Russia-Ucraina: un confronto alle porte d’Europa

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Le recenti tensioni al confine tra Russia ed Ucraina sono state al centro dei notiziari per molti giorni nelle ultime settimane, per quanto in misura minore rispetto ad altre notizie nazionali ad esse collegate come il rincaro delle bollette di gas ed elettricità, il recente scivolone del Governo Draghi in Commissione parlamentare (con la, non confermata, minaccia di andar via se non si fa come dice “lui”) ed altre.

Prima di poter capire davvero le origini di questa crisi, bisogna capire cosa può comportare e, a questo argomento, è collegato il ben più pressante problema legato ai costi di luce e riscaldamento nelle case di tanti italiani che, già da prima, arrancavano ad arrivare a fine mese. Il problema della scarsa comprensione della situazione è stato dovuto al fattore, non solo italiano ma europeo, del vivere nel “tranquillo sogno postmodernista” della finta pace[1], sperimentato da tutti i cittadini dell’Unione Europea, i quali sembrano quasi del tutto ottenebrati da una realtà virtuale su come vanno le cose nel mondo “reale”. Infatti, mentre nel mondo i potenti e le grandi potenze continuano a contendersi le risorse del pianeta (come la Cina in Africa Orientale), gli spazi per il controllo delle rotte commerciali marittime (la base americana a Gibuti all’imbocco del Mar Rosso, unica strada d’accesso verso il Canale di Suez) e, spesso, anche spazi terrestri (l’infinita contesa tra Cina ed India per il Kashmir ed i passi dell’Himalaya, oppure l’intervento russo in Kazakistan per ribadire la propria influenza in loco), gli europei sono diventati, da tempo, una colonia senza possibilità di mettere voce in capitolo nel grande scenario internazionale che li circonda, se non per piccolissimi interventi spesso provocati dall’egemone che porta il nome di Stati Uniti d’America.

La “sindrome da accerchiamento”

Quindi, dopo questa premessa iniziale, si può capire perché l’opinione pubblica italiana, ed europea, spesso viva ignorando quanto avviene al di fuori dei propri confini, salvo, poi, ritrovarsi le risposte della propria “trascendenza” nelle bollette. Infatti, e ciò è stato di recente suffragato dalla Commissione Europea[2], il fabbisogno energetico che alimenta la moderna civiltà europea si regge, per una parte rilevante, sul gas che arriva dalla società statale russa Gazprom, vero ago della bilancia dell’attuale benessere europeo. L’Europa va a gas, detto in parole povere, almeno per il 30% del proprio fabbisogno energetico ed il 41% di questo proviene dalla Russia (con un altro 16% dalla Norvegia) e, attraverso questo, la Russia ha in mano una potente arma di ricatto contro l’Europa intera.

Eppure la Russia non pare interessata allo scontro con il Vecchio Continente, ma piuttosto è desiderosa di acquisire spazi per poter uscire dalla cortina sempre più stretta che l’Alleanza Atlantica ha stretto intorno al cuore del suo territorio. Infatti, mettendo a confronto le seguenti mappe:

Situazione europea fino al 1989
Paesi NATO in Europa al 2020. Mappa dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale
Cintura di contenimento NATO contro Cina e Russia

si evince, per la Russia, la riduzione della sua sfera d’influenza. Per dare dei numeri, la distanza tra il confine della Germania Est con quella Ovest e Mosca era, nel 1989, di 1775 chilometri, oggi il punto più lontano da Mosca dell’influenza russa è di appena 935 chilometri. In poco più di trent’anni la Russia ha “perso” quasi la metà della propria “distanza strategica” dalla NATO, conseguenza del collasso dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia. Ma, del resto, il confine NATO più vicino a Mosca (la Lettonia) dista appena 590 chilometri e, se consideriamo che in Lettonia c’è una base USA, oltre alle basi NATO, è ben chiaro che la Russia si ritrova le truppe americane, praticamente, nel cuore del proprio territorio.

Il problema non sarebbero neanche le truppe di terra, se si considera che, con la moderna tecnologia missilistica, queste distanze diventano pericolose non tanto per il movimento delle truppe di terra (del tutto ininfluenti in un conflitto totale basato sulla forza nucleare) quanto per la rapidità del dispiegamento missilistico. Del resto, se venisse installata una base missilistica nucleare in Lettonia, l’ipotetico missile lanciato da 600 chilometri riuscirebbe a raggiungere Mosca (e con lei il governo russo) nel giro di pochissimi minuti, forse insufficienti per organizzare una qualche forma di evacuazione. Di contro, il punto più vicino a disposizione della Russia verso Washington D.C. dista ben 7400 chilometri e quell’eventuale missile, anche supersonico, che potrebbe essere lanciato ci metterebbe molto più tempo a colpire il bersaglio.

Queste considerazioni, ben lungi dal voler essere propositive di una guerra, vengono fatte quotidianamente dalle intelligences strategiche di Russia e Stati Uniti nel tentativo, per quanto possibile, di perseguire la rispettiva politica di difesa dall’avversario, ed in questa lotta la Russia si è ritrovata, negli anni, sempre più accerchiata e minacciata. Tale premessa ci permette, inoltre, di capire il problema russo in Ucraina: infatti, l’eventuale passaggio dell’Ucraina nella NATO aprirebbe un altro pericoloso fianco alla proiezione strategica degli USA sulla Russia meridionale, già ridotto dall’entrata nella NATO della Romania. Inoltre, anche osservando le precedenti mappe, si può notare come la Russia, sui mari, sia circondata da Paesi alleati degli Stati Uniti su tutti i fronti meno che l’Ucraina stessa (che non è ancora ufficialmente un membro NATO), mentre tutte le altri possibili vie d’uscita per la propria flotta sono state, pian piano, serrate (nel Mare del Nord all’altezza della Danimarca, ad est da Giappone ed Alaska) e l’unico accesso agli oceani non ghiacciati rimasto alla Russia è proprio il Mar Nero (pur se l’uscita resta sottoposta al controllo della Turchia, che è un membro della NATO anch’essa) e, per la precisione, la Crimea con Sebastopoli.

La storia dell’attuale crisi, d’altronde, è strettamente legata a quanto successo nel 2014 in quella che non è stata tanto una “mossa furba” dell’autocrate Putin, quanto una scommessa ardita dettata dalla disperazione perché, dopo l’Euromaidan del 2014, si è profilato il rischio concreto, per la Russia, di perdere proprio il principale porto militare meridionale, ospitante una delle sue più grandi flotte militari, di vitale importanza anche per il mantenimento di un minimo d’influenza in Medio Oriente con la base militare di Tartus in Siria (fondamentale per la vittoria di Assad nella guerra civile siriana[11]). Da qui si capisce la volontà della Russia di assicurarsi che, per il futuro, l’Ucraina non faccia parte della NATO, proprio per poter mantenere aperta la propria proiezione verso il Mediterraneo e gli altri “mari caldi”.

Sull’altro fronte, le mosse degli Stati Uniti sono state dettate da tanti fattori, eccetto la prudenza. Infatti gli USA hanno cominciato, sin dalla “guerra al terrore” del 2001, a stringere il cappio attorno alla Russia, la quale non ha potuto davvero fare molto per contrastarli. Ma, ora, la situazione geopolitica è cambiata profondamente, anche grazie all’asse formato con la Cina, diventata il più grande acquirente di gas russo ed interessata a tenere sotto pressione gli Stati Uniti su due fronti (Ucraina e Taiwan).

Tutte queste tensioni, del resto, sono state provocate da quella che è stata definita la “sindrome dell’accerchiamento[3] russa, specie sul suo fronte meridionale (anche la Georgia, ex repubblica sovietica è in trattative per diventare un Paese NATO). Ciò l’ha spinta, negli anni recenti, a cercare un’alleanza con la vicina Cina in una prospettiva che, a detta di molti analisti, determinerà la creazione di un potente asse in funzione anti-americana[4].

Il fronte energetico: quando lo scontro si ripercuote sulla bolletta di casa

Come detto all’inizio, l’Europa ha bisogno del gas russo, mentre la Russia può comodamente vendere ad altri le proprie risorse. Inoltre, il 21% del gas russo passa attraverso gasdotti situati in Ucraina ed un blocco di quest’afflusso di gas potrebbe rivelarsi ben più devastante di quanto non sia l’attuale caro bollette. Infatti, si è rivelato preziosissimo il gasdotto tra Italia ed Azerbaijan (la TAP) che ha permesso di sopperire in parte al calo delle forniture di gas provenienti dalla Russia. Ma il rincaro delle bollette resta, con il prezzo del metano che, complice l’esaurimento delle scorte europee e la riduzione delle forniture russe, è aumentato di 5 volte[5] [6].

Ad oggi, complici anche le nuove normative per la transizione ecologica, la richiesta di gas è anch’essa salita alle stelle, ma l’offerta di materia prima si è gravemente ridotta e l’Unione Europa è stata costretta a fare accordi per l’importazione di gas liquefatto dagli Stati Uniti e dal Giappone mentre il Governo Italiano, fin troppo distratto dal balletto del Quirinale, è intervenuto con colpevole ritardo sulle forniture e sui prezzi, pur approvando un aumento dell’estrazione di gas dai punti di estrazione italiani.

L’Europa, già divisa al suo interno con il recente blocco dei fondi europei a Polonia ed Ungheria, arranca nel tentativo di seguire il leader dell’Alleanza Atlantica (gli USA) in questa nuova avventura geopolitica a stelle e strisce con il rischio, nella migliore delle ipotesi, di danneggiare la propria economia tagliando i propri approvvigionamenti di risorse naturali. E per quanto l’Europa sia molto avanzata nel campo delle energie rinnovabili al momento, con l’attuale tecnologia, continua a rendersi necessaria la combustione di petrolio, gas e carbone anche per far camminare le ecologiche macchine elettriche (che utilizzano un’energia prodotta al 70% da combustibili fossili)[7]. Dunque, alla Russia, contro l’Europa, resta la formidabile arma del gas[8] per affondarne l’economia.

Le prospettive del conflitto

Dunque, per cercare di indovinare gli esiti del conflitto bisogna partire dagli obiettivi strategici che hanno le due parti in lotta, come sono state sopra esposte. Per cui l’esito del conflitto, sempre restando nella possibilità di una tensione diplomatica ed, al massimo, un conflitto di bassa intensità, dipenderà anche da come i Paesi NATO vorranno muoversi sullo scivoloso terreno dei rapporti con l’Ucraina. Quest’ultima, del resto, si trova nella spiacevole situazione di essere l’oggetto della contesa di potenze di infinite scale più grandi di lei e nel pieno di una gravissima crisi economica provocata dal protrarsi del conflitto in Donbass, dalla diffusa corruzione e dall’assenza di una forte leadership politica dopo la fuga del presidente filo-russo Janukovyč.

Inoltre, l’Ucraina, in qualsiasi scenario, non potrebbe mai reggere un serio confronto militare con l’esercito russo, molto più numeroso e meglio equipaggiato, tanto che lo stesso Presidente ucraino Zelens’kyj ha più volte cercato di placare gli animi delle parti coinvolte nella piena consapevolezza che i russi possono ben arrivare nella capitale Kiev in 2-4 giorni[9]. Ma anche la Russia non può permettersi un conflitto: le sanzioni economiche in atto dal 2014, l’incertezza sulla successione di Putin, la diffusa povertà e la fragile situazione economica non le permettono di poter reggere economicamente un conflitto per più di qualche mese, specie se mobilitasse oltre 100.000 uomini[10]. Inoltre, questi numeri sarebbero del tutto insufficienti per mantenere l’Ucraina occupata e sarebbero appena sufficienti alla creazione di uno stato fantoccio pro-Mosca, senza la garanzia che possa durare.

L’epilogo più probabile di questa escalation è una proxy war tra le forze ucraine e le forze delle repubbliche separatiste del Donbass ed entrambe verrebbero rifornite di denaro ed equipaggiamento dai rispettivi patroni (NATO per l’Ucraina e Russia per Doncec’k e Luhans’k) combattendo una riedizione del conflitto del 2014. Tutto ciò potrebbe portare ad un blocco, o ad un rallentamento, delle forniture del gas russo in Europa con il conseguente rischio di una grave crisi economica dovuta al blocco (o alla limitazione) della funzionalità degli impianti produttivi che potrebbe tradursi in un indebolimento generale dell’economia europea, appena uscita dalla pandemia da Covid-19. Non a caso, da anni, la Germania ha progettato (e completato) il suo secondo gasdotto diretto con la Russia (North Stream 2) proprio per cercare di evitare le conseguenze legate alle incertezze tra Ucraina e Russia, pur se gli Stati Uniti, in tutti i modi, hanno cercato di impedire la realizzazione di quest’opera che avvicinerebbe troppo i tedeschi ai russi.

La Russia, d’altronde, è strategicamente obbligata a seguire questo corso d’azione se non vuole ritrovarsi completamente bloccata dalla cintura di contenimento messa in atto dagli Stati Uniti.

Il punto del conflitto sta nelle possibilità di mediazione tra Russia e Stati Uniti e, a dimostrazione di ciò, si può ricordare l’irrilevanza del Presidente francese Macron, che voleva fare un figurone per le prossime elezioni in Francia, nelle trattative come anche dello stesso Presidente ucraino. Putin non vuole rassicurazioni da terzi, ma vuole, proprio perché sa di essere con le spalle al muro, un vero e proprio trattato firmato da Joe Biden che garantisca un’Ucraina fuori dalla NATO (e, possibilmente, nell’orbita russa, magari un ritorno nella C.S.I.), ma, per quanto sia improbabile un conflitto su larga scala, il rischio di una tragedia umanitaria in Ucraina e di una crisi economica in Europa è molto concreto.

Come detto da alcuni, commentando l’operato di Joe Biden, l’America ha dato fuoco al fienile ed ora, dalla sua comoda posizione, può stare tranquilla mentre osserva che brucia.


Riferimenti delle note

[1] Dario Fabbri nel suo Approfondimento del Venerdì per Limes su YouTube (link al canale).

[2] Tassonomia Europea e Atto delegato per la Decarbonizzazione (2021-2022) – Link

[3] Limes Settembre 2016 – Link

[4] Limes Novembre 2019 – Link – La rivista, già prima della pandemia, aveva fatto notare l’avvicinamento tra le due potenze.

[5] Indice Prezzi del Gas Naturale sul mercato del punto di consegna olandese (riferimento europeo per il gas) – Link; Osservatorio del Gestore Mercati Energetici per i prezzi dell’energia – Link;

[6] Un articolo de La Repubblica di Luca Pagni sul tema del rincaro delle bollette in cui si osserva l’aumento dei prezzi al megawattora da 15 euro a 129.

[7] Rapporto Terna (gestore rete elettrica italiana) per l’Italia dà, per il 2020, il 74% del consumo elettrico da petrolio e gas (fonti non rinnovabili). Le rinnovabili sono al 18,4% – Link. Per l’Unione Europea la media di tutti i Paesi si assesta su valori del 62%, con alcuni Paesi che guidano la transizione ecologica. Su questo tema un interessante articolo di “grafici.altervista.org” ed il rapporto Eurostat dava, per il 2016, un consumo di energia da fonti rinnovabili pari al 13,2 % del fabbisogno europeo. Questo sta a significare che l’Europa, ben lungi dal raggiungere l’autonomia energetica, continua ad aver bisogno di un continuo afflusso di gas e petrolio dall’estero. E la Russia resta il maggior fornitore.

[8] Sul tema in Limes Online (versione web della rivista Limes)Link

[9] La caduta di Kiev potrebbe avvenire in 48 ore secondo la NBC. Si tratta di stime da esperti militari statunitensi, non di certezze. Altre stime, più prudenti, estendono questo lasso di tempo a seconda dei fattori considerati, nulla esclude, in ogni caso, che i russi, o i filorussi del Donbass, non raggiungano mai Kiev e si accontentino di prendere il controllo della parte meridionale dell’Ucraina.

[10] Stime dell’intelligence americana, come riportato dall’ambasciatore americano al Forum per la Cooperazione per la Sicurezza a Vienna il 18 Febbraio 2022 – Link. Stima riportata da tutte le testate giornalistiche mondiali, tra queste si segnala un articolo di Open ed uno della BBC britannica.

[11] Ex multis un articolo di Sicurezza Internazionale edito dalla LUISS di Roma – Link

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