Medical Gender Data Gap: quando l’assenza di dati è patologica

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È il 1977, la medicina ha finora spontaneamente concentrato attenzione e risorse quasi esclusivamente sullo studio dei “corpi standard”: i corpi maschili. A partire da questo momento, però, l’FDA (Food and Drug Administration), formalizza una prassi già consolidata e annuncia il divieto di includere le donne in età fertile in tutti i trial clinici di fase I e II, vale a dire in tutti gli studi di efficacia e tossicità di nuovi farmaci e nuove terapie che continueranno quindi ad essere sviluppati e testati, nel proprio potenziale tossico e curativo, unicamente sui corpi maschili. 

Eppure, il corpo maschile e il corpo femminile non differiscono solo per dimensioni, ma presentano sostanziali differenze biologiche, cellulari, metaboliche, immunologiche, cardiovascolari. Queste differenze, ignorate nelle ricerche e nella pratica medica, sono quelle che determinano il rischio di sviluppare una malattia, la manifestazione dei sintomi, la risposta alle possibili terapie. Terapie sviluppate, tuttavia, ignorando queste stesse differenze proprio perché basate unicamente sulle caratteristiche proprie dei corpi maschili. Le conseguenze di questa mancata differenziazione sono state tragiche per la popolazione di sesso femminile che per anni ha subito, e ancora oggi continua a subire, gli effetti di tali lacune attraverso un elevatissimo tasso di compromissione di diagnosi e cure. 

È il 1991, Bernardine Healy, cardiologa americana e Direttrice del National Institute of Health, pubblica un editoriale sul New England Journal of Medicine, in cui palesa, per la prima volta, le differenze nella gestione di patologie cardiache tra uomini e donne e come queste conducano, a parità di condizioni, ad un numero ridotto di interventi diagnostici e terapeutici sulle donne, e dunque ad un approccio clinico-terapeutico discriminatorio e insufficiente, se confrontato con quello praticato nei confronti degli uomini[1].

È a partire da queste prime evidenze che nasce la medicina di genere. Quella medicina, cioè, che non riduce lo studio della salute femminile ai soli aspetti riproduttivi, ma, utilizzando le parole dell’OMS, studia l’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona.

È il 1993, gli studi scientifici si accumulano e le evidenze sono chiare. Negli Stati Uniti diventa vietato escludere le donne dai test clinici finanziati dal governo federale. Con il passare del tempo Australia ed Unione Europea seguono.

È il 2007, uno studio dimostra che il 90% dei rapporti di ricerca pubblicati su importanti riviste farmacologiche continua a condurre sperimentazioni effettuate soltanto su soggetti maschi, e suggerisce che “come è stato raccomandato molte volte in passato, il sesso degli animali dovrebbe svolgere nella ricerca futura un ruolo più importante di quanto non lo sia ancora attualmente”. Nel 54% dei casi, infatti, i farmaci sperimentati risultano avere effetti diversi sulla base del sesso dell’animale[2]

È il 2014, nel 22% degli studi medici condotti non si specifica il sesso delle cavie utilizzate e, dove specificato, si tratta nell’80% dei casi di animali di sesso maschile[3]

È il 2016, la dottoressa Tami Martino, dal Canada, presenta la sua rivoluzionaria scoperta dimostrando come la possibilità di sopravvivenza ad un infarto cambia a seconda dell’ora a cui esso si verifica: grazie alla differente risposta immunitaria e all’azione di determinate cellule, le possibilità di sopravvivenza ad un infarto durante il giorno sono molto più elevate. Successivi studi, su altri animali, hanno confermato la scoperta, che è così divenuta standard di riferimento nella letteratura sulle possibilità di sopravvivenza. Ecco perché la comunità scientifica ha accolto con notevole scalpore la successiva scoperta secondo cui tale riposta immunitaria e azione cellulare sono correlate invece ad una minore probabilità di sopravvivenza ad un infarto avuto durante il giorno. Qual era l’unica differenza tra i due studi?  il sesso degli animali utilizzati. A differenza del primo studio, infatti, il secondo aveva incluso anche esemplari femmine. Il risultato era diametralmente opposto[4]

È ancora il 2016, e un articolo pubblicato sul British Medical Journal specifica che, all’interno di una struttura ospedaliera, le probabilità di morte della popolazione femminile di giovane età sono quasi doppie rispetto a quelle della popolazione maschile[5].  Una prima possibile spiegazione potremmo ritrovarla nell’inefficacia delle cure preventive sulla popolazione femminile. I farmaci utilizzati, sviluppati a partire da sperimentazioni su soggetti maschili, potrebbero risultare di scarso impatto sui soggetti femminili. Uno studio del 2014 in merito, dimostra infatti che l’assunzione di bassi dosaggi di asprina a giorni alterni (utile nei pazienti maschi) risulta essere “inefficace o addirittura dannosa per la maggior parte delle donne nella prevenzione primaria” delle patologie cardiache o tumorali[6]. Una seconda possibile spiegazione risiede nell’errata valutazione dei fattori di rischio che possono condurre a malattie cardiache. L’American Heart Association, nel 2016, ha dichiarato la possibile inefficacia dei modelli di rischio comunemente utilizzati, in quanto basati su studi condotti su popolazione prevalentemente maschile: motivo per cui non era possibile confermarne la validità anche per la popolazione femminile. Una terza ragione che potrebbe spiegare il tasso di mortalità nettamente superiore della popolazione femminile nelle strutture ospedaliere risiede nel riconoscimento dei sintomi. Nel caso di infarto, infatti, i sintomi d’allarme risultano essere dolore al petto e al braccio sinistro. Peccato che, come ormai dimostrato da diversi studi e ricerche, le donne in procinto di avere un infarto presentino sintomi spesso completamente differenti dagli uomini, manifestando mal di stomaco, nausea, dispnea, affaticamento ma nessun dolore al petto[7].  I dolori non vengono quindi collegati alla possibilità di infarto e la paziente non viene trattata adeguatamente: uno studio condotto dalla Medical University of Vienna ha mostrato come le donne con un infarto in corso abbiano il 50%, e in alcuni casi addirittura il 60%, di possibilità in più di ottenere una diagnosi errata rispetto agli uomini[8]

È il 2008, e una ricerca condotta su una serie di libri universitari usati nelle più prestigiose università di medicina statunitensi, canadesi ed europee, ha reso noto che su un totale di 16.329 illustrazioni, i “corpi neutri” rappresati da immagini di corpi maschili sono tre volte superiori a quelli femminili.[9] Ulteriori indagini hanno mostrato come perfino in relazioni ad argomenti e patologie in cui le differenze tra i due sessi sono ormai note da tempo (quale, ad esempio, la depressione) non vi sono informazioni differenziate, e i risultati dei test presentati sono indicati come validi anche se condotti escludendo la porzione femminile[10].

È il 2022 e poche semplici domande a qualche studente di medicina italiano mi permettono di dire, che, ad oggi, i testi adottati risultano rispecchiare a pieno i risultati delle ricerche sopra presentate. Le differenziazioni per sesso continuano a mancare nella maggior parte delle argomentazioni trattate. 

D’altronde, nel campo della ricerca, le industrie farmaceutiche, nel caso di specie quelle statunitensi, hanno ancora la possibilità di sottrarsi ai “nuovi” obblighi di inclusione del sesso femminile nelle sperimentazioni e dalla conseguente disaggregazione dei dati. Tali obblighi investono, infatti, solo le sperimentazioni finanziate dai NIH, motivo per cui le industrie private possono continuare a prediligere la consueta sperimentazione androcentrica a scapito della popolazione femminile. 

Siamo in Italia, è il 31/01/2018. È proprio l’Italia il primo paese europeo a formalizzare il concetto di medicina di genere, e lo fa attraverso la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge delega al Governo in materia di sperimentazione clinica dei medicinali. Nell’art. 3 si parla, specificatamente, di applicazione e diffusione della medicina di genere nel SSN attraverso la predisposizione di un Piano ad hoc. Il Piano, approvato il 31/06/2019 dal Ministro della Salute, mira a promuovere l’applicazione della medicina di genere su tutto il territorio nazionale e monitorarne la diffusione attraverso l’istituzione di un apposito Osservatorio. In attesa dell’applicazione del nuovo Piano tutto italiano, vale però la pena chiedersi, nel 2022, che sia dall’Italia o dall’America, quali siano state le conseguenze materiali di un’impostazione che per anni ha scelto di utilizzare i corpi maschili come corpi a rappresentanza dell’umanità intera. Vale la pena chiedersi, nel 2022, perché i numerosi interventi legislativi e programmatici per tutelare la ricerca sui corpi e le cellule femminili, non abbiano prodotto i risultati sperati, traducendosi in un sempre più ampio vuoto di dati ed informazioni sui corpi femminili. E dovremmo infine chiederci: quante terapie potenzialmente utili alle donne sono andate perdute, e continuano a perdersi, perché lo sguardo della medicina si rivolge unicamente in una direzione? E questo, quante morti ha causato?


[1] Quaderni del Ministero della Salute – Il genere come determinante di salute. Lo sviluppo della medicina di genere per garantire equità e appropriatezza della cura. ISSN 2038-5293. N.26. 26, aprile 2016.

[2] R. Hughes. Sex does matter: comments on the prevalence of male-only investigations of drug effects on rodent behaviour. Novembre, 2007. 

[3] D.Y. Yoon, N. A. Mansukhani e altri. Sex Bias Exists in Basic Science and Translational Surigical Reserarch, in “Surgery”, CLVI, 2014, n.3.

[4] Caroline Ciardo Perez. Invisibili. Einaudi, marzo 2019.

[5] Ramzi Y Khamis, Tareq Ammari, Ghada W Mikhail. Gender differences in coronary heart disease, BMJ Publishing Group Limited.

[6] R.C.M. Van Kruijsdijk, P.M. Ridker, F.L. Visseren e altri, Individualised Prediction of Alternate-day Aspirin Treatment Effects on the combined risk of cancer, cardiovascular disease and gastrointestinal bleeding in healtly woman, in “Heart”n.5, 2015.

[7] Anandita Agarwala, Erin D. Michos, Zainab Samad, Christie M. Ballantyne, Salim S. Virani. The Use of Sex-Specific Factors in the Assessment of Women’s Cardiovascular Risk. Febbraio, 2020.

[8] Medical University of Vienna. Female heart reacts more sensitively to stress. ScienceDaily. ScienceDaily, Marzo 2016.

[9] Plataforma SINC, Medical textbooks use white, Heterosexual Man as a “Universal Model”, in “Science Daily”, ottobre 2008.

[10] A.F. Dijkastra, P. Verdonk, A.L.M. Lagro-Janssen. Gender Bias in Medical Textbooks: Examples from Coronary Heart Disease, Depression, Alcohool Abuse and Pharmacology, in “Medical Education”, n.10, 2008.

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