La Repubblica del trash: quando il trash diventa concetto

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Trash. Una parola, anzi un concetto, anzi di più, una assidua categoria che tutti abbiamo ormai impressa nella nostra coscienza e conoscenza.

A volte anche ai posteri, dopo esserne stati o, tristemente protagonisti attivi e/o passivi nell’infraordinario; nel comune spettacolo della vita quotidiana o, altrettanto spiacevolmente, dopo esser stati succubi dell’invasione Trash…invasione che avviene principale sui social ed in tv.

Ma cos’è davvero il Trash? Come è arrivato ad essere un concetto mentale, prima ancora di un termine? A cosa rimanda e come eventualmente, se possibile, contrastarlo?

Innanzitutto trash, secondo la definizione Treccani, è ciò che è caratterizzato da cattivo gusto, volgarità: si tratta di temi e soggetti scelti volutamente e con compiacimento, per attirare il pubblico con tutto ciò che è scadente, di bassa lega, di infimo livello culturale. Orientamento del gusto basato sul recupero, spesso compiaciuto e esibito, di tutto quanto è deteriore, di cattivo gusto, di pessima qualità culturale. Questo è ciò che si intende etimologicamente, quando si usa il termine Trash.

Una volgarità quindi, un qualcosa di cattivo gusto e pessima qualità che però ci circonda nel quotidiano, pervade la nostra mente, ci viene propinato sui social e dal quale morbosamente, non sempre consapevolmente, siamo indubitabilmente attratti.

Il Trash e la sua sottocultura sono diventati di dominio pubblico a causa della televisione e del suo volgere sempre più a strumento di intrattenimento grasso e commerciale, ma quello sulle responsabilità della televisione è un tema che la società porta con sé dall’inizio dell’invenzione dello strumento e che meriterebbe un posto a sé nella riflessione. Ci limiteremo a dire che il medesimo dibattito ha oggi un’emigrazione sui social, che, stando alle tendenze, prevede un risvolto risolutore analogo.

Per quanto riguarda la tv degli anni contemporanei, o meglio ciò che rimane dell’inserto televisivo, vista la trasmigrazione, come detto, verso un uso social, sempre più dinamico e free, è per di più una tv commerciale e di bassa lega. Governata da ragioni consumistiche e commerciali, da politiche neo ed iper liberiste, che della libertà d’opinione fanno un vanto, a patto che si opini obbedendo al totem ascolti, che è uguale ad introiti. Un settore commerciale dove si intrattiene, ma si offre un intrattenimento barbarico dettato dal consumismo del pubblico, che finisce con l’impigrirsi mentalmente e sprofondare in ciò da cui siamo attratti masochisticamente e cioè il trash, finendo per apprezzarlo anzi di più, per richiederlo.

Sono un esempio programmi recenti in Italia: quelli della D’Urso e della De Filippi. Contenuti frivoli destinati ad un pubblico di un certo tipo: il pubblico dell’infraordinario. Un pubblico che ha bisogno di scuotere giorni grigi, sempre uguali, monotoni e lagnosi, un bisogno che trova nelle signore della televisione commerciale uno sfogo, una boccata di frivolo eccitamento. Sono storie, storie di vissuti che non sono le nostre, ma ci somigliano, sono storie di gente comune alle prese con problemi simili, ma non sono i nostri problemi, quindi avidamente li cogliamo li osserviamo, giudichiamo, cerchiamo di trarne esperienza e poi… li ammiriamo. Tutto in un tono di burla e burlesque.

Ecco, il trash prende forma, si annida nella mente. Assume un corpo, una forma, una voce uno stereotipo…è fatta, siamo dentro fino all’orlo e ne abbiamo bisogno. Deve farci evadere. Cerchiamo spazzatura altrui per non guardare la nostra, che ci circonda ci invade, ci soffoca.

Come ai protagonisti del trash che, a nostra differenza, cavalcano quella sub cultura ed immondizia, quasi domandola, facendone una virtù e non un vizio in un clima giocoso, quasi comico, festaiolo.

Siamo stati educati a vedere il trash come una virtù anziché un vizio. Vogliamo il trash, perché è una virtù raggiungibile apparentemente, mentre, invece, altro non è che un inganno del commercio, una farsa ad hoc per un pubblico, una storiellina che si racconta al bimbo per farlo dormire. Il Trash ci impigrisce e segnala il problema dei nostri tempi.

Lo aveva capito oltre 25 anni fa Karl Popper, il filosofo austriaco, quando si scagliava contro l’uso improprio della tv. Popper, infatti, attribuiva alla televisione la capacità di agire sul pubblico in maniera inconscia, finendo per educarlo, imponendo modelli di riferimento e gusti individuali o spingendolo ad adeguarsi in modo passivo a certi standard di opinione e di comportamento.

Egli era convinto che non esistesse differenziazione reale tra informare e educare: ogni notizia, ogni informazione, ogni programma che parla di qualcosa, in un certo qual modo sta educando lo spettatore.

Attraverso programmi diseducativi, portatori di messaggi sbagliati, il sistema televisivo rischia, anche proprio malgrado, di diffondere la violenza nella società, provocando un non progresso della società stessa.

Il meccanismo consiste nel fatto che si rischia di confondere la finzione con la realtà, cedendo a una visione irreale della vita, appunto come capita col trash, prendendo per buono il vizio e goliardia una sub cultura, o anche trovare comici comportamenti che adottati nella vita reale sono conseguenza di atti violenti, fisici o verbali.

Un programma recente, accusato di far passare messaggi sbagliati, ma difeso da una parte del pubblico, proprio in virtù della pseudo comicità in cui i messaggi venivano introiettati nelle nostre menti, è quello dei comici Pio e Amedeo, andato in onda sulle reti mediaset.

Molti hanno derubricato la loro come comicità politically uncorrect, ma in verità quello era non altro che un uso improprio della tv, colorato di una  comicità  che era becera, non buffa come il concetto stesso della comicità prevede, non satirica ma bassa, ignavia. Efficace su un pubblico pigro o stanco del male opposto, ovvero del prendersi troppo sul serio. Due estremi dannosi ugualmente.

Ancora una volta il trash si mostra, ma stavolta nella sua vera natura: spazzatura dannosa e finzione distopica.

Il pubblico trash della tv si dimostra pigro e educato, male per dirla alla Popper, ma vi è un altro pubblico: quello social, su cui il fenomeno trash ha un impatto differente e non eterogeneo e merita una riflessione a sé.

Il pubblico dei social, oltre a Facebook, è per lo più giovane e giovanissimo.  Il trash in questo caso ha un effetto simile a quello della parodia, del burlesque: il travestimento, la finzione.

Per chi usa i social moderni (instagram, tiktok, lo stesso facebook) appare chiara, molto più che al pubblico televisivo, la messa in scena di una grottesca commedia. Il trash è visto con ilarità, come un qualcosa non da prender a modello, ma piuttosto da deridere, un vizio da guardare con simpatia, perché in fondo non bisogna prendersi troppo sul serio. Uno sfogo di divertimento. Tutto ciò, tenendo conto della farsa in cui i protagonisti del video o momento trash si trovano.

Pensiamo a casi come “la signora da Mondello” o il senatore Razzi: personaggi, macchiette che sono, a volte loro malgrado, finite con essere noti grazie al trash e presi come trend comico del momento. Poi di nuovo mamma tv ha pensato bene di renderli “celebri” e dar sfogo ad una sotto cultura invadente, mentre il social andava avanti e vedeva nuove icone del trash ergersi.

A questa facilitazione del trash come arte comica o della commedia hanno contribuito i videomaker, con i loro contenuti satirici o i creatori di meme, che producono su tutto. Dalla politica alle serie tv fino a meme di dragon ball (il noto anime giapponese), che vedono momenti trash, nel senso di concetto, quotidiani buttati lì e lanciati come titoli di episodi. Episodi di vita goliardici e demenziali.

Tuttavia, anche il social nasconde insidie e molte di più di quante se ne immaginino.

Il problema nasce sul pubblico giovanissimo dei social. Quei ragazzini non ancora maturi per capire che una signora Angela da Mondello non è un esempio e cadono nella emulazione, quella pericolosa, e finiscono per essere educati al barbaro, al trash-spazzatura. Una generazione che non proteggiamo abbastanza con contenuti sani e che è abituata alla diseducazione e al pensiero spesso monocromatico, come quello dei social.

Soluzioni?

Forse Popper aveva ragione. Forse serve un organo di responsabili che vigila sui contenuti tv, ma anche social; una sorta di antitrust dell’informazione, che pondera tra espressione dei contenuti e loro giusta e graduale propagazione; una serie di norme che regolino i diritti dei cittadini dalla sub cultura anche digitale; una carta dei diritti digitali; un grande fratello sui guardoni delle multinazionali social e dei padroni della tv. È lì risiede il nocciolo: libertà e protezione senza censura è possibile?

Avremo mai la protezione da contenuti che fanno regredire la società, potremo mai limitarli senza censura?

Civilizzarsi e mettere il consumismo da parte.

Forse l’essere umano, per citare Nietzsche, è davvero troppo umano per tale atto che appare divino.

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