Crollo delle nascite: l’anacronismo di Papa Francesco si scontra con il Paese reale

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È il 5 gennaio 2022 e, secondo le stime più recenti dell’ISTAT, l’Italia conta oltre 2 milioni di famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta: vale a dire che oltre 2 milioni di famiglie, in questo momento, in Italia, non possono sostenere le spese minime per condurre una vita accettabile.

Il numero è in crescita costante. Sono 335 mila le famiglie che si sono aggiunte alla condizione di totale indigenza rispetto al 2019; sono più di 5,6 milioni gli individui, che oggi, non riescono a soddisfare i propri bisogni primari – numero cresciuto di 1 milione solo nell’ultimo anno. L’incidenza della povertà, rileva l’ISTAT, aumenta notevolmente per le famiglie con oltre quattro componenti.

Il disagio non è solo numerico e il drastico calo della natalità lo dimostra chiaramente.

È il 5 gennaio 2022, e gli ultimi dati disponibili ci raccontano di un crollo delle nascite tra i più alti mai registrati. Nei primi nove mesi del 2021 ci sono state in Italia 12.500 nascite in meno rispetto allo stesso periodo del 2020. Nell’ultimo rapporto ISTAT “natalità e fecondità della popolazione residente 2020” si evidenzia la chiara correlazione tra il picco negativo di nascite e gli effetti della pandemia in corso.

“Il forte calo dei nati a gennaio 2021, tra i più ampi mai registrati, dopo quello già marcato degli ultimi due mesi del 2020 – si legge nel rapporto Istat – lascia pochi dubbi sul ruolo svolto dall’epidemia”.

Non sorprende la coerenza dei dati, così come non sorprendono le scelte individuali di rinunciare alla genitorialità in un contesto di povertà crescente e disumanizzante, in un contesto di costante incertezza. Non sorprende, certo, che il riflesso di un paese sempre più povero sia un paese sempre più vecchio.

È il 5 gennaio 2022, e chiuso tra le mura della Santa Sede, il Papa tiene la sua Udienza Generale del mercoledì.

“L’altro giorno, parlavo sull’inverno demografico che c’è oggi” dice il Papa, “la gente non vuole avere figli, o soltanto uno e niente di più. E tante coppie non hanno figli perché non vogliono o ne hanno soltanto uno perché non ne vogliono altri, ma hanno due cani, due gatti […]. Questo rinnegare la paternità e la maternità – aggiunge il Papa – ci sminuisce, ci toglie umanità”.

È il 5 gennaio 2022, e la scelta consapevole di chi decide di non avere figli viene così investita da una sacra ammonizione che denuncia “l’egoismo di chi si chiude alla vita”. Un giudizio duro e morale arriva nelle case italiane, senza distinzioni, annunciando chiaramente che “la paternità e la maternità sono la pienezza della vita di una persona”, tacciando severamente così, le scelte di ogni famiglia che ha deciso di non avere figli, “o soltanto uno e niente di più”. “Soffre la Patria che non ha figli” dice il Papa, in un popolo per questo privato della sua umanità.

I dati sull’invecchiamento demografico non colpiscono, colpisce invece il discorso papale, all’alba di un 2022 che si annuncia perfino più tragico degli anni che l’hanno preceduto. Sorprende il discorso, e quanto mai il tempismo dello stesso. Sorprende la durezza di parole senza distinzioni in un’Italia che risulta il terzo Paese europeo per aumento del rischio di povertà, dato che trova senz’altro conferma nelle statistiche ISTAT sulla povertà assoluta. Sorprende l’assolutezza delle parole papali in contesto in cui, racconta la Caritas nel suo rapporto annuale, il 44% delle persone che hanno dovuto chiedere aiuto nel 2020, è composto dai cosiddetti “nuovi poveri”, uomini e donne, vale a dire, che non avevano mai chiesto aiuto prima. Uomini e donne, che potrebbero aver scelto di non avere figli.

Se da un lato appaiono tragicamente prevedibili gli effetti del processo di invecchiamento demografico, senza dubbio fonte di un’importante destabilizzazione del sistema pensionistico e socio-sanitario e quindi della sostenibilità della finanza pubblica italiana, appare quanto meno “anacronistico” l’appello papale in un Paese che potrebbe adottare diverse politiche per rinfoltire lo strato più giovane della popolazione ma che sceglie la strada dell’allarmismo generalizzato. Appare anacronistico un appello che chiede alle famiglie italiane di fare figli per la Patria sofferente, in uno Stato il cui ultimo saldo migratorio risulta nettamente negativo, in uno Stato, cioè, che ostacola le politiche di immigrazione, e poco fa per disincentivare l’emigrazione, in un gioco miope che ignora le potenzialità di ringiovanimento demografico derivante dall’ingresso di popolazione giovane del nostro Paese. Appare anacronistico un appello che invoglia all’adozione come atto di generosità in un paese orfano, ma ignora il desiderio di adozione di tante coppie omosessuali che ancora non trovano il riconoscimento di questo diritto. Appare anacronistico ribadire l’esigenza morale ed improrogabile di fare figli in uno Stato che nega la maternità surrogata e che a breve assisterà alla presentazione di una mozione dei partiti di destra per renderla un reato, anche se praticata all’estero.

Non bisogna cadere nello strategico errore di credere, come si legge su diverse testate giornalistiche, che quella di rinunciare alla genitorialità sia una scelta dettata da “fattori culturali” in uno Stato che non offre possibilità, tutele, sicurezze, servizi alle famiglie e, in particolare, alle donne. In un Paese che assisterebbe ad una crescita di circa il 7% del suo PIL se l’occupazione femminile raggiungesse il 60%, il tasso di occupazione femminile tra i 15 e i 64 anni si attesta al 49,5%. In un Paese laico e cattolico, che grida l’urgenza del calo di natalità, il tasso di occupazione femminile cala drasticamente già dopo la nascita del primo figlio, e ulteriormente dopo la nascita del secondo. Non è quindi certo culturale la scelta di rinunciare alla genitorialità, quanto piuttosto lo specchio delle opportunità che lo Stato offre.

Appare quindi, di nuovo, anacronistico, il discorso del Papa, attraverso cui siamo ritornati ad un passato troppo conservatore da cui fatichiamo ad allontanarci, in cui non avere figli è ritornato ad essere sinonimo di incompletezza in un presente in cui è ancora necessario scegliere, troppo spesso solo per le donne, tra figli e carriera.

Appare infine profondamente anacronistico qualsiasi discorso che gridi aiuto per il calo della natalità in un paese ancora profondamente inadatto ad accogliere nuovi nati perché incapace di tutelare i già vivi, così come anacronistico e incompleto risulta essere ogni discorso che sceglie di non interrogarsi sui motivi alla base dell’invecchiamento demografico e rivolge il suo giudizio al popolo anziché alle istituzioni.

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