L’altro volto dell’essere America

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Alla fine è davvero successo. Un gruppo di parlamentari che corre via dalle sale della democrazia, mentre arriva gente di tutti i tipi per procedere al sistematico saccheggio dei simboli della prima democrazia della storia occidentale. A nulla vale, per coloro che sono entrati nel Campidoglio, le minacce fatte con le pistole o il rispetto per le aule dove si tiene il processo legislativo americano. L’unico vincitore di questo avvenimento è stato il Presidente Donald Trump: egli, davvero, ha dimostrato di avere un potere che è al di fuori di quelli concessi dal suo mandato costituzionale. Sembra, quasi, si sia realizzato il sogno folle di qualsiasi demagogo: ora c’è gente disposta a morire per me.

Nel suo delirio di onnipotenza, The Donald, al grido contro i presunti brogli elettorali, è riuscito a far muovere centinaia di persone contro Capitol Hill, sede del Congresso e queste, dopo pochi minuti, sono riusciti ad entrare, mentre tutti i giornali titolavano una breaking news con le parole CAPITOL BREACHED. Quello che è successo ha i contorni della fantasia, dell’incredulità, specie per il fatto che il tutto è avvenuto nella patria della libertà. È bastato un solo uomo per far succedere tutto questo. Cosa anche più allarmante è il fatto che la Capitol Police, la polizia al servizio dell’organo legislativo, abbia lasciato i manifestanti passare, senza opporsi minimamente. In questi giorni, tra l’altro, si è fatta notare la differenza tra lo schieramento di forze avvenuto in occasione del Black Lives Matters e le forze presenti al grido “indignato” del Presidente Trump. Davvero non si contano i punti oscuri della vicenda.

In questa sequenza di errori, possibili connivenze e spregio dei simboli democratici, il Presidente ha dato una dimostrazione, neanche troppo velata, di un esercizio del proprio potere extra costituzionale, quasi come a dire all’America ed al mondo intero: <<Il potere ce l’ho, state attenti che non ho paura di usarlo>>. E questo può (o forse deve) essere stato un messaggio lanciato a tutti quelli che, nella corsa contro i brogli, hanno deciso di abbandonarlo a pochi giorni dalla scadenza del suo mandato.

A dimostrazione di ciò, manca, ancora oggi, un’ufficiale condanna, da parte del Donald, dell’assalto, un assalto che ha portato alla morte di 5 persone. Quasi come se questo gesto meritasse di essere compiuto, scatenato dallo stesso uomo che, in occasione della morte di George Floyd, disse su Fox News:

 Anche molti bianchi vengono uccisi. Devi dire anche quello.

Intervista di Chris Wallace. 19 Luglio 2020

Stavolta, con quello che è avvenuto, non possiamo più dire che Donald Trump sia solo un politico idiota. Stavolta dobbiamo ammettere che egli è un politico pericoloso per le basi stesse della democrazia per come la conoscono gli americani. In soli quattro anni, ha scardinato la dialettica politica degli USA, i quali, ben lungi dall’essere una democrazia perfetta, hanno una storia basata sul dibattito parlamentare pacifico e senza alcun tentativo di “golpe” (tranne, forse, la Silver Legion of America).

In questi giorni l’assalto al Campidoglio ha occupato lo spazio più importante dopo le notizie sull’attuale pandemia e sono state diffuse le immagini dello scempio compiuto da personaggi che, in un altro ambito, avremmo potuto giudicare persone in avanti con le preparazioni per il Carnevale (o Halloween, dipende dai punti di vista). Si è parlato, addirittura, di una persona che avrebbe defecato non sulla democrazia, ma proprio al centro dell’aula del Congresso, mentre la gente intorno a lui correva e scappava nel bel mezzo degli spari (e ci auguriamo che, almeno, questa notizia sia falsa).

L’assalto è stato condotto (o, forse solo accompagnato) da persone aderenti a QAnon (e di cui ci sono appartenenti o, meglio, credenti anche in Italia). Per farla breve, QAnon è il nome di una teoria del complotto di estrema destra, il cui cuore delle credenze risiede nel fatto che Donald Trump sia una specie di messia venuto a liberare l’America ed il mondo da una setta pedofila ed ebrea che controlla ogni settore della politica e dell’economia. Non esistono organizzazioni unificate e non esiste una membership accreditata; l’intero movimento è costituito da gruppi sui social network che vengono periodicamente chiusi. Insieme a loro ci sono state presenze di altri gruppi di estrema destra.

 Win McNamee, Getty Images

Da queste basi possiamo capire di come le persone che hanno assaltato il Congresso americano siano ferventi sostenitori di Trump e, soprattutto, non abbiano alcuna base ideologica al di fuori della missione messianica di Trump stesso. Ed in questo racconto lascia, come detto, basiti la totale (colpevole?) mancanza di un cordone di sicurezza attorno alla sede del potere legislativo americano. Ci sono tante domande che, in questi giorni, stanno emergendo e che, probabilmente, non avranno mai una risposta chiara.

Da tutto ciò emerge la domanda posta all’inizio: “Abbiamo un’altra repubblica delle banane?“. Ed riguardo a questo, traggo ispirazione da quanto titolato dal quotidiano Publimetro in Colombia.

Non è facile rispondere a questa domanda che, pur se satiricamente, ci induce a pensare alle implicazioni di quanto è successo. Certamente, quanto è avvenuto verrà ricordato, ma è presto per giudicare quante e quali conseguenze possa avere questo evento sul futuro della democrazia in America e nel mondo. Sicuramente, per chi crede nella democrazia, è finita l’età dell’innocenza e della fiducia nelle istituzioni, ora ci si trova di fronte alla dimostrazione del fatto che la linea tra ordine e caos è molto più sottile di quanto non si pensi.

Si arriva, quindi, a dover dire che la democrazia va difesa molto più strenuamente di quanto non si faccia oggi. Il baratro, per quanto lo si possa pensare distante, è sempre dietro l’angolo. Stavolta, il bilancio è stato pesante sia sotto il profilo umano che istituzionale, chissà la prossima volta. E, forse, si è peccato di eccessiva sicurezza per non aspettarsi quanto avvenuto.

È proprio vero che la democrazia coltiva in sé stessa i semi della propria distruzione.

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Domenico Sepe
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