Sanremo 2024: il festival dell’imbarazzo sul caso Geolier

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Sulla scia di polemiche relative al testo in una lingua storpiata a fare da apripista, partite peraltro dai salotti di una Napoli che si è affrettata a prendere le distanze dallo stereotipo del napoletano cuozzo e ignorante, la partecipazione alla 74° edizione del Festival di Sanremo per Geolier, al secolo Emanuele Palumbo, si è rivelata tutt’altro che un’esperienza tutta rose e fiori. Il giovane rapper, infatti, nel corso della prestigiosa kermesse, si è ritrovato, suo malgrado, al centro di critiche feroci e di un’attenzione mediatica ben oltre le aspettative. Motivo del contendere è stato, almeno ufficialmente, il raggiungimento di risultati ritenuti dagli addetti ai lavori al di sopra degli effettivi meriti del cantante partenopeo, il quale ha concluso con un ottimo secondo posto in classifica e con la vittoria a sorpresa della serata delle cover, aiutato dalla sua straripante fanbase tramite il televoto.
Vittoria che, col senno di poi, si è rivelata come il cavallo di troia che ha scatenato le ostilità nei suoi confronti e che, probabilmente, gli ha precluso ogni possibilità di vittoria finale.

È bene fare una doverosa premessa: Geolier, al netto dei gusti personali, probabilmente dal punto di vista squisitamente canoro non meritava la vittoria finale del festival, né tantomeno quella della serata delle cover. Tuttavia, i fischi e l’abbandono della platea da parte del pubblico durante la sua esibizione, così come gli attacchi che gli sono stati rivolti dai giornalisti della sala stampa, attraverso domande tendenziose, gratuite e talvolta volgari, hanno rappresentato una disgustosa campagna di screditamento che va oltre la mera valutazione canora e che denota una malcelata intolleranza di carattere razzista verso lui e una fetta di Paese che ancora oggi, nel 2024, è vista come parassitaria e indegna di puntare al successo.

Altrettanto indecente, nonché curioso, è che oltre quarant’anni dopo quanto successo al compianto e stratosferico Pino Daniele, allo stesso Geolier venga contestata, ancora oggi, l’incomprensibilità dei suoi testi soltanto perché cantati in napoletano. Volendo usare lo stesso metro di giudizio, secondo questi sedicenti esperti che capiscono di musica quanto Salvini capisce di politica, i capolavori partoriti dai Pink Floyd o dai Led Zeppelin non meriterebbero
considerazione alcuna solo perché non sono cantati in lingua italiana. Attacchi ripetuti a più riprese da un fuoco nemico incrociato che sono indice del fatto che Geolier, come tante realtà vincenti del sud Italia, è vittima di un pregiudizio razzista, nonché della valutazione di una giuria fortemente incompetente e a tratti imbarazzante. Accuse di ruberie, contestazioni di comprensibilità e scarsa considerazione per un tripudio di infamità che viene vomitato da quella parte d’Italia refrattaria ad accettare che al sud possa esserci qualcuno che esca fuori dai contorni dei soliti cliché e possa in qualche modo primeggiare. Tutti attacchi a cui peraltro Geolier ha risposto con garbo, educazione e serietà, dando lezioni di dignità a chiunque, addetti ai lavori e non.

La polarizzazione di voti attorno al nome di Angelina Mango per la vittoria finale è il chiaro segnale di una presa di posizione bella e buona, di un voto contro più che a favore, di un modo di raggrumarsi come massa informe il cui unico scopo è fare la guerra al solito napoletano furbo e scaltro, che vuole sbancare il festival grazie al complotto di un televoto sostenuto da chissà quale mano losca della sua terra natía. Eppure, se questi signori avessero approfondito un pelo le proprie indagini, avrebbero scoperto banalmente che Milano, Roma e Bari sono le città sul podio d’ascolto del rapper e che lui piace, soprattutto tra i giovani, perché narra con chiarezza e semplicità uno spaccato di realtà vissuta, nella quale ci si può riconoscere facilmente.

E comunque non può essere una scusante la lotta al televoto, che a dire di molti avrebbe privilegiato il più sostenuto a discapito della qualità complessiva. Come sei poi quest’anno all’Ariston si fossero esibiti Mina, Battisti e De Gregori e come se in passato non fosse stato concesso di vincere alla meteora Valerio Scanu, dato per disperso in chissà quale lago e quale luogo. Ritenere il televoto valido o meno a seconda di come tira il vento è cosa davvero stucchevole. Non è che se un anno favorisce un cantante che incontra il piacere della sala stampa va bene e se invece favorisce il Geolier di turno è il male
assoluto. Del resto, non sembra neanche giusto chiedere voti a pagamento quando questi non possono in alcun modo incidere sulla vittoria finale, anche se le percentuali di preferenza toccano vette altissime.

Forse sarebbe il caso di rivedere il metodo di valutazione in vigore attualmente a Sanremo, eliminando del tutto il televoto e lasciando tutto nelle mani di radio e sala stampa. A patto che si proceda ad un processo di profondo rinnovamento, facendo estinguere incompetenti e dinosauri che ancora oggi pullulano in sede di giudizio e che decidono senza avere la più pallida idea di cosa siano il rap, Spotify e le classifiche di vendita. Perché ammettere serenamente “non so chi è Geolier“, quando si ha la responsabilità di giudizio in sala stampa al festival più importante della musica italiana, è fuori luogo quanto un vegano ad una grigliata di carne.

Calato il sipario e spente le luci, di questo festival dell’imbarazzo probabilmente ricorderemo più le assurde polemiche su Geolier che la vittoria della bravissima Angelina Mango. Al rapper partenopeo resterà un ricordo agrodolce probabilmente, ma anche la consapevolezza di non aver perso nulla, anzi, semmai di aver guadagnato ulteriore consapevolezza di essere un prodigio e di avere un seguito importante che non vede l’ora di ascoltare i suoi prossimi successi. Con buona pace di sala stampa e critici musicali da salotto.

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