La ricerca della propria identità per Céline Sciamma, “ritratto della giovane in fiamme”

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Giugno, 1969. A Stonewall iniziano i primi moti del movimento di liberazione gay. Da quegli anni a questa parte, questo mese ha acquisito una valenza importante per la comunità LGBTQ+. Quest’anno, a causa decreti anti COVID-19, si dovranno saltare le consuete manifestazioni e parate tipiche di questo evento.

“Ritratto della giovane in fiamme” è un film del 2019 della regista francese Céline Sciamma, che offre moltissimi spunti sul tema omosessualità e sulla scoperta dell’orientamento sessuale.  

Francia, 1770. Alla pittrice Marianne viene assegnato il compito di ritrarre Héloise, una donna appena uscita dal convento, che rifiuta il proprio matrimonio combinato dalla madre con un uomo italiano e, di conseguenza, nega anche un ritratto, unico modo per mostrarsi fisicamente e farsi accettare come sposa.

In questo film, la regista francese Céline Sciamma riesce a farci vedere e sentire con gli occhi e le orecchie di Marianne. D’altra parte, la figura di Héloise, inizialmente, risulta distante, misteriosa, quasi inafferrabile, per poi diventare l’unico oggetto delle attenzioni dello spettatore, che desidera ardentemente, come anche Marianne, aiutarla a trovare sé stessa.

Sciamma opta principalmente per delle inquadrature strette e primi piani sulle espressioni di Héloise, così da riuscire a farci vedere come la pittrice vede la “sposa”. In questo modo, anche noi spettatori ci accorgiamo delle movenze tipiche di Héloise: del suo modo di muovere le labbra, del suo modo di alzare un sopracciglio, del suo modo di respirare.

Questo film è un gioco di sguardi, le parole passano in secondo piano nel raccontare la sessualità e il modo in cui essa viene vissuta. Sessualità, che nel film viene mostrata in due modi: nella gravidanza della governante di casa e nell’amore scoperto tra Marianne e Héloise. La prima prova in molti modi, spesso anche goffamente, ad abortire, le seconde cercano di resistere a quel loro amore che sembrano non riuscire ad accettare del tutto.

La regia spazia dalle molte inquadrature strette, soprattutto nelle ambientazioni chiuse, alle inquadrature larghe sul mare e sulle sue onde, dando spazio a ciò che esso rappresenta, ossia l’immensità dell’ignoto e dell’incertezza che alberga nell’animo delle protagoniste.

Nella ricerca del proprio Io acquisisce senso il film. Marianne, nonostante l’apparente sicurezza iniziale, si trova a fare i conti con un’immagine di sé nascosta nel suo profondo. La sua capacità di ritrarre altre persone si scontra con la sua incapacità di sapere chi realmente sia e con l’impossibilità di accettare la propria sensibilità. Héloise, invece, si dimostra sicura nel voler rifiutare di essere guardata e ritratta, ma progressivamente, con l’aiuto di Marianne, riuscirà a guardare oltre, accettarsi e, infine, ad essere vista. Le protagoniste dovranno accogliere nuovi sentimenti, che permetteranno loro di osservarsi da una prospettiva vergine.

Un film fatto e interpretato da donne, che non parla solo alle donne, ma a tutti coloro che si sono riscoperti fragili e forti davanti all’amore e alla vita. La tenerezza, l’incertezza e il rimpianto sono le emozioni che maggiormente Sciamma riesce ad elicitare in chi osserva.

Il nemico più grande in questo film è la società, fulcro dei problemi di Héloise riguardo all’obbligo di matrimonio.

È straordinario come proprio nel “qui ed ora” il film acquisisca un senso d’attualità. Quanto la struttura sociale nella quale siamo immersi impedisce alle persone di farsi guardare, o ritrarre, come realmente sono?

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