Il blackout ragionato delle attività epidemiologiche

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All’alba della seconda ondata pandemica, i media riportano come le attività di tracciamento siano totalmente fuori giri, ma come siamo arrivati a questo punto? Si tratta di un brutto scherzo della sorte oppure abbiamo preparato il terreno per una tempesta perfetta?

È ormai chiaro che i test sierologici sono strumenti indispensabili di screening, tanto per comprendere la prevalenza del virus nella popolazione italiana, quanto per stabilire la priorità nel ritorno al lavoro. Le loro risultanze consentirebbero non solo un focus ad ampio raggio sull’incidenza del virus, portando ad una maggiore consapevolezza delle attività di tracciamento, ma permetterebbero anche la creazione di una sorta di “lasciapassare sanitario”, favorendo così la sicurezza del ritorno a lavoro (anche se, come ha specificato l’Oms, i lasciapassare sanitari non possono permettere agli individui di viaggiare liberamente o di tornare al lavoro senza continuare ad adottare misure di protezione e prevenzione, perché non sono sufficienti a garantire immunità per una successiva infezione).
Questo lasciapassare, basato sul principio teorico dell’immunità naturale, permetterebbe a questa parte di popolazione di tornare gradualmente alle attività produttive.
Le dichiarazioni del presidente di regione dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, nonché Presidente della Conferenza delle regioni, hanno evidenziato l’importanza dei test sierologici, ma hanno anche evidenziato la frammentarietà tra le diverse Regioni, dal punto di vista del tracciamento sierologico.

L’Italia dovrebbe fare una campagna a tappeto in tutto il paese e non solo in alcune regioni…”

Stefano Bonaccini a Piazza pulita 28/05/2020

In questo quadro, l’ISTAT, nel rapporto del 3 Agosto, ha fatto conoscere i risultati dei test sierologici effettuati tra la popolazione italiana tra il 25 maggio e il 15 luglio in collaborazione con il Ministero della Salute e con la Croce Rossa. Dall’indagine è emerso che le persone che hanno sviluppato gli anticorpi sono 1.482.000 ovvero il 2,5% della popolazione italiana:


6 volte maggiore del totale dei casi intercettati ufficialmente durante la prima ondata pandemica attraverso l’identificazione del RNA virale.


I dati raccolti sono molto interessanti per alcuni aspetti: in primo luogo, la metodologia applicata consente di ragionare sulla popolazione che ha avuto infezioni deboli o asintomatiche, poi un ulteriore aspetto dell’indagine permette di sottolineare le differenze territoriali (per esempio in Lombardia il 7,5% della popolazione residente in famiglia ha sviluppato gli anticorpi contro una media nazionale del 2,5%).

“Da sola questa regione assorbe il 51%  delle persone che hanno sviluppato gli anticorpi”


Rapporto Istat “PRIMI RISULTATI DELL’INDAGINE DI SIEROPREVALENZA SUL SARS-CoV-2” – 3/8/2020

Il tema viene affrontato nel mondo politico in termini di utilità/inutilità alimentando caos e confusione, mentre la questione è più articolata di quello che sembra.
A rincarare la dose è intervenuto l’assessore della Sanità della regione Lombardia Giulio Gallera che in una dichiarazione ha esordito con:

“I test sierologici non hanno un valore diagnostico per il singolo e anzi, possono ingannare sulla contagiosità”


Giulio Gallera in premessa alla delibera regionale- 16/05/2020

L’attività di screening è, invece, essenziale per analizzare il problema nella sua dimensione reale. In questo quadro di competenze, spesso confusionario, cerchiamo di fare chiarezza attraverso i dati disponibili e le varie fasi delle vicende che hanno accompagnato queste attività.

COME SONO INIZIATE LE ATTIVITÀ DEI TEST SIEROLOGICI IN ITALIA?

Tutto parte con il decreto del Commissario straordinario Arcuri del 25 aprile 2020, con la nomina dell’azienda vincitrice Abott, aggiudicataria, durante la “fase 2”, della gara per i test sierologici in Italia e fornitrice, a titolo gratuito, nell’ambito della stessa procedura concorsuale, di 150.000 kit per l’attività di campionamento iniziale in collaborazione con Istat e Croce Rossa.
L’offerta del colosso farmaceutico statunitense si era imposta sull’unica altra azienda ammessa nella graduatoria (DiaSorin).

In ambito regionale, invece, le linee guida per i test sono molto vaghe, come affermato dalla richiesta dell’assessore della sanità regionale del Piemonte Luigi Genesio Icardi:

“Sia individuata, a livello centrale, una strategia nazionale, attraverso un provvedimento normativo che identifichi modalità operative e le priorità per gestire in maniera integrata gli strumenti di analisi sierologica e molecolare”


Luigi Genesio Icardi alla commissione Salute della conferenza delle regioni- 14/05/2020

Difatti, per quanto concerne la competenza della distribuzione dei test sierologici, le linee guida del ministero della Salute non sono chiare e, dunque, più che linee guida, hanno l’apparenza di curve confusionarie. Infatti, tutta la gestione delle attività di monitoraggio epidemiologico a livello locale viene affidata alle Regioni e queste si organizzano autonomamente nel tracciare alcune specifiche categorie lavorative e nel lasciare anche ai cittadini privati la scelta di sottoporsi al test sierologico, in accordo con il medico di fiducia.
Ed ecco che, da una catastrofe sanitaria, si passa ad una catastrofe istituzionale.
Secondo l’osservatorio Openpolis (Bandi Covid), sono stati spesi complessivamente circa 600 milioni di euro dalle Regioni per le attività di monitoraggio, in un quadro che , con un eufemismo, può essere definito eterogeneo: l’Emilia-Romagna ed il Piemonte hanno utilizzato i test Rochè e Abbott, mentre la Toscana quelli della Diesse Diagnostica Senese. Quest’ultima Regione ha, poi, iniziato a monitorare il personale sanitario e quei lavoratori che hanno prestato servizio anche dopo il primo Lockdown ed ha, inoltre, collaborato con 61 laboratori privati a cui ha fornito 250mila test sierologici per fare screening. Nel Lazio, Nicola Zingaretti si è affidato a due sperimentazioni: quella dell’Università di Tor-Vergata e quella dell’Istituto Spallanzani. La Lombardia ed il Friuli-Venezia-Giulia, infine, si sono affidate ai test DiaSorin, Azienda di Vercelli, sviluppata insieme all’ospedale San Matteo di Pavia. Ogni Regione ha, quindi, scelto un particolare fornitore nell’ambito della propria autonomia.

E questi dati, purtroppo, sono solo parziali, poiché nonostante gli sforzi e le richieste di trasparenza invocati a gran voce, ad oggi non esiste una classificazione precisa delle spese “straordinarie”.
Questa parzialità delle informazioni genera una conoscenza ridotta sul monitoraggio delle risorse pubbliche e sul loro utilizzo.
E come tutti ben sappiamo, dove vi è un vuoto normativo, il ladro fa dell’occasione un dono.

DIASOR(D)IN, IL CASO DELLA LOMBARDIA TRA CLIENTELISMO E ROYALTIES

L’azienda DiaSorin, nata a Saluggia, è leader globale nel campo della diagnostica in vitro (Ivd) , essa sviluppa e commercializza kit di reagenti in tutto il mondo da oltre 50 anni.
Le origini della società risalgono al 1968, quando a Saluggia, su iniziativa della Fiat e di Montecatini, venne fondata la «Sorin Biomedica» da parte della «Società Ricerche Impianti Nucleari – Sorin», che si specializzò nello sviluppo delle apparecchiature biomedicali dedicate al business della diagnostica in vitro. DiaSorin è stata fondata nel 2000 con un’operazione guidata da Carlo Rosa, che oggi ne è l’amministratore delegato.
La collaborazione tra Diasorin e Regione Lombardia inizia il 23 marzo con l’accordo  fra l’Ospedale San Matteo di Pavia e Diasorin che, assieme, svilupperanno un test sierologico (accordo che comprendeva royalties dell’1% a favore del Policlinico sulle future vendite).
Il 6 aprile la regione Lombardia apre una manifestazione pubblica di interesse per l’acquisizione di 5mila contenitori di test sierologici, con «confezioni da 100 determinazioni», dal valore di 400 euro ad unità.

Il concordato con l’azienda DiaSorin è stato, dunque, raggiunto in pochissimo tempo.
Successivamente, l’11 aprile l’ente regionale che gestisce gli acquisti (Aria) si affida a DiaSorin per ampliare l’ordine “in considerazione dell’offerta allegata”, effettuando un bonifico di 2 milioni di euro a favore dell’azienda per l’acquisto di 500.000 kit sierologici.


2 milioni di euro, il bonifico effettuato dalla regione Lombardia a DiaSorin per l’acquisto di 500.000 kit sierologici.


Su questo tema è intervenuto l’Amministratore delegato di Technogenetics, Salvatore Cincotti:

L’anomalia è che un ospedale pubblico, un istituto pubblico abbia scelto di supportare uno sviluppo di un prodotto, cosa che è lecita, ma lo dovrebbe fare seguendo le normative pubbliche


Amministratore delegato Technogenetics, Salvatore Cincotti a Report 08/06/2020

Nonostante le molte controversie riguardanti l’affidamento a DiaSorin per la fornitura dei kit sierologici, l’accordo ha, al momento, passato il vaglio del Consiglio di Stato, il cui provvedimento si è basato sul fatto che:

“alla luce del bilanciamento degli interessi (…) il pregiudizio che deriverebbe per la Fondazione San Matteo dall’esecuzione della sentenza e che getterebbe nell’incertezza la perdurante validità delle linee di ricerca che l’Istituto sta conducendo (…)  anche in ambiti attinenti alla diffusione epidemiologica in atto” che riguarda il Covid-19 sia maggiormente rilevante e pregnante sul piano cautelare, rispetto al mero interesse dell’originario ricorrente Technogenetics s.r.l., a tutelare porzioni di mercato acquisite nel settore in cui già opera con propri strumenti diagnostici brevettati “.

Ordinanza Cautelare del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 202004270 – estratti

Il Consiglio di Stato, quindi, ha sospeso la sentenza dell’8 giugno del  Tar Lombardo, in cui si era affermato che:

“(…) il Policlinico San Matteo di Pavia ha messo a disposizione beni del servizio pubblico, come le apparecchiature, i laboratori, i materiali impiegati, le conoscenze scientifiche, per “soddisfare un interesse particolare, di cui DiaSorin S.p.a. è portatrice, consistente nello sviluppo e nella realizzazione di prodotti e kit di cui DiaSorin stessa acquisterà la proprietà esclusiva, conservando il diritto di brevettare le invenzioni realizzate e di procedere alla relativa commercializzazione”.

Sentenza n. 1006/2020 T.A.R. Lombardia – estratto

Ad ogni modo, la battaglia legale non si è ancora conclusa nelle aule della giustizia amministrativa: risale, infatti, al 2 Ottobre l’ultima ordinanza del Consiglio di Stato sullo stesso fatto.


Questa vicenda ha, in ogni caso, molte zone d’ombra: ad esempio, il professor Fausto Baldanti, capo del team del Policlinico che aveva realizzato il progetto insieme a DiaSorin, faceva anche parte dei comitati tecnico-scientifici della Lombardia e del Consiglio Superiore di Sanità, aventi il compito di valutare la qualità dei test sierologici. In questa vicenda, quindi, potrebbe emergere un conflitto d’interessi in quanto la sua posizione, all’interno dell’ospedale e della stessa regione Lombardia, permetteva all’azienda DiaSorin di godere di una posizione, quantomeno, privilegiata.

Dopo varie inchieste giornalistiche, il professor Baldanti si è dimesso pur rivendicato la correttezza del proprio operato, ma neanche questo aspetto esaurisce i possibili scandali legati alla vicenda dei test sierologi. Vi è infatti un ulteriore aspetto che gli inquirenti ritengono di dover approfondire: si tratta dell’ostruzionismo esercitato dai vertici della Lega verso gli amministratori locali che avevano scelto test differenti da quello DiaSorin-San Matteo espressamente validato dalla Regione Lombardia (atteggiamento che avrebbe favorito economicamente DiaSorin rispetto alle aziende concorrenti).

Conclusioni

Quando vi è un blackout le cause sono scatenate da una moltitudine di fattori che sovraccaricano il sistema elettrico. Sono incidenti straordinari che possono capitare, ma essendo le cause viziate da giochi di potere, soldi ed accordi, non è legittimo che siano gli ospedali a pagarne le conseguenze.

Questo è un blackout che ha spento quasi 40.000 persone.




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