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Referendum: cos’è un Parlamento?

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Il parlamento è, volendo dare una definizione essenziale, il luogo dove si adottano le decisioni di uno Stato, l’unico organo legittimato ad esercitare la funzione legislativa di uno Stato. Il suo potere varia da ordinamento ad ordinamento ed è conosciuto con vari nomi (Dieta, Congresso, Assemblea nazionale ed altri). Lo stesso termine deriva dal francese, parlement, che indica l’azione del parlare: è, dunque, il luogo deputato al discutere ed al ragionare fra tutte le parti che compongono una società e da ciò si esercita il potere di fare le leggi.

Va fatta anche una precisazione terminologica: “parlamento” indica tutte le camere in cui esso può dividersi, in quanto in molti Paesi vige il bicameralismo, perfetto, asimmetrico od imperfetto. Parlare di una Camera o di un Senato è una metonimia, che indica una parte per il tutto; parlare del parlamento per intero vuol dire comprendere le camere di cui esso è composto.

I primi parlamenti sono nati nel Medioevo, ma non avevano nulla in comune con l’istituzione democratica moderna. Il parlamento moderno nasce con la Rivoluzione Francese. Questo, proprio per la sua potenzialità di rappresentare tutte le parti, venne ritenuta il miglior compromesso tra l’esigenza di una democrazia diretta e le limitazioni dovute ai mezzi dell’epoca (ed in parte ancora attuali). Nasceva così il concetto di democrazia indiretta ed il parlamento ne costituiva il perno fondamentale. Senza di esso, non era possibile costruire alcun tipo di rappresentanza, che fosse libera e che portasse in unico luogo le istanze di tutti i cittadini.

Per questo il parlamento costituisce, usando le parole di Hegel, il “porticato tra Stato e società civile”.

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Sala del Maneggio, Palazzo delle Tuileries, sede del primo parlamento eletto a suffragio universale.

Le attuali funzioni legislativa e rappresentativa del parlamento sono la diretta conseguenza del principio di sovranità popolare, una conquista a cui oggi sembra impossibile rinunciare. Tale principio è da noi espresso efficacemente dall’art. 1 comma II della Costituzione Italiana ed in altri Paesi con formule simili:

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Tale frase afferma che è solo dalla legittimazione politica che un organo politico può emanare leggi. La grande conquista della Rivoluzione è stato il passaggio dalla legittimazione divina dei sovrani alla legittimazione popolare delle democrazie moderne. Ogni cittadino è titolare del potere attraverso il voto espresso a suffragio universale e diretto, in quanto è il popolo ad essere sovrano.

Il Parlamento italiano, una dura conquista.

L’origine del Parlamento della Repubblica Italiana è da ricercarsi nello Statuto Albertino del Regno di Sardegna del 1848. Il Parlamento del Regno era costituito da due Camere, una elettiva, la Camera dei Deputati e l’altra di nomina regia, il Senato del Regno. Dopo l’Unità d’Italia, nel 1861, rimase, come testo costituzionale, lo Statuto Albertino che venne applicato a tutta Italia, come concessione del re Vittorio Emanuele II. Da queste basi partì l’esperienza parlamentare dell’Italia unita, sebbene non fosse un Parlamento per tutti.

Ben noto è infatti il carattere elitario dell’elettorato attivo durante le prime elezioni dell’Italia unita: potevano votare solo persone alfabete, di anni 25 e che pagassero almeno 40 lire l’anno di tasse. Infatti, alle prime elezioni per la Camera dei Deputati su 22 milioni di abitanti del Regno d’Italia, avevano il diritto di voto poco più di 400 mila persone. Per consuetudine costituzionale, l’unica camera a cui il Governo chiedeva la fiducia era la Camera dei Deputati, pur se questa continuava a condividere il potere legislativo con il Senato del Regno, tanto che, per garantirsi il favore anche in Senato, i Governi procedevano alle “infornate” di nomine regie di senatori.

Il suffragio universale maschile arriverà solo nel 1918, mentre il proporzionale venne adottato a seguito delle pressioni del Partito Socialista Italiano nel 1919. Mancava ancora il suffragio femminile, nonostante l’allargamento della base elettorale e nonostante il movimento suffragista mondiale.

La lenta evoluzione del parlamentarismo monarchico avrà fine con la dittatura fascista. Con la Marcia su Roma del 1922 ed il primo Governo di Benito Mussolini, iniziò la “rivoluzione fascista” e l’umiliazione dell’istituto parlamentare. Ebbe a dire nel discorso inaugurale il “duce” del Partito Fascista:

Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.

Primo discorso alla Camera dei Deputati di Benito Mussolini come Presidente del Consiglio, 16 Novembre 1922.

Già da queste prime parole moltissimi capirono che il Parlamento Italiano stava per morire. Già dopo un anno Giacomo Matteotti aveva pubblicato la famosa “Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia”, ma il suo grido rimase inascoltato anche dopo la pubblicazione, a Londra, del libro “Un anno di dominazione fascista” nel 1924. Di fatto l’epilogo del Parlamento Italiano sarà proprio la morte del deputato socialista, a seguito del suo discorso sui brogli compiuti dai fascisti durante le elezioni del 1924, le quali erano state tenute sulla base della Legge Acerbo che dava al partito con il 25% delle preferenze il 66% dei seggi. Ebbe a dire il deputato:

Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. […] L’elezione, secondo noi, è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. […] Per vostra stessa conferma (dei parlamentari fascisti) dunque, nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà… […] Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse

Discorso di denuncia dei brogli, Giacomo Matteotti, 30 Maggio 1924, estratto.

Successivamente le elezioni divennero plebiscitarie: il cittadino poteva esprimere soltanto Si o No davanti ad una lista, senza preferenze, presentata dal Partito Nazionale Fascista, mentre nel 1928 il Parlamento venne svuotato di ogni potere residuo e buona parte delle sue funzioni vennero trasferite al Gran Consiglio del Fascismo, già organo supremo del Partito. In seguito, la pietra tombale sull’istituzione della Camera dei Deputati fu la sua trasformazione nella Camera dei Fasci e delle Corporazioni, organo non elettivo, ma scelto e nominato direttamente dal Partito.

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Il Parlamento Italiano trasformato in un “bivacco di soldati”, 1925.

Sarà la caduta del Fascismo, a seguito della Seconda Guerra Mondiale, a far rinascere il Parlamento come istituzione, stavolta sotto le insegne di una forma di Stato repubblicano. Infatti, con il referendum del 1946, vi fu il primo voto a suffragio universale della storia italiana e le prime libere elezioni dal 1921, con cui si votò anche per l’Assemblea Costituzionale. Fu decretata la vittoria della forma repubblicana e, da questi presupposti, si poté incominciare a costruire una nuova Costituzione per la Repubblica Italiana.

L’Assemblea Costituente elesse come Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, liberale e monarchico, e, nel 1946 poterono cominciare i lavori per la Costituzione. L’Assemblea era ripartita tra il fronte socialista e marxista (219 seggi), la Democrazia Cristiana (207 seggi) ed un gruppo di partiti di area liberale (poco meno di 100 seggi) insieme con altri partiti minori.

La Costituzione venne promulgata nel 1948, dopo un lunghissimo lavoro di compromesso tra l’area socialista e quella democristiana dell’Assemblea Costituente, con un importante contributo anche da parte dei liberali. Per quanto riguarda l’ordinamento della Repubblica, la scelta dei Costituenti cadde su un parlamentarismo molto forte. Fu una decisione aprioristica, tesa ad evitare una concentrazione del potere nelle mani di un singolo individuo. Ciò è evidente nei Lavori della Seconda Sottocommissione del 3 Settembre 1946, il cui relatore era Mortati che affermava:

[…] rispetto alla forma presidenziale, è la funzione esecutiva del Presidente, il quale deriva la sua origine direttamente dal popolo. Questo importa il pericolo che si accentri in tale organo un complesso di poteri tale che esso possa abusarne.

Costantino Mortati, Lavori della Seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione, Relazione del 3 Settembre 1946 consultabile su http://legislature.camera.it/_dati/Costituente/Lavori/II_Sottocommissione/sed007/sed007nc.pdf

Altra novità rilevante fu l’affermazione della funzione legislativa collettiva delle due Camere, all’articolo 70, su cui non mancarono discussioni all’interno dell’Assemblea Costituente. Se anche prevalse l’indirizzo del bicameralismo perfetto, fin da subito Mortati in Commissione espose l’idea di una funzione ritardatrice e di controllo sull’operato della prima Camera.

Una delle discussioni più accese fu, comunque, sulla legge elettorale di entrambe le Camere: non tanto la scelta tra i vari sistemi possibili, ma se la legge stessa dovesse essere ordinaria o andasse sancita in Costituzione. Mortati stesso affermò, all’inizio dei lavori della II Sottocommissione:

Anche la legge elettorale politica, che serve alla formazione della prima Camera, è un elemento troppo essenziale perché si possa considerarlo di dettaglio o di carattere soltanto esecutivo : i particolari si possono rimandare ad una legge speciale; ma il sistema che si vuole adottare dovrà essere fissato nella Costituzione, perché l’accoglimento di uno o di un altro sistema porta a conseguenze diverse nel funzionamento dell’organo.

Costantino Mortati, Lavori della Seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione, Relazione del 3 Settembre 1946, vedi link precedente.

La scelta cadde, da ultimo, su una legge elettorale di tipo ordinario, ma con il rapporto eletti/popolazione sancito in Costituzione. Prevalse, quindi, un modello di legge elettorale flessibile, ma si auspicava, in ogni caso, la massima prudenza in caso di modifica della legge elettorale, con il maggior accordo possibile tra le forze politiche.

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Lavori dell’Assemblea Costituente a Palazzo Montecitorio, 1946.

Un altro problema, particolarmente sentito allora come adesso con il venturo referendum, fu la rappresentatività. Infatti il testo costituzionale precedente alla legge costituzionale n. 2/1963 riguardante le due Camere affermava agli articoli 56 e 57:

La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, in ragione di un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila

Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale. A ciascuna Regione è attribuito un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila

Articolo 56 e 57 Costituzione, formulazione originale del 1948

Era stato, dunque, originariamente adottato un numero di parlamentari “mobile”, proporzionale alla popolazione registrata al censimento ed un aumento della stessa avrebbe portato all’aumento dei parlamentari. La discussione nella Commissione fu molto accesa proprio sul numero di parlamentari, si giocava ogni giorno e, secondo alcuni, ogni ora, sui rapporti ed i numeri. Su una cosa furono tutti d’accordo: il numero dei rappresentanti doveva essere proporzionale alla popolazione e quella proporzione andava sancita in Costituzione. Il grande scontro tra le varie forze politiche fu proprio sul rapporto numerico.

Merita di essere ricordato, di questo dibattito un intervento sul numero dei parlamentari:

Quanto alle spese, ancora oggi non v’è giornale conservatore o reazionario che non tratti questo argomento così debole e facilone. Anche se i rappresentanti eletti nelle varie Camere dovessero costare qualche centinaio di milioni in più, si tenga conto che di fronte ad un bilancio statale che è di centinaia di miliardi, l’inconveniente non sarebbe tale da rinunziare ai vantaggi della rappresentanza.

Umberto Terracini, Adunanza Plenaria della Commissione per la Costituzione, 27 Gennaio 1947, estratto.

Alla fine il rapporto tra rappresentanti e rappresentati fu sancito, per la Camera dei Deputati, in rapporto 1:80 mila, mentre per il Senato si sancì il rapporto di 1:200 mila ed il maggior numero di Deputati segnava il maggior peso politico della Camera rispetto al Senato. L’attuale numero fisso venne sancito dalla legge costituzionale n.2 del 1963.

Quindi, non si deve pensare che il Parlamento, come istituzione, sia immutabile. Ci sono già state piccole riforme costituzionali che sono andate a modificare alcuni dettagli e non si deve dimenticare il peso della legge elettorale che, essendo stata soggetta, negli anni recenti, a moltissimi cambiamenti, è l’aspetto del sistema parlamentare maggiormente mutato. Mentre il funzionamento quotidiano delle Camere è disciplinato dai relativi Regolamenti, anch’essi sono stati modificati varie volte nel corso degli anni.

Ma il sistema elettorale determina la composizione ed i rapporti di forza all’interno delle aule parlamentari e, quindi, influisce sul funzionamento stesso delle Assemblee, come diceva Mortati. Esso resta modificabile dalla maggioranza di turno e questa, probabilmente, è stata la scelta meno lungimirante fatta dall’Assemblea Costituente nel 1948.

Ma il Parlamento resta il presidio fondamentale della democrazia in Italia. Lo avevano capito bene i Costituenti che, in certi passaggi dei Lavori per la Costituzione, si erano spinti anche molto oltre rispetto al testo finale della Costituzione. Il problema del Parlamento non è l’istituzione in sé, ma coloro che lo popolano. La vera arma del cittadino in un sistema a sovranità popolare è, e deve essere il voto.

Per cambiare, molto spesso, basta un gesto semplice senza dover modificare, in ogni stagione, pezzi della Costituzione.

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