Il coraggio di mostrarsi essere umano

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Dell’ansia e delle sue mille sfaccettature non è facile parlare, a volte serve coraggio per urlare come ci si sente dentro.

Spesso si confonde il fatto di essere persone ricche, di successo, o comunque arrivate col fatto di non poter soffrire di problemi psicologici. Chi mai si aspetterebbe che Carlo Verdone, regista e attore di spicco, che con i suoi personaggi ha fatto ridere e riflettere milioni di persone, che ha addirittura diretto un film dal titolo “Maledetto il giorno che t’ho incontrato” in cui tratta tali tematiche sempre in chiave umoristica e dissacrante abbia sofferto di attacchi di panico? Ebbene sì, anche lui ha fatto “coming out”, termine che troppo spesso viene connotato da un’accezione negativa o comunque viene considerato come qualcosa di speciale, quando in realtà dovrebbe essere la normalità poter esprimere il proprio malessere o il proprio orientamento sessuale o qualsiasi cosa uno voglia esternare.

“La prima volta mi è successo l’estate del 2003, a Torino. Sono a letto, la sera, un libro in mano. Comincio a pensare alla giornata pesante che mi aspetta, devo girare Le stagioni del cuore, la fiction che poi si è vista su Canale 5. Un po’ d’ansia, smetto di leggere. Niente. L’angoscia continua, accelera, mi si affastellano gli impegni da lì ai tre anni successivi. E non sono in grado di affrontarli, così, tutti insieme. Devo fare una scena importante la settimana dopo e non la so a memoria, chissà se prenderanno me per l’altro film, ho promesso al mio piccolo Leo che lo porterò al mare… Mio Dio, mio Dio… Ho i battiti a mille, grondo sudore freddo, muoio. Mia moglie si catapulta accanto a me, è spaventata. Sono i venti minuti peggiori della mia esistenza. Quando il medico arriva, scopro che non è un infarto. Mando giù la pillola di ansiolitico che mi prescrive e sto subito meglio. Dura poco. Da quel momento trascorro le ore a rimuginare: “Se mi ricapita?”. E infatti accade di nuovo. Sono in un ristorante affollato, dentro il torace avverto le palpitazioni in crescita. È un altro attacco di panico. Mi alzo con la scusa di una telefonata, esco e non rientro più. Ma dopo una settimana ci risiamo, mentre sono seduto al cinema. Basta, non c’è tempo da perdere, è il momento di intervenire. Mi sdraio sul lettino di uno psicanalista e contemporaneamente prendo gli ansiolitici. Dosi minime, che pian piano elimino. Gli psicologi mi hanno detto che l’analisi, da sola, non poteva essere risolutiva. Così come i farmaci, senza capire le ragioni dell’ansia, sarebbero serviti a poco. Da quando trovo le risposte, mi sento meglio. I miei attacchi di panico, per esempio, avevano una spiegazione. Le tre circostanze in cui si sono manifestati, in apparenza così diverse, erano accomunate da una cosa: mi sentivo in gabbia e non riuscivo a uscirne. A letto era il pensiero di avere davanti una giornata di riprese faticose, sotto un sole ossessionante, e di non potere rinunciare. Al ristorante e al cinema era la presenza di due persone con cui non avevo piacere di trovarmi, che parlavano e parlavano… E io non ero capace di dire la mia, di oppormi. Poi, e non è un caso, era appena morto mio padre. Mi dava sicurezza, anche se negli ultimi anni ero io la spalla su cui si appoggiava. Lui non c’era più. E io ero da solo, obbligato a crescere.”

Queste sono le parole di Alessandro Gassman, famoso attore e figlio d’arte, il quale descrive con una lucida precisione la sensazione che attanaglia il soggetto e che scaturisce da questo problema estremamente invalidante. Si presume che nessuno possa mai aver considerato Alessandro Gassman una persona potenzialmente afflitta da tali difficoltà.

E ancora Nilufar Addati, famosa influencer napoletana nonché ex tronista di Uomini e Donne e tentatrice di Temptation Island, in alcune storie su Instagram ha scoperchiato il vaso di Pandora: ha affermato di soffrire d’ansia e di andare da uno psicologo.

Nel 2020, prendersi cura della propria salute dovrebbe essere ovvio, invece no. Ancora oggi tale argomento è un tabù, poiché in un mondo in cui possiamo ordinare qualsiasi cosa su Internet con un clic, in cui possiamo reperire qualsiasi informazione, in cui ciò che conta è il numero di followers di Instagram, affermare di avere un problema di salute mentale (e non di essere un problema vivente) è un’interdizione, è qualcosa da non dover dire né da pensare neanche lontanamente. 

Non bisogna vergognarsi nel chiedere aiuto.

Nifular Addati, una ragazza che molte persone riterrebbero di successo, ha mostrato con coraggio la sua fragilità e il suo coraggio si è diffuso a macchia d’olio sul mondo digitale, con molte persone che sono state spinte dalle sue parole a riprendere un percorso o a cominciare da 0. Può darsi sia un battito d’ali di una farfalla, ma anche questo può causare un uragano dall’altra parte del mondo. Ha definito il suo problema come il “Mostro” da affrontare con l’aiuto di uno specialista; inoltre, ha affermato che durante questo percorso ha imparato a non opprimere gli altri, perché “non puoi pretendere che una sedia diventi una poltrona” e che non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto.

Le sue parole colpiscono per la semplicità e la schiettezza con cui ha parlato dell’argomento, cosa che è fondamentale per avvicinare le persone a tale questione spinosa e permettere loro di comprendere l’importanza di tutelare la salute mentale al pari di quella fisica.

Direbbero i latini: mens sana in corpore sano. D’altra parte, bisognerebbe svincolarsi dal definire le persone sulla base di una diagnosi, stigmatizzandole e inducendole a vergognarsi; avere mal di testa non implica l’essere una persona da evitare, soffrire d’ansia non implica l’essere sbagliati. Lo psicologo non si occupa solo di curare disturbi, il suo lavoro non richiede necessariamente anni per portare benefici; si occupa anche di trovare uno spiraglio di luce quando il mondo sembra buio (troppo per trovare una soluzione), di far emergere le risorse che sono assopite e quasi dimenticate.

Concludo con la speranza che le persone capiscano che tutti combattiamo con un “Mostro”, quasi paragonabile al classico mostro che da piccoli ci spaventava e viveva sotto il letto; la soluzione, per quanto banale ma efficace, era chiedere aiuto a un genitore per guardare insieme sotto al letto.

Al giorno d’oggi ci sono sempre meno mostri sotto al letto e sempre più mostri che affliggono il benessere mentale delle persone che spesso portano a comportamenti estremi, e penso sia utile tornare a essere bambini e chiedere aiuto a qualcuno di competente per guardare in faccia questi mostri, perché solo guardando in faccia le proprie paure, si può crescere e diventare realmente adulti, ma soprattutto stare bene.

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