L’Università degli orrori.

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È successo un’altra volta, è successo ancora, e non siamo riusciti ad impedirlo per l’ennesima volta.
È accaduto tutto lunedì 19 luglio, alle 11 del mattino circa, quando un giovane studente della Federico II di Napoli, iscritto alla Facoltà di Lettere e Filosofia, si è tolto la vita precipitando da uno dei piani superiori dell’edificio. Il giovane, dall’età di 25 anni, aveva comunicato ad amici e parenti che a breve avrebbe discusso la tesi di laurea e festeggiato con tutti quanti loro il traguardo raggiunto; tuttavia la verità è tutt’altro che rosea. Difatti, il giovane Antonio non aveva ancora terminato il suo percorso di studi e gli esami da dare erano ancora tanti.

Dunque, ci si chiede perché questo gesto così estremo, perché questo silenzio, perché queste menzogne. Gennaro, il suo migliore amico, racconta agli inquirenti che solo qualche giorno prima Antonio gli avrebbe chiesto una tipografia economica, per rilegare la tesi, ché tanto avrebbero festeggiato assieme perché anche Gennaro a breve avrebbe terminato gli studi.

Purtroppo, non è la prima volta che un giovane studente dell’età di Antonio sceglie di togliersi la vita così, di colpo, e più volte la motivazione è quasi sempre la stessa: un rallentamento nel percorso universitario, un esame che proprio non si riesce a dare, uno stato di ansia incomprensibile che a volte ti ferma addirittura dall’entrare in un’aula e seguire la lezione con i tuoi colleghi. Colleghi convinti che vada tutto bene, perché sì, a loro sembra andare tutto bene – eppure la verità è agghiacciante e ti soffoca nel letto ogni notte. La mattina seguente ti svegli e il tuo compagno di corso non c’è più. Ti chiedi perché, ti danni perché sai che avresti potuto aiutarlo, se solo ti avesse chiesto aiuto, e ti danni soprattutto perché non ti sei mai accorto di nulla.

E il nulla è tutto ciò che è rimasto adesso.

Ma di chi è la colpa, allora? Dei ragazzi silenziosi che non riescono ad esprimere i loro malesseri, dei colleghi universitari troppo indaffarati per accorgersi degli altri? Dell’Università che – nonostante tutto – ha continuato nel proseguire con i festeggiamenti delle sedute di laurea del 19 Luglio, con il corpo di Antonio nel cortile? È un circolo vizioso di colpe mai espresse e mai giudicate. Fatto sta che troppi sono i numeri, troppo sono i morti suicidi con lo scenario accademico alle spalle.

“La loro scelta simboleggia un grido d’accusa al sistema basato sull’individualismo, sulla competizione e sulla meritocrazia che regola l’università di oggi.”

Un sistema societario fondato sulla velocità, sulla perfezione e sull’intelligenza: sulla creazione della macchina umana perfetta, pronta per contribuire al boom economico e alla procreazione dell’imprenditorialismo. Una società in cui non c’è spazio per il tempo, per chi resta indietro e assolutamente non c’è spazio per chi non riesce, tanto meno per chi non vuole riuscirci.

Registi scelti per questo teatro degli orrori, i social media: padroni di questa carneficina di massa pronti nell’esibire come statuine oggettificate giovani con i loro ambiti premi, i loro traguardi scolastici ed universitari che – per carità di Dio, congratulazionima non ce ne può fregar veramente de meno delle vostre tre lauree, dei vostri diplomi conseguiti in tre anni di liceo, dei vostri dottorandi su Marte. Su questo dannato palco, gli sciacalli, nell’esibir coriandoli, non hanno alcuno sguardo verso quelli che invece son seduti in ultima fila con lo sguardo puntato verso un altro punto del loro orizzonte, che cercano un’altra strada per raggiungere la reale meta e non quella plasmata dagli altri.

Capita spesso che i genitori si aspettino dai figli la realizzazione dei loro stessi sogni, non dando affatto adito a ciò che realmente vorrebbero essere nella vita. E capita di controparte, che quegli stessi figli non farebbero nulla per deludere le aspettative dei genitori diventati così premurosi, così affettuosi nei loro confronti. Così accade che non si finisce mai di mentire ed indossare maschere, cercando di occupare un proprio posto nel mondo con la testa che ci chiede se smetterà mai di girare così forte.

Quand’è accaduto che siamo diventati adulti con scelte da compiere giorno dopo giorno, senza nessuno a chiederci com’è che ci sentiamo realmente con quella giacca e quella cravatta, dietro alla scrivania di nostro padre, a timbrare un cartellino, a segnare dei voti, a lacrimare di fronte allo specchio del bagno con la voce nella testa che ci assilla io non voglio tutto questo, non l’ho mai mai voluto? Quand’è accaduto che abbiamo smesso di farci ascoltare, di crescere nella consapevolezza di chi siamo veramente, di cosa vogliamo essere? Quand’è accaduto, soprattutto, che abbiamo permesso al sistema di addestrarci, di guidarci? Lo stesso sistema che non conosce i nostri nomi, ma solo i nostri voti: i nostri luridi numeretti a due cifre.

Non è morto un ragazzo di 25 anni lunedì alla Federico II, siamo morti tutti quanti noi studenti, giovani lavoratori precari, in nero. Siamo morti noi, generazione del ’96 che cerca con i denti di soddisfare la vostra fame di competizione, il vostro meccanicismo senza sentimenti.

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