Montanelli e la sua Africa

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Ogni storia non è mai solo bianca o solo nera, ma è un’infinita scala di grigi.

La storia di Montanelli contiene, dentro di sé, luci ed ombre. Ed il recente atto (non il primo) contro la statua del giornalista impone un esame del fatto che lo stesso giornalista raccontò in un’intervista nel 1969 (senza considerare che oggi un’intervista del genere sarebbe, probabilmente, censurata). Nello spezzone presente su YouTube, egli stesso descrive questa intera storia e vale la pena sentire l’intero video, del resto estremamente breve. In questo spezzone appare anche l’attivista femminista Elvira Banotti, che incalza Montanelli anche su questo “contratto matrimoniale”.

E’ difficile, oggi, giudicare con occhio obiettivo pratiche che avvenivano quasi cent’anni fa. E senza la giusta prospettiva, si rischia di perdere l’orientamento su questo fatto, che non ho timore a definire indecente, figlio della teoria colonialista, che ha coinvolto tutte le nazioni europee a cavallo tra Ottocento e Novecento.

Montanelli, in un’intervista successiva, si ritrova a raccontare al collega Enzo Biagi della sua esperienza come militare nell’Africa Orientale Italiana. In questa intervista ci viene raccontato di come il suo sottufficiale avesse “comperato la ragazza, un cavallo ed un fucile per 500 lire” nel 1936. Ebbe a definire la ragazza, Destà, (di età compresa tra i dodici ed i quattordici anni, su questo le fonti non sono chiare) quale “docile animaletto”, che svolgeva le funzioni di cameriera e compagna d’alcova.

Il racconto ci dà uno scorcio sulla pratica del matrimonio di “madamato” (definizione italiana, in quanto le spose erano le “madame” dei soldati). Era, in realtà, l’applicazione di una pratica di matrimonio tipica dell’Africa Orientale chiamata dämòz o “nozze per mercede” (che era una delle tre forme possibili di matrimonio in quell’area).

Questa pratica consisteva in un vero e proprio contratto con i genitori per ottenere una “sposa” molto giovane (generalmente tra i 12 ed i 14 anni), limitato nel tempo, e con l’obbligo, per l’uomo, di occuparsi dell’eventuale prole nata da quest’unione temporanea. La pratica di contrarre questo “matrimonio temporaneo” era incoraggiata dai quadri militari come alternativa preferibile alla frequentazione occasionale di case chiuse, di modo da evitare il contagio di malattie sessualmente trasmissibili. Fu, comunque, un malinteso ‘adeguamento’ al diritto consuetudinario locale, che consentiva all’italiano un assoluto disimpegno, esentandolo da obblighi giuridici, morali e materiali, soprattutto al momento del rientro in patria. Già Ferdinando Martini, primo governatore civile dell’Eritrea dal 1897 al 1907, lo giudicava un “inganno” nei riguardi della donna nativa – che invece si considerava moglie legittima – nel momento in cui la privava delle tutele che le consuetudini locali, al contrario, le garantivano, così come nei riguardi della prole.

Possiamo, quindi, dire che Montanelli contrasse un matrimonio che non era illegale né per i locali né, tantomeno, per la legge italiana ed, anzi, incoraggiato nelle forme intese dagli italiani. Non solo. Tale pratica fu resa illegale per legge, non per motivi umanitari, ma per via della successiva applicazione delle leggi razziali nel 1938. Infatti, va ricordato, che gli Etiopi erano (e sono) di religione cristiana ( di confessione copta) ed il contratto rispettava dei dettami sull’espressione di volontà che erano, all’epoca, condivise da quasi tutte le chiese cristiane (tra cui quella cattolica) dove l’età minima per esprimere un valido consenso, da parte della donna, al matrimonio erano i 14 anni, comunque dispensabili fino ad un minimo di 12.

Quindi, sarebbe fuorviante giudicare la vicenda di Montanelli con l’occhio attuale, ma bisogna calarsi nella realtà storica di cent’anni fa. Non può negarsi che era una pratica disgustosa, né tantomeno che Montanelli non avesse i mezzi morali per capire che quello che faceva fosse un sopruso (da noto liberale, qual egli era). Ma i tabù nella società cambiano: quella era l’Italia del matrimonio indissolubile e la cui età minima (sia per il matrimonio civile che quello concordatario) era fissata a 16 anni per gli uomini e 14 per le donne (ancora valido oggi questo limite, per quello religioso dal Canone 1083).

Non può, quindi, negarsi la grandezza del giornalista e scrittore, ma, come per ogni uomo, ci sono luci ed ombre. Sarebbe fuorviante giudicare Indro Montanelli per questo fatto, ignorandone il contributo dato al giornalismo di questo paese, per quanto si possa essere d’accordo o meno con lui. Lo stesso giornalista non ha mai negato o nascosto questa vicenda, che viene riportata molto spesso e che è ritornata alla ribalta ancora una volta per via dell’atto che si è consumato sulla statua del giornalista. Di figure storiche, oggi celebrate ma controverse, ce ne sono tantissime. Non possiamo eliminare il loro contributo solo per la loro vita personale, altrimenti dovremmo censurare il Caravaggio in quanto assassino, criticare Pertini per gli eccessi da partigiano e Cesare Beccaria, perché fu un tiranno per la figlia nonostante quanto scritto nel “Dei Delitti e delle Pene”.

La statua parla dello scrittore e giornalista Montanelli, non dell’uomo. Una critica seria va fatta verso il primo e non verso il secondo, che non può neanche rispondere alle accuse essendo deceduto. E la storia andrebbe, in ogni caso, contestualizzata al tempo ed al luogo in cui avviene.

Fonti

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