Non c’è più Silvio, ma quale eredità (politica e non) ha lasciato?

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Nel corso della mattina del 12 giugno si sono rincorsi i comunicati stampa, gli articoli ed i commenti su un evento che, salvo smentite, pochi si aspettavano veramente: la morte di Silvio Berlusconi durante il suo ricovero presso l’Ospedale San Raffaele. Va detto, sin da subito, che il quadro clinico generale non lasciava trasparire buone notizie già dal mese di maggio, quando è stato operato, nonostante soffrisse di una leucemia cronica.

Ma il punto fondamentale che ci si propone di trattare non è il commento della cartella clinica dell'(ex)[1] Cavaliere Silvio Berlusconi, né della (in)aspettata morte che, alla fine, è giunta per lui come per tutti gli uomini, né, tantomeno, questa sarà la sede di una sperticata celebrazione di un teorico messia della politica italiana degli ultimi trent’anni.

Per parlare dell’eredità lasciata da Berlusconi, però, è necessario ripercorrere brevemente la sua biografia a cavallo tra l’imprenditoria degli anni ’80 e la sua parabola politica. E, quindi, va detto che Silvio Berlusconi è nato a Milano il 29 settembre 1936, figlio di un impiegato di banca e di una casalinga ed ha vissuto, anche se da bambino, la Seconda Guerra Mondiale. Come egli stesso ricordava, tra gli anni ’50 e ’60 ha cantato sulle navi da crociera per poi dedicarsi all’edilizia, diventando protagonista della costruzione dei nuovi quartieri di “Milano 2” e “Milano 3”: a tal proposito, è stato ricordato che, per far spostare le rotte aree che potevano disturbare i danarosi acquirenti delle case dei nuovi quartieri, fece collocare l’Ospedale San Raffaele – luogo della sua ultima ora – proprio al centro delle nuove costruzioni in quanto, stando alla versione maggiormente accreditata[2], poiché gli aerei avrebbero disturbato i degenti del nosocomio, era necessario che questi sorvolassero un’altra area, ottenendo, oltre alla buona salute dei pazienti, anche un’importante rivalutazione delle case che si stava apprestando a costruire con l’Edilnord.

Pur se ci sono state ombre, mai confermate, sulla sua attività edilizia [3], il successo ottenuto in questo settore gli ha consentito di cimentarsi anche nel mondo dei media con la creazione di Mediaset partendo da un canale regionale, Telemilano, costruendo il più grande gruppo televisivo privato italiano ed il secondo dopo la stessa RAI. Anzi, all’inizio, sarà proprio lo “stridente” contrasto con la RAI a porre le basi per uno dei programmi di maggior successo del Gruppo Mediaset: “Non è la RAI”, che sarà il manifesto culturale dell’Italia che Berlusconi stesso voleva costruire, una sicuramente meno bigotta – e magari meno vestita e, forse, solo forse, con più donne-immagine.

Nello stesso periodo, inoltre, è diventato il “patron” di calcio più generoso della sua epoca, con i vari Gullit, Van Basten nel periodo del Milan degli olandesi e del calcio totale che rese, con i suoi investimenti faraonici, uno dei club europei più vincenti della storia, tanto che il suo periodo alla guida della squadra milanese si è concluso pochi anni dopo la vittoria dello scudetto del 2011.

E se, salvo rivelazioni sconvolgenti, è stato un imprenditore di sicuro successo in campo edilizio e mediatico, la sua impronta più pesante l’ha lasciata in politica, dove, stando al suo racconto, è entrato quasi per caso. Infatti, parlava della “discesa in campo” come se lui fosse stato solo un giocatore riserva di una squadra di calcio, ma pronto a mettere in rete il pallone decisivo per una finale.

Probabilmente, è proprio in questo spirito che va letta la sua prima esperienza elettorale nel 1994, dopo Mani Pulite e dopo l’annullamento di un’intera classe politica che aveva caratterizzato la Repubblica Italiana sin dal Dopoguerra.

In quel vuoto politico creatosi dalle indagini sul diffuso sistema corruttivo che coinvolgeva i grandi partiti, lui è arrivato per riempirlo con l’idea dell’uomo nuovo, dato dalla provvidenza contro i “comunisti” (guidati da Achille Occhetto) che, in quel frangente, erano rimasti senza concorrenti, salvo per la coalizione del cd. “Patto Segni” costituita dai alcuni dei superstiti della vecchia Democrazia Cristiana.

La vittoria in quelle elezioni di Silvio Berlusconi segnerà la storia d’Italia: non tanto per il governo, invero piuttosto dimenticabile salvo per i continui scontri, negli ultimi giorni, con un “focoso” Umberto Bossi che portarono alla caduta di quel breve governo.

A quel punto Berlusconi, da semplice imprenditore delle televisioni, era diventato “il” modello da imitare, la trasposizione italiana dell’American Dream, l’irraggiungibile magnate vicino ad una dialettica comune che lui stesso aveva contribuito a plasmare attraverso i suoi giornali e le sue televisioni.

Era l’uomo perfetto per un’Italia inebetita dalle soubrette dei programmi di fine anni ’90 che aveva ancora un occhio nel passato contadino, precedente al boom economico, ma che si illudeva di poter essere moderna.

Forse la verità era che l’Italia aveva trovato in Berlusconi uno sfogo a quella mediocrità culturale e, per esteso, politica che aveva subito attraverso i media del Cavaliere di Arcore.

Sarà proprio il frangente temporale che va dal 1994 al 2006 a cementare definitivamente il cd. “berlusconismo” che non ha rappresentato solo un atteggiamento della politica, ma un movimento trasversale che ha attraversato tutta la società, dalle battute salaci, ai commenti sulle donne per passare alle avventure amorose (con cane Dudù incluso) della tarda età, come nel caso della – mai del tutto chiarita- vicenda di Noemi Letizia.

Del resto, un altro tratto di cui il Berlusconi si faceva vanto era la sua passione per le donne, a tratti quasi bestiale, a tratti comica ed a tratti causa di momenti di imbarazzo[4] e questo anche considerando l’ampia quota rosa nel suo partito, tra cui l’attuale Presidente del Consiglio Giorgia Meloni che, nel Governo Berlusconi IV fu Ministro per la gioventù: un tratto che potrebbe anche dare la cifra personale del leader di Forza Italia, ma che, ancor di più, traccia una parte del suo pensiero politico.

Insomma, l’Italia, o almeno una buona parte di essa, si ritrovava in Berlusconi, si sentiva da lui rappresentata, ma il suo lascito politico è indissolubilmente legato al proprio carisma personale più che ad un preciso pensiero politico. Dimostrazione di questo è il celebre “Contratto con gli Italiani” firmato nel maggio 2001, alla presenza di Bruno Vespa, durante una puntata di “Porta a Porta”: un gesto che rappresenta quella tendenza alla nuova politica che lo avrebbe caratterizzato, al rapporto “diretto” con la folla e con il popolo, una forma di populismo, se vogliamo, ma tanto efficace da fargli vincere le elezioni.

Eppure, sotto quella facciata bonaria, sotto la salace battuta pronta e la barzelletta a volte spinta c’era anche un volto meno tollerante e molto divisivo; infatti, non va dimenticato il suo “editto bulgaro”, denunciato anche dalle opposizioni del tempo, che fu l’auspicio all’esilio dalla RAI di tre suoi critici quali Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi, ognuno per colpe differenti, per quanto temporalmente vicine e, in tutti i casi, non motivate da un evidente calo dello share televisivo. In quell’occasione Berlusconi, dove non era riuscito ad arrivare attraverso i suoi media, riuscì attraverso un’indebita influenza politica.

L’altro aspetto saliente del berlusconismo, del resto, è stata la sua intrinseca carica divisiva, tanto che si potrebbe affermare che, almeno per un certo periodo, tutto quello che non era nell’orbita di Berlusconi costituiva, quasi irrimediabilmente, la vituperata “sinistra” che, puntualmente, ritornava.

Ma in questo sistema di dialettica politica neanche la “sinistra” – sia nell’accezione larga che in quella ristretta – è esente da colpe: del resto il nemico primario di ogni leader del campo “largo” a sinistra di Forza Italia è sempre stato solo Berlusconi [5]: lui, e solo lui, era diventato il canone di riferimento per tastare la cifra politica di chiunque ed era diventato, ormai, il nemico da battere, il Caimano. Quindi, attraverso Berlusconi, la battaglia politica è passata dai programmi agli slogan, dai “manifesti” ai post sui social, dall’ideologia strutturata alle soluzioni semplici per problemi complessi, come i celeberrimi “meno tasse per tutti” e “pensioni più alte”.

Silvio Berlusconi, il (ex) Cavaliere, è stato protagonista e responsabile dell’Italia di oggi, quella che deve digerire l’ubriacatura della mediocrità televisiva e del bombardamento pubblicitario. In un certo senso è lui che l’ha plasmata attraverso la sua indiscutibile influenza culturale, ottenuta attraverso i media.

Si può dire che ha certamente contribuito ad una “visione” dell’Italia, ma che Paese avrà mai voluto lasciare? Esiste un suo lascito politico? E, ammesso che quest’ultimo esista, riuscirà a sopravvivere insieme al partito da lui creato? Ai posteri l’ardua sentenza.

Inoltre, avremmo una ben povera sinistra se questa ne festeggiasse la morte – e c’è da augurarsi che non succeda – perché, in tutto questo periodo in cui Silvio Berlusconi è stato in vita, la sua sconfitta non doveva arrivare attraverso i processi, gli scandali o altro, ma attraverso la dialettica ed il ragionamento politico.

La morte di Berlusconi, piuttosto che essere motivo di rassicurazione per un coacervo che si auto-definisce “sinistra” rappresenta, sotto tanti profili, la perdita dell’oggetto della propria critica e questo, di per sé, è una sconfitta. Non c’è alcun dubbio che da una simile consapevolezza dovrebbe partire una profonda riflessione sull’essere di sinistra, ma scrivere con la mano destra, sull’essere progressisti, perché è facile essere il contrario del proprio nemico elettivamente determinato; più difficile è, invece, costruire un pensiero del tutto autonomo ed in grado di controbattere, punto su punto, il proprio avversario in politica.  


[1] Si è detto ex Cavaliere con riferimento a Silvio Berlusconi in quanto, egli stesso si è autosospeso, nel 2014, dall’onorificenza di Cavaliere del Lavoro prima di un qualsiasi provvedimento in merito da parte della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro a seguito della sua condanna definitiva in Cassazione a seguito del cd. “Caso Mediaset “, va ricordato, inoltre, che egli era stato insignito della prestigiosa onorificenza nel 1977.

[2] Sul tema si segnala l’articolo de “L’Espresso” dal titolo “Così Gianstefano Frigerio salvò Silvio Berlusconi” del 28 maggio 2014 – https://espresso.repubblica.it/attualita/2014/05/28/news/cosi-gianstefano-frigerio-salvo-silvio-berlusconi-1.167454 e Storia di Milano Due su Storie dimenticate – https://storiedimenticate.it/milano-due/

[3] Si segnala sul tema “L’odore dei soldi. Origini e misteri delle fortune di Silvio Berlusconi” di Marco Travaglio, 2001, Editori Riuniti, che è stato anche motivo della critica pubblica di Berlusconi, come Presidente del Consiglio in occasione di quello che fu definito “editto bulgaro”, nei confronti di Daniele Luttazzi (che venne, poi, allontanato dalla RAI) che volle dare risalto al libro del giornalista nel corso di una puntata del suo programma.

[4] Tra i vari anche la gaffe in Valle d’Aosta con la figlia del coordinatore locale, a cui il padre rispose simpaticamente con un “sei un buongustaio!” – si veda anche https://gds.it/video/politica/2018/05/20/al-regalo-preferisco-lei-ma-e-la-figlia-del-coordinatore-di-forza-italia-gaffe-di-berlusconi-ad-aosta-8a162cfb-f265-4ca5-a005-422b4aaff853/

[5] Da Achille Occhetto che lo ha affrontato, perdendo, la prima volta, nel 1994, allo scontro, quasi proverbiale, tra Prodi e Berlusconi nel 2006, a Walter Veltroni nel 2008, all’ormai celebre “smacchiamo il giaguaro” di Pier Luigi Bersani nel 2013 e anche le basi stesse del Movimento 5 Stelle che ha fatto dell’opposizione ideologica a Berlusconi una delle basi dei propri inizi.

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