La vittoria di Lula divide il Brasile e scatena la destra reazionaria

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Quando Lula è riuscito a riconquistare il consenso popolare, vincendo le recenti elezioni in Brasile, era noto a tutti che la transizione di potere con l’ex presidente Bolsonaro sarebbe stata molto complessa. Tuttavia pochi si sarebbero aspettati che, a distanza di due anni dall’assalto a Capitol Hill, avvenuto nel gennaio de 2021 ad opera dei sostenitori di Donald Trump, anche il Parlamento brasiliano avrebbe subito un attacco così violento per contrastare il ritorno della sinistra al potere.

L’accaduto

Domenica 8 gennaio migliaia di manifestanti si sono radunati a Brasilia, capitale del Brasile, e hanno fatto irruzione nelle sedi del Parlamento, della Corte Suprema e del Palazzo Planalto, sede della residenza presidenziale. Fuori dagli uffici, hanno alzato la bandiera dell’Impero brasiliano del XIX secolo e hanno gridato al golpe, invocando l’intervento dell’esercito per rimettere Bolsonaro al potere. Mentre appiccavano incendi, distruggevano i seggi della plenaria e rompevano i vetri delle finestre, hanno filmato gli atti di vandalismo con i propri smartphone, mostrandosi sereni e soddisfatti.


Abbiamo sempre detto che non ci saremmo arresi”, ha dichiarato un manifestante, “Il Congresso è nostro. Siamo al potere”.


Le forze federali sono prontamente intervenute sul posto, sparando persino proiettili di gomma dagli elicotteri. In questo modo sono riuscite a riconquistare il controllo della Corte Suprema, del Planalto e del Congresso. Il primo bilancio ha contato 150 arresti, tra cui figura anche l’ex segretario alla sicurezza di Brasilia, Anderson Torres, arrestato subito dopo essere stato esonerato dal proprio incarico.

Foto: Pedro França/Agência Senado

Le reazioni locali e internazionali

Il ministro della Giustizia brasiliano, Flavio Dino, ha affermato che l’assedio è stato un atto di«terrorismo» e di «golpismo», e ha fortemente criticato le modifiche ai piani di sicurezza, nella piazza dei Tre poteri, messe in atto del governatore del Distretto federale, Ibaneis Rocha. Il ministro Dino ha inoltre chiesto che vi siano «verifiche su omissioni» nella condotta di tutti i responsabili, specificando che sussiste il pericolo di nuove azioni antidemocratiche, poiché molte persone sui social network stanno tutt’oggi invitando a proseguire gli atti di vandalismo contro le istituzioni brasiliane.

Il giudice della Corte Suprema Federale, Alexandre de Morales, ha ordinato la rimozione del governatore del Distretto di Brasilia, Ibaneis Rocha, per un periodo di 90 giorni, dal momento che egli avrebbe ignorato tutte le richieste di rafforzamento della sicurezza avanzate da varie autorità, affermando che «la violenta escalation di atti criminali è circostanza che può verificarsi solo con il consenso, e anche l’effettiva partecipazione, delle autorità competenti per la sicurezza pubblica e l’intelligence».

Secondo il neo-presidente Lula, sarebbe stato Bolsonaro ad innescare la rivolta, poiché con il suo “urlare al complotto” avrebbe egli stesso fomentato attacchi contro i tre poteri. Lula, che non era a Brasilia durante l’invasione, ha emesso un decreto di emergenza fino al 31 gennaio, che consente al governo federale di prendere “tutte le misure necessarie” per ristabilire l’ordine nella capitale, sottolineando che l’attacco che si è verificato non ha precedenti nella storia politica brasiliana. Dai Paesi dell’Unione Europa è giunta una condanna quasi unanime della violenta insurrezione, allo stesso modo piena solidarietà è stata manifestata anche dal presidente americano Joe Biden, il quale ha definito “terribile” il modo in cui i sostenitori dell’ex presidente Bolsonaro hanno invaso e leso le istituzioni brasiliane.

Brasilia è la nuova Capitol Hill?

C’è un filo rosso che lega l’irruzione dei sostenitori di Donald Trump a Capitol Hill e l’assalto al parlamento brasiliano da parte dei supporters di Bolsonaro. I parallelismi tra i due attacchi sono molteplici. Tutto nasce dal malcontento, dalla delusione per l’affermazione politica dell’avversario, vale a dire Joe Biden negli USA e Inacio Lula da Silva in Brasile.

Le proteste vengono portate avanti, in entrambi i casi, con estrema violenza, sovvertendo le regole democratiche e diffondendo teorie complottiste su presunti brogli elettorali. Similari risultano anche le reazioni dei due presidenti uscenti, che hanno condannato con troppa timidezza l’accaduto, spalleggiando in qualche modo i propri seguaci. Al momento dell’irruzione negli uffici presidenziali, Bolsonaro non si trovava in Brasile, bensì in Florida, dove aveva programmato di restare per alcuni mesi nella speranza di raffreddare le indagini sulla sua attività di presidente.

«Le manifestazioni pacifiche, secondo la legge, fanno parte della democrazia. I saccheggi e le irruzioni di edifici pubblici come quelli di oggi, così come quelli praticati dalla sinistra nel 2013 e nel 2017, sono illegali», così ha esordito su Twitter l’ex presidente Bolsonaro, rispedendo al mittente le accuse secondo cui sarebbe stato lui il “mandante morale” dell’assalto, per aver istigato il proprio elettorato a credere che le elezioni brasiliane fossero state truccate.

Ma è davvero possibile escludere del tutto un condizionamento da parte del presidente uscente? Lo scorso novembre, il capo della Corte suprema elettorale del Brasile aveva respinto la richiesta di Bolsonaro circa l’annullamento di un cospicuo numero di voti espressi con il sistema elettronico, durante il ballottaggio presidenziale tenutosi il 30 ottobre. Nella relativa sentenza, il giudice Alexandre de Moraes ha definito l’istanza del ricorrente bizzarra, illecita e totalmente in malafede, per via dell’assenza di prove sulla presunta irregolarità dei voti espressi tramite le piattaforme digitali. Da quel momento in poi, a livello giuridico l’opposizione al nuovo esecutivo si è sostanzialmente arrestata, ma sui social network le accuse da parte di personalità politiche molto vicine a Bolsonaro non sono mai cessate, favorendo la diffusione di teorie complottiste che hanno inevitabilmente fomentato i fan dell’ex presidente a credere che la sinistra avesse truccato gli esiti del voto, e di conseguenza che fosse necessario opporsi all’insediamento di Lula.

Un comportamento analogo è stato assunto da Donald Trump per i fatti accaduti il 6 gennaio 2021, subito dopo l’affermazione di Biden alle elezioni presidenziali americane, con una yiepida condanna dell’ assalto, dichiarazione di estraneità rispetto all’accaduto, ma anche la ferma convinzione che i risultati elettorali fossero truccati. Nel rapporto finale della commissione d’inchiesta della Camera statunitense, la quale ha indagato sui fatti di Capitol Hill, Trump è stato tuttavia accusato di aver cospirato contro la democrazia, poiché l’irruzione violenta dei suoi sostenitori all’interno del Campidoglio non è stata casuale ma parte di un piano molto elaborato dell’ex presidente per stravolgere le elezioni. «La causa principale del 6 gennaio è stata un uomo, l’ex presidente Donald Trump, che è stato seguito da molti altri. Nessuno degli eventi sarebbe accaduto senza di lui», si legge nel documento, lungo ben 845 pagine.

Trump e Bolsonaro: due facce dello stesso modo di fare politica

Oggi in Brasile coesistono due distinte realtà: una nella quale Lula ha vinto le elezioni in maniera leale e trasparente, un’altra in cui Bolsonaro non è stato sconfitto, non ha perso, bensì è stato vittima di un piano della sinistra, un vero e proprio furto elettorale. A questa seconda realtà crede circa il 30% degli elettori brasiliani, per i quali l’ex presidente non è uno spregiudicato fuggito negli Stati Uniti al fine di distogliere l’attenzione dalle questioni legali in cui è coinvolto, ma rappresenta una visione alternativa dello scenario politico corrente, visione in cui milioni di persone si riconoscono. Trump e Bolsonaro vengono pertanto considerati vittime di complotti e, agli occhi dei propri sostenitori, diventano i protagonisti indiscussi di un mondo nel quale vige ancora il principio della forza per l’affermazione delle proprie idee, in cui è meglio non fidarsi delle istituzioni e dei meccanismi democratici, ma conviene, piuttosto, armarsi e farsi giustizia da sé. Tutto ciò è il risultato di un modo di fare politica tipico della destra reazionaria, la quale, anziché lavorare per rimarginare le spaccature sociali, tende a fomentarle, ad accrescere e stigmatizzare le differenze di qualsiasi genere. Entrambi hanno trasformato l’agone politico in un’arena, in cui non ci si scontra più sul piano delle idee e dei progetti, bensì sul piano della demonizzazione e delegittimazione dell’avversario. Quando, tuttavia, il nemico demonizzato riesce comunque a vincere, come successo sia negli USA che in Brasile, quella distorta narrazione della realtà va in tilt, e cede facilmente il passo alla violenza, come mezzo per ripristinare un ordine sociale che, secondo gli estremisti di destra, sarebbe stato violato.

(Mar a Lago – Flórida, 07/03/2020). Foto: Alan Santos/PR

L’alternanza tra le diverse forze politiche, in generale, è una caratteristica naturale, quasi ontologica, delle democrazie moderne, per via della mutevolezza e della mobilità del consenso popolare. L’assalto a Capitol Hill e l’assalto alle istituzioni brasiliane rappresentano il fallimento dell’intero sistema democratico, poiché tramite la violenza si è convinti di poter raggiungere qualsiasi obiettivo, finanche rinnegare un risultato elettorale certo, generando caos e disordine sociale. Occorre chiedersi però se il tarlo che sta erodendo i principi della democrazia sia un problema esclusivamente degli USA e del Brasile, o un problema che sta interessando gran parte del mondo.

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Una millennial appassionata di politica e diritti umani. Scrivo per diletto e dedizione verso la buona informazione.

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