Giorgia Meloni è (neo)fascista?

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Dietro la retorica un problema della nostra epoca: la ripetizione non è più angosciante

Che siamo immersi in una delle campagne elettorali più volgari e irrispettose della storia d’Italia sembra ormai assodato. È noto a tutti che le forze politiche non appartenenti allo schieramento di centro-destra qualificano questa coalizione, proiettata ad un’inaudita vittoria, come pericolosa fonte del neofascismo. A fomentare questa lettura è, in primis, il Partito Democratico, il cui slogan “scegli” mostra precisamente il contrasto radicale che si costituisce fra “loro” -(neo)fascisti- e “noi” democratici e moderati. Di contro, Giorgia Meloni fornisce alcuni indizi che sembrano avvalorare questa idea: tralasciando il contenuto del programma e limitandosi alla pura simbologia di Fratelli d’Italia il motto “pronti” e l’inconfondibile fiamma tricolore, eredità del MSI, sono inconfondibile segni di una filiazione storico-politica decisamente inaccettabile. L’allarme suonato dal PD riscuote, senza dubbio, un discreto successo, ma riceve, soprattutto, critiche ed attacchi di chi ritiene questa una sporca strategia elettorale che incita a votare contro il pericolo di un ritorno fascista per compensare una carenza di appeal politico verso l’elettorato. Eppure, il pericolo indicato da Letta e colleghi sarebbe di portata radicale, il rischio di vivere dei “nuovi anni ‘30” non può essere sottovalutato né disprezzato.

Se inseriamo questa acerba polarizzazione del dibattito nel contesto di quest’epoca, fatta di rancorosi commenti dei social, invettive mediatiche e insipide analisi pubblicate su Twitter; ci troviamo spaesati davanti alla banalizzazione di una problematica che, se vera, sarebbe di portata epocale. Per raggiungere un giudizio solido e strutturato è possibile, come spesso accade, compiere una certa astrazione dalla mondanità più immediata per rivolgere allo sguardo alla nostro grande e millenaria tradizione filosofica; con la speranza di cogliere, ancora una volta, il presente col pensiero e col concetto. La riflessione deve partire da una domanda e la nostra suona così: «se Giorgia Meloni guida un partito destinato alla vittoria e questo partito è autenticamente neofascista perché ciò risulta ridicolo a molti elettori e non suscita un forte sentimento di timore che deve culminare nell’irrimediabile desiderio di combattere contro questi nostalgici?».

Il problema cruciale che appare davanti ai nostri occhi riguarda la ripetizione del passato, perché non riusciamo a figurarci realmente come neofascista Giorgia Meloni? Perché la minaccia della ripetizione di quella precisa esperienza storica (autoritaria, militarista, omicida e catastrofica) non suscita la più forte paura?

Sono due le risposte ragionevoli: o gli italiani si disinteressano alla storia e si sentono assolti dal crimine del fascismo o essi desiderano autenticamente il ritorno di quel fascismo. Se le guardiamo con attenzione queste due alternative si presentano, in realtà, come reciprocamente escludenti. Il disinteresse verso la storia blocca la possibilità di desiderare il ritorno di qualcosa che appartiene al nostro passato, almeno in maniera autentica. Un’amnesia generalizzata unita ad una collettiva assoluzione aprirebbe le porte, invece, per l’avvento di un “fascismo” inedito; non una versione rinfrescata e aggiornata di quello mussoliniano, ma qualcosa di nuovo.

In un testo del 1844 che sembra infinitamente lontano da noi (si tratta, apparentemente, della religione cristiana e del significato del peccato originale) intitolato Il concetto dell’angoscia, Søren Kierkegaard afferma che «nessun individuo è indifferente verso la storia della specie né la specie verso la storia di alcun individuo» (p. 391). Nell’agire di ognuno di noi, secondo Kierkegaard, si ripete la storia della specie. Non è forse questo ciò che stavamo cercando? Una teoria della ripetizione storica e del rapporto fra individuo e questa? Il testo kierkegaardiano, per quanto lontano, sembra invece ricolmo di possibilità, potrebbe risiedere -in esso- una fiaccola in grado di gettare un’inaspettata luce sulle storture dell’epoca presente.

La grande difficoltà che risiede nell’appioppare a Meloni e al suo partito la spinosa etichetta di fascismo risiede nel fatto che, all’interno del dibattito pubblico odierno, non si pensa più agli eventi storici epocali come a salti qualitativi cui seguono generazioni che vi partecipano in modi più o meno intensi, in maniera quantitativa. D’altronde, se è vero -come sostenevamo in precedenza- che in ogni individuo si ripete la storia della specie, allora ecco che gli atti storici non possono essere letti come azioni che entrano in un “mondo” che funge da contenitore per gli eventi, essi entrano, soprattutto, nella coscienza: non è col fascismo degli anni ’20 che il “fascismo” entrò nel “mondo”, bisogna piuttosto affermare che in quell’epoca il fascismo entrò negli italiani.

Il ripetersi della nostra greve eredità storica dovrebbe essere, di diritto, il ripetersi di questo salto qualitativo. Ogni volta che ripetiamo il nostro passato sul presente attuale trasformiamo una possibilità in realtà; Kierkegaard identifica un preciso termine medio fra questi elementi: l’angoscia. Questa è una «determinazione della libertà vincolata» (p. 421), poiché la ripetizione non consiste in un ingranaggio come un puro movimento meccanico e cieco ma è, piuttosto, il movimento a spirale di un filo che lega il soggetto 2 al soggetto 1. La ripetizione, quando ben fatta, ci coinvolge pienamente in quanto qualitativamente figli di quel passato e ci pone davanti all’angoscia derivante dal fatto che quel passato non è in alcun modo “necessario”. La tutela del passato o -in questo caso- dal passato deriva costantemente dalla capacità della società odierna di collocarsi nella storia e prospettare una direzione futura.

L’epoca presente offre una ripetizione priva di angoscia, la ripetizione non è più angosciante. Le cause sono molteplici: il sentimento di vacuità storica che protraiamo dagli anni ’90, la distanza fra intellighenzia e massa, il declino delle formazioni sociali intermedie e l’effetto frammentante che i social hanno sulla realtà. Un coacervo di ingenuità, cecità e politica naïf  ha prodotto la condizione attuale, in cui non solo indicare un possibile ritorno del fascismo non suscita le reazioni che ragionevolmente bisogna attendersi, ma addirittura si fatica a costruire un’identità del “fascismo” che rimane, così, una sorta di spettro; spaventoso, si, ma irreale. D’innanzi a questa soglia l’appello ad un ritorno ampio e vigoroso di un dibattito pubblico istruito in cui agisca una poderosa riflessione olistica e democratica radicata in alcuni valori non negoziabili non è più rimandabile. Inserirsi nuovamente nella storia, fare del passato “tradizione” e del futuro “avvenire”: in ciò consiste, deve consistere, il piano della classe politica e culturale del paese; solo così potremmo ricordarci, ancora una volta, che i fantasmi esistono.

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Incallito studente di filosofia, sono fermamente convinto che il presente possa essere compreso solo alla luce di idee e concetti del passato.

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