Stupro, arma di ogni guerra

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La tecnologia, nei conflitti, regna sovrana. Carri armati, e poi armi chimiche, droni, fucili d’assalto, sistemi audio-video, robot spia, missili ultraveloci. La guerra si innova, le conquiste si rinnovano. Le guerre proseguono, gli strumenti cambiano. Ogni guerra è più sofisticata della precedente. Ogni guerra è diversa. Eppure, dai tempi dei romani, c’è un’arma che non è mai cambiata e che mai è stata abbandonata: lo stupro. Un’arma che invade corpi, strumento di conquista quasi invisibile, che viola mentre le bombe cadono, mentre il rumore della guerra assorda e immagini di terreni di conflitto acciecano. La donna, in silenzio, è campo di battaglia. Oggetto di conquista. Lo stupro, è strumento di massima sottomissione. 

La guerra all’interno dei confini europei ha risvegliato per un istante le coscienze collettive sulla pratica dello stupro di guerra. ‘Pratica’, potrebbe suonare come un termine anomalo o inadatto in riferimento ad atti di stupro, ma la sistematicità e la consuetudine con cui tale strumento si è conquistato un posto nella storia dei conflitti, permettono di identificarlo come una pratica precostituita, sperimentata e ben salda nella storia della guerra.

Anche durante i due conflitti mondiali lo stupro è stato arma primaria ed invisibile di conquista. Durante i processi di Norimberga (1945-46) e di Tokyo (1946-48), però, di tali violenze non si fece cenno. Lo stupro fu “reato morale” e non condannabile, tantomeno per le potenze vincitrici. 

Nel 1994 i ripetuti stupri durante il genocidio dei Tutsi e degli Hutu moderati hanno provocato un vero e proprio boom demografico perché, in soli 100 giorni, furono violentate oltre mezzo milione di donne, molte delle quali non poterono accedere all’aborto. 

Ogni singolo conflitto che il mondo ha visto ha una storia di stupri che lo accompagna.

Nel 1998, finalmente, lo stupro viene riconosciuto come crimine contro l’umanità grazie al Trattato di Roma, in vigore dal 2002. Stati Uniti, Russia e Cina però, non firmano il trattato. 

Se nel corso di decine di conflitti lo stupro è stato atto di violenza invisibile alla maggioranza, la prossimità geografica e la condivisione di testimonianze che siamo disposti ad ascoltare hanno  però sollevato il caso dello stupro come arma di guerra agli occhi di chiunque. Oggi arrivano storie e racconti dal terreno dell’Ucraina su violenze ripetute e giorni di orrore. Fonti ufficiali si aggiungono a testimonianze locali. Lesia Vasylenko, deputata ucraina, dichiara: “abbiamo notizie di donne che sono state stuprate in gruppo. Alcune sono anziane. La maggior parte è stata giustiziata dopo lo stupro o si è suicidata”.

Nel frattempo, a partire dalla testimonianza di una donna di Brovary (a 20 km da Kiev), l’ufficio del procuratore generale dell’Ucraina ha aperto la prima indagine ufficiale sullo stupro di una donna commesso da due soldati russi che, dopo aver ucciso il marito della donna, l’avrebbero violentata ripetutamente mentre il figlio di 4 anni piangeva nella stanza di fianco. Decine di intercettazioni telefoniche sulle linee dei soldati russi permettono di confermare i racconti di crimini, stupri, violenze. 

Lo sfondo cambia ma i racconti di stupri violenti e ripetuti si susseguono. 

Dovremmo forse quindi chiederci: siamo sicuri che nei contesti di guerra lo stupro abbia davvero solo a che fare con il sesso?

Violenze reiterate e sistematiche, perpetue e collettive, ci permettono di andare oltre l’intuitiva associazione tra stupro e gratificazione sessuale e chiederci quale sia il terreno comune tra guerre e tali violenze. La risposta è il potere, l’assoggettamento. Il corpo della donna è terreno di conquista, affermazione di predominio. Ogni guerra toglie il velo dai rapporti di dominio che già strisciano ed esistono e in un mondo a dominazione maschile la violenza di genere trova la sua massima espressione durante la guerra. Conquista e subordinazione vengono imposte sui corpi delle donne, trofeo, strumento, monito di potere.

Lo stupro umilia ed annienta per ricordare che il potere si conquista a mani dure, e passa per la dominazione del corpo femminile. 

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