Nicotina: cosa ci impedisce di smettere di fumare?

Tempo di lettura: 4 minuti

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il tabacco è la principale causa di morte evitabile nel mondo. Si tratta dell’unica merce legale che uccide, anche se utilizzata in modo conforme alle indicazioni. Nel 2013 il rapporto del WHO riportava che il tabacco è causa di morte per oltre 4 milioni di persone all’anno (90.000 in Italia).

Oggi sappiamo che la nicotina produce dipendenza, ma per molto tempo questo aspetto è stato totalmente ignorato. Grazie ai numerosi studi sul sistema nervoso centrale iniziati negli anni 70’, sono noti i suoi effetti psicotropi e le modalità biochimiche con cui avviene l’assuefazione, paragonabili a quelli di droghe pesanti come la cocaina o le anfetamine.

Secondo la classificazione del DSM (manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali), il fumo è considerato sostanza d’abuso che crea dipendenza. La presenza di almeno tre dei sette criteri previsti nel DSM è indicativa di una dipendenza da sostanze (l’80% dei fumatori rientra in questi criteri (West, 2008)). Alcuni di questi riguardano:

Lo sviluppo di tolleranza indicata da

  1. il ricorso a dosi più elevate della sostanza per produrre l’effetto desiderato;
  2. effetti della sostanza ridotti con l’assunzione della quantità abituale;
  • Sintomi da astinenza, cioè effetti fisici e psicologici negativi che si manifestano quando si smette di assumere la sostanza o se ne riduce la quantità. L’individuo può anche ricorrere alla sostanza per attenuare o evitare i sintomi da astinenza (withdrawal).
  • Mancanza di autocontrollo: l’individuo assume la sostanza in quantità maggiori o per periodi più lunghi di quanto aveva previsto.
  • Consapevolezza del danno: l’individuo riconosce che il suo uso della sostanza è eccessivo e dannoso; può anche aver cercato di ridurre l’assunzione, senza però esservi riuscito.
  • Effetti sociali: l’individuo interrompe o riduce la propria partecipazione ad attività sociali, lavorative o ricreative, a causa dell’uso della sostanza.

Effetti della nicotina sul cervello

Quando una persona consuma nicotina, i recettori colinergici presenti nel cervello vengono attivati. I recettori agiscono come una serratura. La chiave è rappresentata dal legante (nicotina). Quando il legante trova il recettore corrispondente, quest’ultimo segnalerà al neurone una serie di attività. Nel nostro caso si tratta del rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore collegato ai sentimenti di motivazione e piacere. Insomma, il fumare produce un senso di benessere, motivato chimicamente dal cervello.

C’è da dire, però, che il cervello possiede la propria nicotina, denominata acetilcolina, ma ha anche la sua marijuana, morfina, eroina, ovvero le sue molecole endogene.

Ecco che qualsiasi droga non fa altro che simulare l’azione di specifici leganti già presenti all’interno del sistema nervoso e persino in quello immunitario. È quello che succede quando si hanno esperienze felici, come ottenere un risultato desiderato, ridere, battere un record, ecc. Ma se si attivano queste sostanze artificialmente, usando una stimolazione di tipo chimico, lo spettro della dipendenza può essere esacerbato da una stimolazione continua, causata da un bombardamento biochimico che potenzialmente può alterare le funzioni cerebrali.

Gli esiti dell’alterazione possono dipendere tanto dalle caratteristiche dell’individuo e dell’ambiente, quanto da un particolare stato emotivo già presente nella persona.

La dipendenza dalla nicotina

Quando si consuma nicotina o una droga simile, il cervello raggiunge rapidamente uno stato di benessere. Se ciò accade con frequenza, il SNC sarà sempre meno in grado di generare sensazioni di piacere non associate al consumo della sostanza. In altre parole, diventerà più difficile ottenere la stessa soddisfazione con mezzi naturali.

Attraverso una serie di reazioni chimiche innescante, come suddetto, dalla nicotina sui recettori di specifiche cellule cerebrali disseminate nel nostro SNC, viene modificato il cosiddetto sistema di ricompensa. All’interno del sistema il nucleus accumbens registra le informazioni. In tal modo il sistema viene allenato a rispondere alla sensazione di disagio dovuta all’assenza dello stimolo (la sigaretta), cercando di compensarla attraverso una serie di comportamenti e stati emotivi tesi al soddisfacimento immediato del piacere. All’interno del sistema di ricompensa avviene un vero e proprio apprendimento dato dall’associazione dello stimolo con le specifiche reazioni emotive di piacere che scatena. Il risultato è uno stato di irrequietezza, nervosismo e ansia in assenza dello stimolo del piacere.

Reward System: in verde il nucleus accumbens dove confluiscono le informazioni dello stimolo ricompensa

Vi è da sottolineare che ciò non accade quando il cervello ottiene naturalmente piacere. Nel tempo, non si otterrà più la soddisfazione per lo stimolo diretto del fumo, ma il cervello sarà condizionato e quindi anticiperà quella sensazione di benessere esigendola.

Ma perché è così difficile smettere di fumare? … Oltre la farmacologia

La teoria nicotinica della dipendenza spiega perché i grandi fumatori che passano a sigarette light ne fumano di più (Schacter 1977). Ciò nonostante, poiché la disassuefazione è rapida (7-10 giorni), la teoria farmacologica non spiega le ricadute e la difficoltà a smettere di fumare.

Si fuma per abitudine appresa.

Gran parte dei nostri comportamenti sono determinati da “abitudini” apprese: secondo la Teoria del Condizionamento Operante, quando si fuma, la nicotina agisce come un rinforzo positivo che aumenta la probabilità del comportamento in presenza di stimoli appropriati.

Spesso si fuma in risposta a specifici stimoli ambientali (es. dopo il Caffè, con gli amici, perché si ottiene un certo riconoscimento sociale etc. )

Si fuma per il piacere di farlo.

Cionondimeno, le persone cercano deliberatamente (vogliono o desiderano) sensazioni piacevoli (‘wanting’).

Fumare è un’attività piacevole legata soprattutto a una situazione di attesa piacevole. Tra chi fuma per piacere, la motivazione a smettere è più bassa e i tentativi di smettere sono più spesso fallimentari.

Si fuma perché è un bisogno (needing).

Nel needing, invece, i comportamenti sono spesso guidati dal sollievo dovuto all’evitamento di una sensazione spiacevole, come i sintomi dell’astinenza. Specialmente in questo, e nel precedente gruppo di tabagisti, la ricerca del fumo è “alimentata” prevalentemente da false credenze sulle funzioni del fumo (fumare mi rilassa, mi tranquillizza,etc.).

Lo sperimentare la cessazione di disagio e ansia (sintomi dell’astinenza) induce nei fumatori la credenza -(dis)funzionale e falsa- che il fumo aiuti a combattere lo stress. In realtà, il fumo riduce i sintomi di astinenza che esso stesso causa.

In questo gruppo di fumatori quasi la metà dei fumatori, però, riesce a smettere, probabilmente perché non guidati prevalentemente dal piacere e dalla dipendenza, ma da false credenze di copertura rispetto agli stressor quotidiani.

In conclusione

Quanto detto ci porta a concludere che, per quanto i maccanismi neurologici e motivazionali dietro le dipendenze siano chiari, vi sono una serie di elementi psicologici di non poco conto da considerare. È più corretto pensare, invece, che vi sia un’interazione tra fattori farmacologici, genetica e aspetti psicologici, che portano allo sviluppo di dipendenza.

Viene da sé che le tecniche di intervento dovranno considerare tutti questi aspetti descritti.  

Se ti interessa conoscere le tipologie di intervento psicologico scrivicelo nei commenti !!

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Psicologo, con esperienza maturata in ambito organizzativo. Ha conseguito la laurea in psicologia del lavoro con una tesi sul work-life balance.
Co-fondatore de Il Controverso, cura la rubrica #SpuntidiPsicologia e scrive di tematiche riguardanti la criminalità organizzata.

"Scrivo perché amo andare a fondo nelle cose"

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3 Commenti
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Guglielmo

Bravo! Continua così,?

Anonymous

Articolo davvero interessante e davvero istruttivo

Anonymous

bravo!