Disagio psichico e talking cure: l’intervento della Psicoterapia Cognitiva

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“Ci sono due tipi di medicina. Quella degli schiavi e quella degli uomini liberi. Quella per gli schiavi (sintomatica) deve rimuovere rapidamente il sintomo, perché possano tornare al più presto al lavoro. Quella per gli uomini liberi (eziopatogenetica) deve capire il sintomo, il suo significato per la salute complessiva del corpo, per l’equilibrio della persona e per la sua famiglia.”

(Platone, filosofo greco, IV secolo a.C.)

La stigmatizzazione e lo scetticismo che fanno da cornice al disagio psichico acuiscono gli effetti implicati nei disturbi: a questi si associa un vissuto personale di timore ed una più generica percezione di inadeguatezza. Emerge da questo quadro una stringente necessità di combattere i pregiudizi legati al disagio mentale, al fine di veicolare un’accettazione che possa portare con sé l’adozione di modalità di intervento non solo farmacologiche, ma anche psicoterapeutiche, maggiormente raccomandate nella prevenzione alle ricadute (salvo eccezioni).

La pandemia globale Covid-19 nel corso del 2020 non ha fatto che incrementare esponenzialmente l’emergenza legata alla salute mentale, con una crescita di disturbi legati al sonno, depressione, timori patologici, anedonia, disturbi d’ansia e di panico (Elma Research Institute, 2020). Il 67% della popolazione italiana riporta di aver esperito, come prima volta nella propria vita durante la pandemia, almeno due dei sintomi sovra-citati.

Il mondo delle talking cures (cura della parola) fornisce una costellazione di approcci psicoterapeutici, i quali condividono tra di loro delle caratteristiche di base comuni.

La modalità terapeutica cognitivo-comportamentale si focalizza sui processi di elaborazione delle informazioni, i processi cognitivi, e le relative strutture di significato (contenuto): la problematicità, intesa come disagio psichico, si ravvisa nelle sue conseguenze emotive e comportamentali, data la stretta relazione che queste ultime intrattengono con i pensieri e le valutazioni cognitive. Ad esempio, se il paziente sperimenta ansia, il terapeuta indagherà gli eventi antecedenti e le valutazioni personali (guidate da scopi e credenze) che innescano il vissuto personale di disagio sperimentato dalla persona. Questo vissuto prende la forma mediante gli schemi cognitivi, dai quali emergerà un corrispettivo stato emotivo, per cui, se la rappresentazione dell’evento è di “ingiustizia”, il paziente sperimenterà “rabbia”. Così, a ritroso, il terapeuta adotta il sintomo, ad esempio un’emozione problematica, come punto di partenza, analizzando gli eventi scatenanti ed il relativo schema di pensiero disfunzionale. A questo pattern di base si possono aggiungere degli effetti secondari, ovvero dei meccanismi che favoriscono il mantenimento delle interpretazioni cognitive, già precedentemente descritte come poco funzionali. Si configura, così, un circolo vizioso che si stabilizza in condotte interpersonali problematiche.

Combattere il disagio psichico adottando misure psicoterapeutiche e non solo farmacologiche, è una scelta che deriva dal riconoscimento dell’efficacia della terapia, testimoniata da diverse ricerche.

L’efficacia della Terapia Cognitiva (TC) ha ricevuto conferme empiriche nell’accompagnare il trattamento di numerose psicopatologie: i pazienti con disturbi dell’umore e depressivi che ricevono solo il trattamento TC presentano una media di miglioramento post-trattamento del 63%, e del 70% per i pazienti trattati con TC combinata ai farmaci. Coloro che hanno beneficiato della TC riportano, in aggiunta, il 50% di probabilità in meno di ricaduta nel disturbo rispetto ai pazienti trattati solo con i farmaci (Hollon et al., 2002). Gli effetti della Terapia Cognitivo-Comportamentale sono risultati più duraturi e protettivi anche nel trattamento di disturbi di panico ed agorafobia, con una minore occorrenza di interruzione prematura rispetto alla farmacoterapia. Inoltre, sembra esservi un miglior rapporto costi-benefici legato alla tecnica psicoterapeutica, in termini di riduzione di disabilità, morbilità (co-presenza parallela di più disturbi) e mortalità, riducendo le spese mediche complessive, a carico del sistema sanitario, di una percentuale che si aggira intorno al 10% (Campbell, Noncross, Vasquez et al. 2013).

Il venir meno dello stigma sociale porta con sé una migliore accettazione del disagio, che può favorire nell’individuo la decisione di intraprendere un percorso. Non meno importante per la persona, è saper accettare che il cambiamento reale avverrà in maniera progressiva, talvolta lentamente. È necessario che il paziente ed il terapeuta collaborino nell’ “ascolto” dei segnali (fisici e mentali), secondo un approccio eziopatogenetico: si approda, così, alla comprensione del significato celato dietro ai sintomi. Il benessere consiste nel raggiungimento dell’equilibrio della persona, su due piani, personale ed interpersonale. Il disagio psichico non è meno reale di tutti i malesseri che possono essere percepiti visivamente.

Riferimenti bibliografici:

Perdighe, C. & Mancini, F. (2008). Elementi di Psicoterapia Cognitiva. Giovanni Fioriti Editore: Roma.

Lingiardi, V. & Gazzillo, F. (2015). La personalità e i suoi disturbi. Raffaello Cortina Editore: Milano.

Campbell, Linda F.,Norcross, John C.,Vasquez, Melba J. T.,Kaslow, Nadine J. (2013) Recognition of psychotherapy effectiveness: The APA resolution. Psychotherapy, Vol 50(1), 98-101

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