Fumata nera doveva essere e fumata nera è stata.
Alla fine della fiera, come ampiamente pronosticabile e fortemente auspicato da parlamentari che sembrano sempre più la parodia di sé stessi — al punto che il trio di Anna Marchesini, Tullio Solenghi e Massimo Lopez, a confronto, sembrerebbe una compagnia amatoriale da esibizione in parrocchia — il tanto atteso quorum non è stato raggiunto. E, con il suo mancato raggiungimento, si è letteralmente dissolto quel barlume di speranza che una fetta di popolazione lecitamente nutriva in merito a eventuali miglioramenti in tema di lavoro e diritti civili.
I dati relativi all’affluenza sono stati impietosi: appena il 30% degli aventi diritto al voto si è recato alle urne, determinando quella che è a tutti gli effetti un’autentica disfatta per la democrazia in Italia. È incredibile, infatti — a prescindere da ogni considerazione meteorologica favorevole per andarsene al mare, come suggerito da quei simpatici burloni degli esponenti del centrodestra — riscontrare un disinteresse di tale portata per un referendum che aveva come obiettivo principale quello di scardinare precarietà e squilibri nel mondo del lavoro, introdotti anni fa da quel gigantesco disastro chiamato Jobs Act, firmato da Matteo Renzi.
E se da una parte si può provare a comprendere — prima gli inviti alla balneazione, poi i festeggiamenti per l’annullamento del referendum — da parte degli esponenti di governo (che, del resto, tra un Angelucci e una Fascina nelle loro fila, sono i maestri indiscussi dell’assenteismo in Italia), dall’altra si fa fatica a concepire come sia possibile un atteggiamento così rinunciatario da parte di chi col lavoro deve tirare a campare, e avrebbe tutto l’interesse a ottenere condizioni più favorevoli di quelle attuali.
La causa principale di un esito così catastrofico affonda le sue radici in un problema che oggi rappresenta la vera emergenza in Italia: l’analfabetismo funzionale.
Secondo l’indagine PIAAC dell’Ocse, ripresa in dettaglio in un articolo del Sole 24 Ore del dicembre scorso1, l’Italia risulta ultima tra i grandi Paesi industrializzati, con oltre un terzo degli adulti in una condizione di analfabetismo funzionale e quasi la metà con gravi difficoltà nella risoluzione dei problemi. In generale, si registra un significativo aumento delle persone in difficoltà con la lettura, la comprensione dei testi e il calcolo.
Sempre secondo l’articolo del Sole 24 Ore, il Programme for the International Assessment of Adult Competencies, svolto nel 2023, sottolinea come le competenze siano fondamentali per partecipare con successo alla vita economica e politica di un Paese: gli adulti che le possiedono riescono a orientarsi meglio e contribuiscono a decisioni e politiche più consapevoli.
Molti adulti con competenze ridotte, invece, si sentono esclusi dai processi politici e non sono in grado di interagire con informazioni complesse, il che rappresenta una crescente preoccupazione per le democrazie moderne.
Il che gioca tutto a vantaggio di una classe politica inetta e volgare, che vede nella democrazia un nemico da abbattere, riuscendo persino a farci rimpiangere i politici della Prima Repubblica — che, al confronto, sembra la cucina di un ristorante stellato Michelin in servizio nell’ora di punta.
Gente privilegiata, figlia dell’era del berlusconismo, che fa dell’individuazione del nemico di turno nelle minoranze (omosessuali, extracomunitari e via dicendo) la propria vile costante propagandistica; che ha dimenticato tutte le promesse a buon mercato fatte in campagna elettorale; e che è riuscita a convincere gran parte dei propri elettori a detestare la democrazia, fino ad assimilarne una forma distorta.
Non si spiegherebbe altrimenti, se non come una distorsione della democrazia, la giustificazione dell’astensionismo al referendum come diritto acquisito in uno Stato democratico — con annesso scarico di ingenti quantità di materiale organico su chi osa ricordare che il vero diritto è quello che si esercita in cabina elettorale.
Una popolazione istruita e consapevole sarebbe lontana anni luce da un simile pensiero, e avrebbe senz’altro fatto il proprio dovere alle urne, senza il retropensiero che il referendum fosse un cavallo di Troia per inondare le strade di immigrati attraverso l’inserimento del quinto quesito.
In ottica futura, bisognerebbe correre ai ripari, per evitare che quel poco di democrazia che ci resta — in un periodo in cui gli organi di informazione sembrano sempre più l’Istituto Luce in chiave moderna — venga definitivamente compromesso.
Al netto degli investimenti sulla cultura, che ad oggi sembrano pura utopia, per rendere credibile in futuro uno strumento di democrazia diretta come il referendum, servirebbero almeno due provvedimenti:
1. Abolire una volta per tutte il quorum (alle politiche non esiste), per valorizzare i cittadini che adempiono al proprio dovere e penalizzare chi se ne infischia, dando priorità alla scelta esplicita rispetto all’astensione;
2. Revocare il diritto di voto a tutti coloro che si astengono senza giustificato motivo per due tornate consecutive.
Solo così si può recuperare un briciolo di credibilità democratica in un Paese che, più che alla frutta, sembra già al caffè e al digestivo.
Ma mentre si auspicherebbero provvedimenti in tal senso, c’è già un Tajani che fa uno scatto alla Bolt nella direzione opposta, proponendo di raddoppiare — da 500.000 a un milione — le firme necessarie per indire un referendum.
A conferma del fatto, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che questa classe politica sta alla democrazia come Rocco Siffredi sta alla castità. Il tutto, per la gioia di una popolazione sempre più lobotomizzata.