Bluvertigo e la “destrutturazione” dell’umano: “the power of nothing”

Tempo di lettura: 5 minuti

Ho un rifiuto quasi naturale/Forse sono abituato male/ Nel rapporto interpersonale, io/ Leggo, che ci sarà una previsione astrale/ Questa vita è troppo uguale/ Sono stanco di relazionarmi agli altri […] La mia terra è fatta da rapporti umani/ quasi tutti deteriori/ e a volte sono anche deleteri

Dall’album “Acidi e basi”, “L.S.D. la sua dimensione”, 1995

È nella mera e illusoria moralità che l’uomo reprime se stesso e i suoi impulsi più reconditi, come se fossero rughe da celare, pur di non farne emergere la nudità dell’egoismo. Questo si presenta essere il punto nevralgico di quella riflessione che irrompe come shock, stupore della perentoria veridicità decostruttiva dei valori umani. E sono i Bluvertigo, gruppo sperimentale degli anni ’90, distintosi con la penna e la personalità di Marco Castoldi “Morgan”, a sviluppare tale spogliamento, a costo di rivelare quanto scomode e pungenti siano le dimensioni della relazionalità, “deteriori e deleteri”.

Già l’album d’esordio esibisce una spiccata acutezza d’osservazione moralistica, capace di anatomizzare il cuore umano, diagnosticandone la polarità, poeticizzata dalla chimica sperimentale: “Acidi e basi” spiattella, col coraggio di liberarsi dalla crisalide del perbenismo, la più profonda veemenza del “mentire al nostro cuore”. In particolare, il brano “Iodio” attesta, senza remore, l’ammissione dell’odio (traslitterato – chimicamente – in iodio), sciolto dal “tu devi” eteronomo (esemplificato dalla retorica delle domande Bisogna sempre per forza parlare d’amore?”, “Bisogna sempre comunque far nascere il sole?”, “È necessario far credere di fare del bene?”, È necessario alle feste donare le rose?”). L’odio qui si manifesta come sentimento umano e duraturo”, quasi il primigenio sentimento sociale, da dover naturalizzare.

Contribuisce alla tematica qui impostata anche il germe della “psichedelica” musicalità, che contraddistingue – diventandone una cifra stilistica peculiare – la musica dei Bluvertigo, proseguita anche successivamente. Diventa propaggine melodica della consapevolezza, in espansione incrementale, della propria dimensione extra-temporale. O meglio, consapevolezza interiorizzata della condizione umana e morale di esperirsi “fuori dal tempo”:

Non posso fare tutto quello che voglio/ Non posso dire tutto quello che penso/ Non posso esaudire i miei desideri/ La condizione in cui mi trovo è proprio fuori dal tempo/ Non posso dire solo stupide frasi […] Non posso esternare i pensieri strani/ Non posso detestare liberamente/ Anche se a volte avrei buone ragioni […] Mi piace la gente vivace/ Mi piace la gente sincera ma anche quella che mente/ Penso che praticamente sia bella la gente insana di mente  […] Ami tua madre? Hai paura della morte? Ami tuo padre? Ti piacciono le riviste di meccanica?

Dall’album “Metallo non metallo”, “Fuori dal tempo”, 1997

I divieti imposti(si) sono considerati fuori dal tempo, fuori dalla fattualità che condensa la natura umana. La coerente incoerenza del comportamentismo morale è nuovamente esemplificata nel brano, che punge con domande di carattere insidiosamente radicale. “Ami tua madre?” o “hai paura della morte?” mettono in “crisi” le convinzioni scontatamente accettate come effettive, ma che nell’introflessione possono risultare angosciosamente destabilizzanti. Come in “Iodio”, l’elencazione delle impossibilità pratiche viene insidiosamente sfogata e snocciolata, come anche la stessa liberazione dal bozzolo identitario che ci imprigiona. La prigionia dell’io (costruzione interpretativa dell’uomo) viene dissolta da “la crisi”, che affligge chi rimane in possesso di un eccesso di lucidità:

Sto vivendo una crisi/ E una crisi c’è sempre ogni volta che qualcosa non va/ Sto vivendo una crisi/ E una crisi è nell’aria ogni volta che mi sento solo/ So che rimarrò distratto per un po’/ Quindi rimarrò altrettanto distante. […] Molto spesso una crisi è tutt’altro che folle/ È un eccesso di lucidità/ Sta finendo la crisi e ogni volta che passa una crisi/ Resta qualche traccia/ Infatti ultimamente rido per niente/ E non mi nascondo più facilmente/ E malgrado sembri male/ Cambia solo il modo di giudicare

Dall’album “Zero”, “La crisi”, 1999

In tale direzione, nell’album “Zero” sono cumulate alcune delle canzoni più pregnanti del complesso artistico, le quali enucleano le tematiche dei precedenti lavori, intensificandone la maturazione d’indagine. Il brano che dà titolo all’album, in particolare, rafforza la realizzazione per cui la crisi si configura alternativa divisoria tra assopimento e concepimento, circa la comprensione della stessa sovrastruttura dell’io. Difatti afferma che “Anche il solo dire “io” è un messaggio/ senza un’idea non ci si alza dal letto, purtroppo/ Io è un altro/ Lo zero non esiste/ Niente è nulla/ Tutto è mio”.

Conferma, insomma, come il mantello del nascondimento sia stato strappato, in forza all’accettazione di come il “giudicare” si sia identificato come “nucleo” della medesima incoerenza umana, lasciandosi alle spalle l’identità di facciata – la maschera – che perseverantemente si è tentati di indossare. Concentrazione, ritenzione, continuità logiche, pratiche e sociali si riducono ad essere superfluità del “sovrappensiero”, che quasi si rischiara essere la diramazione della natura disvelata dell’umano – fatta di morte, ironia ed emozioni – colta dal superamento delle sovrastrutture pirandelliane dell’esistere plurale.

Cosa rimane al seguito di una decostruzione degna del più perentorio annichilimento?

Il brano del 2001, “L’assenzio (the power of nothing)”, risulta quasi l’esito del tracciamento dissolutivo sistematico, precedentemente presentato, il cui fulcro sembrerebbe essere un mero elenco: “La pioggia, le feste, il dottore, l’alcohol, i discorsi, le moto degli altri, l’acqua calda, il fumo, l’arrosto, costruire una capanna, i massaggi, la crisi, le associazioni, la suora, il prete, gli sposi, la marijuana. […] Le sfide, le vacanze, lo stato, la frutta, i soldi, mangiarsi le unghie, gli amici imborghesiti, Sadomaso, l’erba voglio, cibo giapponese, i dischi, capire Battiato, film d’orrore, le case chiuse”. Tuttavia, si configura quasi criptico per motivazione e struttura, in quanto la psichedelia che la distingue giunge alla ambiguità della natura che caratterizza queste “cose”.

L’oggettualità stessa risulta rilevarsi come Niente che, non solo predica il medesimo brano – the song of nothing – ma squarcia l’ascoltatore manifestandone il potere (“power of nothing”). Non si coglie se si tratti del potere “di niente” – cioè che non parli di nulla – o “del niente” – come se il sopra riportato elenco valesse nulla. Forse, piuttosto che riferirsi alla “cosalità” in sé, si riferisce alle abitudinarietà umane, inquadrate nel quadro destrutturato della denudata socialità, intesa come il niente che sostiene la maschera che la morale permette di calzare.

I Bluvertigo puntano pienamente al passivo nichilismo del disgusto e della critica?

Per cogliere questo passaggio bisogna prendere in esame un brano con cui i Bluvertigo tornarono, a distanza di quindici anni, al festival di Sanremo. Presentarono, in tale occasione, il brano “Semplicemente”, che ripropone un approccio diverso alle “cose”, fondato sull’artisticità:

Televisione banale/ Acqua che scorre mentre leggo il giornale/ Camminare col cane sull’argine del canale/ Telefonare per prenotare/ Caffè e ginnastica sul pavimento/ Arrotolare il tappeto/ E dimenticare l’appuntamento/ A quasi averlo fatto apposta/ E semplicemente anche un fatto da niente/ Attraversato dalla corrente nello spazio e nel tempo/ Nasce piccolo infinitamente/ Poi diventa troppo importante

Dal brano “Semplicemente”, 2016

La canzone attesta la capacità di cogliere la poeticità delle cose, della loro semplicità, da intuire “semplicemente”. L’arte diventa “lente che diverge le esperienze, anche quelle dolorose e luttuose” 1, tale da infondere una “corrente” che superi la sconnessione dell’essere “fuori dal tempo”, partorendo un “piccolo infinitamente”, sovratemporale ed eterno.

Insomma, la conclusione che pare pervadere la destrutturazione che i Bluvertigo mettono in campo è di “svincolarsi – come afferma uno dei capolavori del repertorio di Morgan, “Altrove” – dalle pose, dalle posizioni”:

Ho deciso/ Di perdermi nel mondo/ Anche se sprofondo/ Lascio che le cose/ Mi portino altrove/ Non importa dove […]Applico alla vita/ I puntini di sospensione/ Che nell’incosciente/ Non c’è negazione/ Un ultimo sguardo commosso all’arredamento/ E chi s’è visto, s’è visto

Dall’album di Morgan “Canzoni dell’appartamento”, “Altrove”, 2003

Perdersi nel mondo, tra le cose – accettando anche il rischio di sprofondare – facendosi travolgere dalla vita stessa e dalla sua poeticità: questo è quel che il brano, partorito nella contestualizzazione di un appartamento, perfettamente incarna. Simboleggia, in tal modo, la forte energia dell’artisticità che invade la quotidianità, lasciando che lo “spirito si liberi nell’aria, trovi la sua dimensione eterna”.

Sarà questa la forma nodale dell’ultimo album d’inediti di Morgan – in uscita prossimamente – realizzato a partire dal libro di poesie “Parole d’aMorgan”, in cui si estrinseca l’applicazione dei “puntini di sospensione” di qualche anno prima, di quella stessa poeticità che si manifesta essere la sua pienezza artistica2.

  1. https://youtu.be/1s6Pe1aZXiM?si=ZEQ9MkY0s30rLJZI ↩︎
  2. “Parole d’aMorgan” di Marco “Morgan” Castoldi, con commenti di Pasquale Panella, edito “Baldini+Castoldi”, 2022. ↩︎
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