Colapesce-Dimartino: una rilettura esistenziale

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La settantatreesima edizione del festival di Sanremo ha visto nuovamente la partecipazione del binomio siciliano, composto da Colapesce e Dimartino, con il brano musicale “Splash”. Sulla falsariga – musicale e non solo – di “Musica leggerissima” di due anni prima, la canzone, alla decima posizione nella classifica finale della kermesse, prosegue il fenomeno di orecchiabile tendenza del duo di cantautori siciliani. La grande popolarità dettata dalla cantabilità e dalla ritmica melodia, affine se non similare al precedente successo sopraccitato, ha erto il brano ad uno dei tormentoni del 2023.

Un tormentone non solo italiano: in Corea del sud, a conferma di ciò, un trio di esordienti, i “Penguin in the water”, in un talent nazionale dal nome “Phantom singer”, ha fatto esplodere un caso mediatico, diffusosi repentinamente sui social. I tre cantanti, assimilabili per voce e interpretazione di stampo lirico a “Il Volo”, hanno reinterpretato il componimento musicale “Splash”.

La portata massmediale di tale riproposizione ha invero condotto a riparlare del pezzo, sottolineando maggiormente l’oscuramento della pregnanza di significato del testo, ridotto ad un primo livello di ascolto – quello superficiale – da parte dei più. Difatti, nonostante il ritornello risulti così impattante in merito all’asserzione ormai iconica “ma io lavoro per non stare con te”, non è questo l’oggetto precipuo del testo.

Colapesce e Dimartino si concentrano su una lettura esistenziale della società contemporanea.

“Campi sconfinati che si arrendono alla sera/ qualche finestra accesa/ mentre il vento arpeggia/ una ringhiera/ tu vivresti qui per sempre/dici che dovrei staccare un po’ la mente”

Qualche finestra accesa e una ringhiera arpeggiata dal vento… una prospettiva spaziale e contestuale viene innalzata all’incipit del brano: una realtà familiare, di facile riconoscimento, presso cui l’abitudine si instaura vigorosamente – “tu vivresti qua per sempre” – necessitando del famoso “staccare la spina”.

“Ma io/ Ma io lavoro/ Per non stare con te/ Preferisco il rumore delle metro affollate/ A quello del mare/Ma che mare, ma che mare/ Meglio soli su una nave/ per non sentire il peso delle aspettative/ Travolti dall’immensità del blu.”

Il ritornello, travisato dai più per una necessità di allontanamento dal partner, e forse indice di satirica rappresentazione di conflitto matrimoniale, è il pilastro portante del testo. La necessità del lavoro, preferito alla compagnia del partner, è una immersione nella realtà sociale-capitalistica/consumistica vigente, simboleggiata dalle metro. L’elemento di paragone diventa il mare, scartato in favore di solipsismo su una nave. Riecheggia quasi una inversione di quel “Mare…mare…mare, voglio annegare” di Summer on a solitary beach di Franco Battiato: brano e artista, peraltro, cui i due cantautori sono particolarmente legati.

La specificazione, apparentemente drastica, del distacco è dovuta all’incombenza delle aspettative – quelle sociali – con cui tutti, in misura più o meno ampia, devono confrontarsi.

“Travolti dall’immensità del blu”: su questa affermazione il brano si focalizzerà più avanti.

“Vorrei svegliarmi più tardi al mattino/ cambiare vita baciarti nel grano/ in Sudamerica/ ma l’entusiasmo poi se ne va/ questa sera mi nascondo/ mentre i miei pensieri/ vanno per il mondo.”

La seconda strofa e il “bridge” del brano sono accomunati da uno stesso intento tematico: l’esemplificazione di consuetudini a lungo andare vuotanti. Svegliarsi più tardi al mattino, baciarsi nel grano, (o) in Sudamerica, sono volontà a cui presto si innesta l’assuefazione. La risposta sembra essere il nascondimento, da cui solo i pensieri osano liberarsi dimenandosi “per il mondo”, nell’esplorazione di esperienze non vissute.

“Sorrido alle Seychelles/ mi annoio a Panama/ la vita è un baccarà/ balliamo, vieni qua”, sono sintomo di un melanconico andirivieni emotivo, dominato dall’incertezza e dall’insoddisfazione esistenziale. La vita è associata ad un Baccarà, ad un gioco d’azzardo, territorio del Fato, del Caso e del Fortuito di pirandelliana memoria. Da qui la proposta di ballare, illustrazione del divertissiment sociale, in cui annega la contemporaneità.

“Ma io lavoro/ per non stare con te /preferisco il rumore dei cantieri infiniti /a quello del mare/ ma che mare, ma che mare/ come stronzi galleggiare/ per non sentire il peso delle aspettative.”

Nell’ultimo ritornello i cantieri trovano sostituzione alle metro, anche qui a simboleggiare quell’immersione nel “consumistico fascismo” in vigore, quasi a scomodare la definizione di Pasolini.

“Vado via senza te/Mi tuffo nell’immensità del blu/ Splash.”

Qui giungiamo allo SPLASH: non solo titolo del brano, ma anche chiarificazione di quel “Travolti dall’immensità del blu” sopra lasciato in sospeso. Carico di ironica ricalcatura, la parola allude ad un tuffo nel blu, ovvero un tuffo nel vuoto: la vuotezza dell’esistenza, quell’insensatezza a cui si suole dare sensatezza. O, forse, quel vuoto che è la morte.

Il disorientamento dell’uomo si manifesta perentoriamente nel rischio di smarrire la stabilità esistenziale a causa di uno slancio verso l’abisso: il “buco nero”.

“Metti un po’ di musica leggera/ nel silenzio assordante/ per non cadere dentro al buco nero/ che sta ad un passo da noi.”                                                                             

 -Musica leggerissima, 2021

In quell’intronamento nel quale gli uomini sono gettati, la musica, come emerge da questo passo, risulta essere l’unico espediente in grado di arrestare quel passaggio inconscio, configurantesi come un lasciarsi vivere alienante, spettro dell’inconsistenza umana.

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