Abbiamo corso per arrivare fin qui e, ora, ci manca il respiro

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La perenne insoddisfazione

Noto una differenza abissale tra i discorsi che faccio ad oggi con le mie amiche e quelli che facevamo una decina di anni fa. Parliamo di quando eravamo “giovani”, dei “vecchi tempi”, dei periodi della nostra vita in cui eravamo spensierate e non ci sentivamo costantemente stanche. E ci lamentiamo, ci lamentiamo di vivere una vita che sembra sempre una salita e che, nonostante i nostri sforzi, non ci porta mai alla piena soddisfazione: chi non riesce a trovare lavoro, chi non è soddisfatto del proprio lavoro, chi vorrebbe una macchina, o una casa, chi qualcuno con cui condividere la quotidianità, chi una famiglia.

Non conosco una persona che sia soddisfatta, su tutti i fronti della vita, pienamente. Questo è impossibile, certamente, e non sempre dipende da noi; ma è possibile vivere una vita in cui siamo mossi dalla tenacia e dalla necessità di perseguire tutti gli obiettivi socialmente imposti, per poi perderci gli attimi di vita?

Ci perdiamo gli attimi di vita perché passiamo la maggior parte del nostro tempo a studiare con lo scopo di prendere il titolo nei tempi giusti, quel titolo che ci porterà alla posizione lavorativa per cui passeremo più di 10 ore fuori casa: lasciare casa la mattina, tornare la sera, preparare la cena, vedersi una serie tv, andare a dormire, per poi ricominciare la stessa identica giornata al mattino seguente.

Correre senza respirare

Abbiamo faticato, abbiamo corso per raggiungere il prima possibile una quotidianità fotocopiata, identica a sé stessa, che si prospetta essere tale per i prossimi 30, 40 anni.

Viviamo nell’attesa del fine settimana, di un aperitivo, di una gita fuori porta, di un viaggio in qualche posto che ci faccia sentire che c’è altro oltre la vita che viviamo ogni giorno.

Questa vita non ci dà tempo, non ci dà ossigeno. Abbiamo corso per arrivare fino a qui e ora ci manca il respiro, c’è solo la stanchezza e spesso la frustrazione, perché non siamo dove vorremmo essere pur avendo fatto tutto come andava fatto.

In questa mancanza di ossigeno, mi sono accorta di quanto siano preziosi quei momenti in cui riesco a respirare, andare al parco in una giornata di sole per fare un picnic, andare a visitare un’altra città, o semplicemente stare a casa a leggere, scrivere, o vedere una serie tv. O non fare niente.

La rivendicazione del tempo libero

L’ozio. Ho un rapporto complicato con l’ozio.

Da un lato, quando passo una giornata all’insegna dell’ozio mi sento un po’ colpevole, penso che mi sto riposando, che sono a casa o su un telo in un parco senza far niente quando la vita è adesso. La vita viene data sempre troppo per scontata: prima o poi chiamerò quell’amica che non sento da anni, poi prenoterò quel viaggio che voglio fare da tanto, poi farò quell’esperienza. È tutto un poi e mai un adesso. Pensiamo di avere tempo, ma il tempo e la vita non sono così scontati. Ho perso delle persone a me care quest’anno, ho sentito e visto la sofferenza e ogni volta mi trovo a giurare di vivere diversamente la mia vita: di fare quel viaggio in Islanda che ho sempre sognato, di fare il volo dell’angelo perché ho sempre voluto vivere quell’esperienza adrenalinica, di uscire il più possibile per godermi i momenti in compagnia delle persone a cui tengo, anche se sono stanca. Ma poi rimando, perché tanto c’è tempo.

D’altra parte, sono fermamente convinta che la noia sia necessaria, il riposo serve per staccare dalla produttività che ci viene richiesta ogni giorno. Viviamo in un mondo velocissimo e iperproduttivo, e quando ci fermiamo abbiamo modo di riflettere, di vederci, di ascoltare i nostri bisogni. La riflessione, il muoversi verso il nostro io, inizia con la noia. L’ozio dà vita al pensiero. È quel momento che ci consente, nella corsa contro il tempo che viviamo tutti i giorni, di fermarci, di respirare.

È difficile trovare tempo e spazi per non fare niente ed essere in ozio senza sentirsi in colpa, in questo tempo basato sull’ottica capitalistica della produttività per cui oziare equivale a non produrre e, quindi, a non valere niente. Eppure, penso sia necessaria una rivendicazione del tempo libero.

La crisi

Nutro molto fastidio nei confronti di chi mi dice “eh vabbè, io all’età tua non mi sentivo mica sempre stanca, avevo già una casa, lavoravo e uscivo”. Ok, complimenti. Perché io intorno a me vedo solo gente stanca, che fatica per ottenere qualcosa e stringe i denti per mantenerla, spesso facendo molte rinunce.

Ho 30 anni, la mia generazione è nata con la crisi; la crisi economico-finanziaria, la crisi climatica. Questa crisi ci è entrata nella pelle, è diventata la nostra crisi. Ed è iniziata una lotta intestina, per raggiungere quella realizzazione personale e professionale. A tutti i costi. E ora? Dov’è la soddisfazione?

Non riusciamo a sentirla, perché non abbiamo tempo di vivere la vita. Il tempo corre, ci sfugge dalle mani; quindi mi viene da chiedermi di cosa sono soddisfatta? Sto vivendo la vita che volevo vivere? È questa la vita che voglio vivere per i prossimi 40 anni?

La sete di tempo

Lavorare meno a parità di stipendio. La Spagna ha introdotto la c.d. settimana corta, che prevede una riduzione da 40 ore a 37,5. La riforma è stata fortemente voluta da Yolanda Díaz – avvocata e politica spagnola, ministra del Lavoro e dell’Economia Sociale e seconda vicepresidente del governo spagnolo – che ha dichiarato: “oggi aiutiamo a far sì che le persone siano un po’ più felici”.

In Italia sono state presentate delle proposte di legge, che mirano a ridurre l’orario di lavoro settimanale, unificate in un disegno di legge attualmente al vaglio del Parlamento italiano.

La notizia dell’introduzione della settimana corta in Spagna mi ha fatto subito pensare a cosa farei in quelle ore. E questo mi ha fatto riflettere su quanto mi sento assetata di tempo. Perché abbiamo fretta di raggiungere quell’obiettivo, quel traguardo, quella tappa, ma siamo sempre insoddisfatti. Ma a cosa serve correre così tanto e lottare contro il tempo? Dove vogliamo arrivare? Se poi non c’è il tempo di vivere ciò che abbiamo.

Tetris

Mi sento risucchiata dal lavoro, dalle commissioni da svolgere il sabato, perché è l’unico giorno in cui riesco a farle, in cui devo fare tutto. Passo la mia quotidianità a programmare sul calendario ogni task lavorativo, ogni attività personale. Perché il tempo è limitato e devi riuscire a incastrare tutto come a Tetris.

Lo scopo del gioco è completare linee orizzontali usando dei pezzi che cadono dall’alto, uno alla volta. Quando si completa una linea, essa scompare, lasciando spazio per nuovi pezzi. Il gioco continua finché i pezzi si accumulano fino alla parte superiore, e non c’è più spazio per farne cadere altri: in quel caso, la partita termina. Game over. Non c’è più spazio.

Le notti bianche, Fëdor Dostoevskij, 1848

“Senti che alla fine si stanca, si esaurisce in un’eterna tensione, quella inesauribile fantasia, perché ti fai uomo, perdi i tuoi precedenti ideali: essi si frantumano in polvere, in pezzi; se non hai un’altra vita, allora ti tocca costruirla con quei pezzi. Ma nel frattempo l’anima chiede e vuole qualcos’altro! E il sognatore fruga invano, come nella cenere, nei suoi vecchi sogni, cercando in quella cenere almeno una scintilla, per soffiarci sopra, per scaldare al fuoco rinnovato un cuore ormai freddo e ridare in esso tutto ciò che prima gli era caro, che toccava l’anima, che faceva ribollire il sangue, che strappava le lacrime dagli occhi e ingannava tanto magnificamente!”

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Dottoressa in Giurisprudenza, abilitata alla professione forense, con un Master in Studi e Politiche di Genere.
Scrive su diritti umani, privacy e digitale, inclusione, gender gap e violenza di genere.
È un'attivista digitale, crea contenuti legali per Chayn Italia, una piattaforma che si occupa di contrastare la violenza di genere utilizzando strumenti digitali. Attualmente lavora come redattrice editoriale per una casa editrice.
> La scrittura è politica: è rivoluzione, rivendicazione, esistenza, rottura.

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