PL490: la legge controversa che minaccia i diritti delle popolazioni indigene in Brasile

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Il Brasile vanta oltre 305 tribù indigene; un patrimonio culturale che spesso si sottovaluta. È da sempre risaputo che il ruolo di questi popoli legati alla madre terra e alla loro sussistenza è il punto che collega la preservazione di microsistemi naturali.

Sono sempre di più, infatti, gli studi che dimostrano che rispettare adeguatamente i diritti territoriali indigeni e riconoscere a questi popoli la gestione delle loro terre è il modo più efficace ed economico per proteggere l’ambiente. I popoli indigeni sono i migliori conservazionisti e custodi del mondo naturale.  Un importante studio nel 2016, nato dall’Iniziativa per i diritti e le risorse, il Centro di ricerca Woods Hole e l’Istituto delle risorse mondiali, afferma che le terre indigene contribuiscono a ridurre l’effetto serra, riducendo la deforestazione, con un impatto positivo sull’ambiente ed evitando l’emissione nell’atmosfera di circa 31,8 milioni di tonnellate di anidride carbonica.

Dopo le elezioni brasiliane che vedono il 1° gennaio 2019 la vincita di Bolsonaro, un politico di estrema destra filofascista, ci sono state moltissime ripercussioni negative sul tema della tutela delle tribù indigene: nonostante la Costituzione del Brasile riconosca ai popoli il diritto di “occupare le terre che tradizionalmente occupano senza limiti di tempo”, si afferma anche che: “delimitare i territori e proteggerli è una decisione che spetta al governo federale”.  

L’ascesa dell’ex presidente e delle sue idee di estrema destra hanno reso terreno fertile per l’invasione delle terre da parte di agricoltori e trafficanti di legname. Bolsonaro aveva infatti minacciato di smantellare il FUNAI, il Dipartimento agli Affari Indigeni del governo incaricato di proteggere le terre indigene regolato dal decreto nº 1.775/96, riconoscendolo come un ostacolo all’agro business. Durante il suo governo, il numero dell’invasione di bande criminali e di miniere illegali, insieme al mercato illegale dell’oro, è cresciuto notevolmente. I minatori hanno devastato il territorio, terrorizzato le comunità yanomani e provocato una catastrofica crisi sanitaria, dove il Ministero della Salute, a gennaio 2023, dichiarò la situazione “Un’emergenza di Sanità Pubblica di importanza nazionale”. A causa della mancanza adeguata di assistenza sanitaria, in particolare di bambini morti per denutrizione e contaminazione di mercurio a causa della sua estrazione illegale, la situazione fu definita dal nuovo Presidente Lula: “un vero genocidio”.

Nonostante la caduta presidenziale di Bolsonaro e l’ascesa di Lula nell’ottobre del 2022, la tutela degli indigeni è ancora ad alto rischio.

La recente approvazione del progetto di legge PL490 da parte della Camera dei deputati brasiliana è stata considerato da parte dell’associazione Survival, che si occupa delle tribù indigene nel mondo, “l’attacco più grave e feroce ai diritti indigeni degli ultimi decenni”.

La Camera dei Rappresentanti ha approvato il disegno di legge – con 283 voti favorevoli e 155 contrari – secondo cui, spiega il deputato federale Arthur Oliveira Maia, per essere considerate tradizionalmente occupate, si deve dimostrare che le terre in questione, alla data della promulgazione della Costituzione (1988), erano allo stesso tempo abitate su base permanente con attività necessarie per la conservazione delle risorse ambientali e la riproduzione fisica e culturale. Secondo il deputato, quindi, se la comunità indigena non ha occupato un certo territorio prima di questo lasso di tempo, indipendentemente dalla causa, la terra non può essere riconosciuta come tradizionalmente occupata. Nel suo discorso, sottolinea che: ”Il disegno di legge approvato garantirà la certezza giuridica per i proprietari terrieri, compresi i piccoli agricoltori”.  Molti deputati si sono opposti al disegno di legge. Il leader del PSOL, Guilherme Boulos, sostenendo i diritti delle popolazioni indigene e la tutela ambientale in risposta ha affermato: “Il lasso di tempo va contro ciò che viene discusso a livello internazionale, sullo sfondo della conservazione ambientale e la difesa dei popoli indigeni”.

Tuttavia, nonostante l’esistenza di così tante leggi che garantiscono i diritti indigeni di fronte alla proprietà della terra, questi diritti spesso non vengono rispettati. Il possesso della terra è la causa principale dei conflitti nelle comunità: molte terre indigene vengono invase e le loro risorse naturali sfruttate illegalmente. Circa l’85% delle terre indigene subisce una sorta di invasione, e questa stima è accettata dal FUNAI.

Nel 2009 la Corte Suprema stabilì diciannove condizioni per delimitare le terre dell’area indigena Raposa Serra do Sol, rafforzando che il concetto di terre indigene deve avere come riferimento il luogo abitato dagli indiani.  Un altro esempio più recente si è verificato tra indigeni e ruralistas nello stato del Mato Grosso do Sul con un problema di terra che si trascina dal 1880. Il confronto ha avuto luogo nel 2016 a Caarapó, quando gli indigeni hanno cercato di riconquistare una zona che si trova all’interno della terra indigena Dourados Amambaipeguá I e dove gli agricoltori hanno cercato di fermarla. In questo confronto, un indiano è morto e altri sei sono stati feriti

La situazione attuale che si è venuta a creare all’interno dello stato brasiliano è dunque un grave campanello di allarme, come la società Survival ribadisce, e ci fa pensare a come in realtà la sconfitta del ex presidente non ha comportato ad un vero e proprio cambio di rotta.

Il progetto di legge, infatti, favorisce il Marco Temporal (o “limite temporale”): uno stratagemma escogitato a favore delle aziende secondo cui i popoli indigeni che non potranno provare che si trovavano sulle loro terre alla data del 5 ottobre 1988, quando fu promulgata la Costituzione, non potranno mai più vedersi riconoscere i loro diritti territoriali.

Il PL490 straccia le tutele legali delle terre indigene, dando alle grandi aziende e alle bande criminali che reggono il traffico del legname e le attività minerarie ancora più libertà di invadere i territori indigeni e farvi ciò che vogliono. 

Maria Laura Canineu, direttrice del Brasile di Human Rights Watch, sostiene: “I diritti delle terre indigene non iniziano né finiscono in una data arbitraria. L’approvazione di questo disegno di legge sarebbe una battuta d’arresto inconcepibile, violerebbe i diritti umani e segnalerebbe che il Brasile non è all’altezza dei suoi impegni di proteggere le comunità che hanno dimostrato di proteggere al meglio le nostre foreste.”

Le legge, oltre ad eliminare i territori indigenti sostituendoli con miniere, pozzi petroliferi ed altri progetti industriali, permetterebbe il continuo disboscamento dell’Amazzonia (nel 2022 si stima siano stati sradicati 21 alberi al secondo). Nell’ultimo rapporto di MapBiomas (Osservatorio sul Clima), si stima che l’area disboscata in Brasile sia cresciuta del 22,3%: parliamo quindi di oltre 2 milioni di ettari disboscati solo nel 2022, senza considerare gli anni precedenti.

Centinaia di territori con oltre un milione di persone potrebbero andare distrutte e questo non è solo un grave danno territoriale, ma anche culturale e patrimoniale. Questi popoli vanno preservati, non solo perché il loro eccidio è contro i diritti internazionali, ma per coscienza – sia su base nazionale che internazionale – che la loro ricchezza valorizza le diversità etniche del nostro mondo.


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