la borghesia consumista rappresenta lo svuotamento dell’elevazione morale sana che univa gli individui, quantomeno creava dei legami. È vero che si apprezzano attualmente i progressi afferenti alla volontà di promuovere una più accettabile etica del lavoro, della vita, dicendo che dal dopoguerra si avverte incisivamente un cambiamento, una differenza generazionale così acuita, a proposito della quale i giovani pretendono di rivendicare le proprie istanze; persiste però il codice della società dei consumi, poiché i ragazzi sono egualmente immersi in un sistema consumistico (del quale sono pienamente fruitori), anzi più corroborato di quello edificatosi nell’immediato dopoguerra: forse proprio su questo punto focalizzerei la riflessione ancor più intensamente, sapendo che, se c’è una creatura mostruosa che rischia di ottundere necessariamente buone prospettive giovanili, quella è lo spirito borghese, gretto e meschino, del quale dobbiamo provare ad operare una forma di radicale dissociazione.
V: Riprendo il termine “colpa” per procedere alla trattazione del concetto di civiltà della vergogna e di civiltà della colpa, distinzione meravigliosa compiuta dall’antropologa Ruth Benedict e risalente al II millennio a. C., ancora vigente per certi versi nell’Est del globo, se non proprio in Europa. Dunque mi chiedo quanto oggi un individuo abbia il privilegio di esercitare la colpa come cosa propria, come fatto scindibile dal condizionamento della comunità di appartenenza, per quanto gli schemi siano ovviamente mutati.
P: La vergogna è un elemento mai tramontato nella scansione delle cronache sociologiche e più specificamente giornalistiche. In tal senso, ritorna l’imborghesimento della società, il quale, accentuando le differenze, ha incrementato la distanza fra strati sociali: per quanto riguarda questa prassi, la televisione e i giornali sono maestri dell’arte in questione. Infatti, quando capita di compiere un gesto “osceno”, fosse solo per due innocenti omosessuali che si baciano in mezzo alla strada, ecco che in una parte del nostro paese emerge lo scandalo. Il punto è che il senso di una colpa distinta dall’ombra sociale della vergogna è un concetto forse utopico, ad ogni modo possibile solo se la morale diventa l’etica di un popolo e non viceversa. Se un gesto come un bacio omosessuale è un atto d’amore, allora parliamo di un atto moralmente legittimo come anche di un atto eticamente legittimo; tuttavia, finché questi due elementi restano distinti, l’etica e la morale permangono nella loro rinomata separazione semantica. Oggi la società è presentabile palesemente come civiltà della vergogna, seppur declinata in accezione moderna, ove l’Ate sofocleo ancora precipita su “qualche” povera vittima indifesa del dogma sociale, tutt’altro che ridotto, a differenza di quanto si dice in televisione.
V: Quanto può dirsi estesa oggi la censura? E poi, secondo lei, gli italiani serbano ancora lo spirito patriottico che ha reso questa nazione il Bel Paese per quel tempo successivo all’ondata fascista o è più probabile che un certo sentirmelo filo-fascista stia riemergendo nel nostro tempo?
P: Stiamo assistendo ad un fenomeno che non da oggi, ma da tempo si declina come atarassia dal dibattito politico e sociologico diffuso, giacché pare che certi argomenti debbano essere sempre visti come prima ho detto dal basso verso l’alto, che dunque il popolano di periferia debba contemplare il politico di riferimento come colui che è capace di proferire asserzioni senza che la persona umile si presti al vaglio critico dei motivi che hanno mosso quelle affermazioni. In altre parole, presumo che in Italia si possa osservare sdegnosamente il fenomeno che anche Gaber tratteggiava come l’appiattimento delle coscienze, una situazione nella quale a badare alla politica sono solo i politici, la demagogia televisiva, non un popolo alla riscossa, se non fosse per quella fetta di nostri avi e dei giovani, altamente encomiabili: una sorta di fenomeno della massa, della misera plebe al cospetto della quale, al fine di ricevere il consenso ( i famosi numeri) occorre abbassarsi sempre di più, dal momento che “la qualità è nemica della democrazia” (G. Gaber). In tutto ciò, una tendenza al ripristino dei dettami fascisti non è da porsi, giacché lo viviamo direttamente, lodando ancora una volta l’impegno gagliardo dei ragazzi e di chi si adegua per promuovere un’ondata di diversità politico-sociale. Ad ogni modo, badate al vostro futuro, quesito più cruciale della vostra generazione, ove sarebbe bene che il valore della politica sia integralmente recepito: un requisito evidentemente non ancora soddisfatto.