Armine, Gucci, e l’ipocrisia del politically correct

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«Armine, vittima di un mondo in cui se non odi non esisti»; «Armine Harutyunyan, bufera body shaming sulla modella di Gucci».

Sono solo alcuni tra gli ipocritamente altisonanti titoli apparsi sui quotidiani più letti, riguardanti il caso (ormai) mediatico di Armine Harutyunyan, modella scelta da Gucci, insignita del merito di figurare nell’elenco delle 100 donne più belle del mondo.

Se fortuitamente si incappa in una foto che ritrae la ventitreenne, sul suo volto signoreggia, incontrastato, un naso dai tratti molto pronunciati su cui affacciano due sopracciglia alquanto folte, vagamente celebrative di quelle di Frida Kahlo. Eppure, nonostante il tentativo ben riuscito di rassomigliare all’artista messicana, Armine è diventata bersaglio di pioventi critiche che l’hanno descritta come “inadatta al mondo della moda”, “brutta” e, per di più, campeggia sui social un meme che, su una sua fotografia, reca la scritta: “voi ci uscireste a cena?”.

Vi è chi parla di bellezza anticonvenzionale, chi, dall’alto della sua cattedratica superbia, grida al miracolo, ringrazia Gucci se ha portato alla ribalta una donna che ha addirittura infranto quei vetusti canoni osannanti una bellezza patinata, artificiosa, bugiarda. Perché anche le ragazze “normali” meritano di essere ammirate.

Eppure, serpeggia una radicata convinzione, in ragion della quale, se per strada all’improvviso apparisse questa donna davanti a noi, magari passerebbe inosservata, magari non ci accorgeremmo della sua presenza, e quasi sicuramente, qualora ciò accadesse, il primo pensiero affiorante si tradurrebbe prosaicamente in un: “no, non mi piace”. Certo, forse si rimarrebbe all’oscuro del fatto che potrebbe essere un’ottima compagna di conversazione, che potrebbe esser colta, potrebbe risultare simpaticissima, dotata di uno spiccato senso dell’umorismo. Ma cos’è una modella se non un soggetto che si limita ad indossare capi di una data azienda di moda, al fine di pubblicizzarli? Cosa se non il “magnifico” contenuto dell’involucro dell’abito che lo agghinda?

Ma attenzione. Se ci si onera dell’efferato coraggio di esprimere la propria opinione, affermando che Armine magari possa non piacere, non rientrare nei legittimissimi gusti di ognuno di noi, che uscirci a cena non sarebbe proprio la più esaltante delle esperienze, ad un tratto si ruzzola nel sessismo, nella misoginia, si vanificano battaglie femministe durate nei secoli dei secoli, talvolta si viene accusati di razzismo, perché (dettaglio non irrilevante) Armine è armena.

Perché se tutti in coro non intessiamo un giunonico elogio a questa ragazza, siamo la feccia dell’umanità, bullizziamo le donne, minimizziamo il loro valore, riducendolo disinvoltamente al solo banalissimo, scontato aspetto fisico. Se non ci avviluppiamo nelle lustrate vesti del perbenismo, del buonismo non pensante, scevro, o forse consapevolmente ignaro, della capacità di far germogliare un proprio pensiero, è lapalissiano che siamo dalla parte del torto. Se non ci abbeveriamo all’insipida fonte del politically correct, ci macchiamo dell’apocalittico peccato di offendere il femminismo, eludendo che magari questa parolina così inflazionata oggi potrebbe significare anche estrinsecare, senza troppi problemi, le proprie idee, non calpestando nessuno, anche se fosse contrario al gregge.

“Le parole sono importanti”, diceva Nanni Moretti in “Palombella rossa”. E se l’espressione “a me non piace” è foriera addirittura di body shaming, è accostabile a deprecabili offese, forse stiamo esagerando.

Perché, se non si scivola in insensati insulti, se non si lede a terze persone, è catartica, irrinunciabile, preziosissima la libertà di affermare le proprie opinioni, anche quando queste ultime sono leggermente scomode. È liturgico il diritto di snocciolare in tavola ciò che ognuno di noi pensa, senza temere troppo di essere apostrofati con immotivate calunnie.

E, a dispetto di tutte le faziose battaglie di pensiero e non, chi l’ha fatta franca ancora una volta è la fulgida dimensione del capitalismo. Che se Gucci non avesse scelto Armine, forse sarebbe calato il sipario, forse non sarebbe stato al centro del palcoscenico internazionale, forse non avrebbe incassato tutti questi miliardi.

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