Omogenitorialità

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Non esiste solo la famiglia naturale: l’omogenitorialità è una realtà di fatto con cui le istituzioni europee devono fare i conti

Il termine “omogenitorialità” è stato coniato nel 1997 dall’Associazione dei Genitori e Futuri Genitori Gay e Lesbiche (APGL): si fa riferimento, con esso, ad una coppia dello stesso sesso che ama, educa e cresce uno o più figli.

Il motivo principale dell’opposizione a questo modello di famiglia è legato a radicati stereotipi sociali; uno tra questi riguarda i disagi psicologici che il bambino potrebbe riscontrare essendo cresciuto da due individui dello stesso sesso. A tal proposito Alessandro Taurino, ricercatore di Psicologia Clinica, afferma che: “[…] non ci sono presupposti teorico-concettuali, al di là di visioni preconcette, sulla base dei quali è possibile asserire che un soggetto con orientamento omosessuale sia un individuo incapace di garantire protezione, affetto, cura e sicurezza […]”. Allo stesso modo, non è possibile affermare che una persona eterosessuale sia “naturalmente” in grado di adempiere in modo sufficientemente responsivo ai compiti che la genitorialità propone.”, e aggiunge: “La validità di un nucleo non si fonda sul suo modello strutturale o sulla sua supposta “naturalità”, ma piuttosto sulla qualità delle relazioni tra le persone che la compongono: a priori la genitorialità non può essere considerata né funzionale né disfunzionale. Non sarebbe corretto considerare i costrutti di orientamento sessuale e di “buona” genitorialità come dipendenti e imprescindibili l’uno dall’altro; di conseguenza l’orientamento sessuale, sia esso etero o omosessuale, non è una variabile da prendere in considerazione per valutare la qualità delle competenze genitoriali di una persona.”. L’errore che il ricercatore ha tentato di sottolineare sta nel considerare come problematico o disfunzionale tutto ciò che non è legato al concetto di “famiglia tradizionale” spiegato in precedenza e tenuto in considerazione come unico modello di paragone valido.

Timothy Biblarz della University of Southern California e Judith Stacey della New York University escludono categoricamente la presenza di un qualsiasi danno che possa essere causato ai figli dall’orientamento sessuale dei genitori. Al contrario, ciò che emerge come specificità è:

  • Una maggior apertura alle differenze nei figli che crescono in famiglie omogenitoriali;
  • Un maggior distacco dai ruoli di genere tradizionali;
  • Una superiore capacità critica nell’affrontare stereotipi e pregiudizi.

In che modo è possibile costruire una famiglia omogenitoriale?

Le new families hanno manifestato e continuano a manifestare un particolare interesse verso la genitorialità, difficile da realizzare in modo naturale. Per questa ragione esse sono solite ricorrere alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) o, in casi minori, all’adozione. Nello specifico, le coppie lesbiche sono solite ricorrere alla fecondazione eterologa, basata cioè sulla donazione del gamete maschile da parte di un donatore anonimo, mentre le coppie omosessuali sono solite far ricorso alla maternità surrogata. In genere, il riconoscimento del rapporto di filiazione nei confronti del genitore che ha fornito il contributo genetico per la nascita del bambino avviene in maniera quasi automatica, in virtù della cosiddetta “discendenza biologica” (principio non previsto espressamente dal nostro Codice Civile, ma che viene comunemente fatto risalire al Titolo VII del Libro I).

Nel contesto italiano i problemi sorgono in riferimento al riconoscimento della filiazione nei confronti del genitore intenzionale, vale a dire il partner del genitore biologico, non avendo egli alcun legame genetico con il minore. Per tale ragione, si suole far ricorso all’adozione, in questo caso propriamente definitiva “stepchild adoption”.

Le diverse forme di adozione in Italia e in UE

Nell’ordinamento italiano sono presenti due distinte tipologie di adozione: il primo modello prende il nome di adozione legittimante o piena, in virtù della quale si instaura un legittimo rapporto di filiazione tra l’adottante e il minore, il quale perde ogni legame giuridico con la famiglia d’origine e acquista il cognome del genitore adottivo. Tale fattispecie è prevista esclusivamente per i coniugi eterosessuali, purché essi abbiano una differenza di età col minore di almeno 18 anni.

Il secondo modello, denominato adozione in casi particolari oppure adozione semplice/ordinaria, non produce l’instaurarsi di un rapporto di filiazione legittima. Il minore conserva il cognome d’origine e, pur diventando erede dei genitori adottivi, non instaura un rapporto di parentela con la famiglia degli stessi, anche se di recente parte di questa normativa è stata modificata. Infatti, lo scorso 24 febbraio, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disciplina dell’adozione in casi particolari nella parte in cui non prevede l’instaurazione del legame di parentela con la famiglia dell’adottante.

La pronuncia della Corte è giunta a seguito di una battaglia avviata dal Gruppo Legale di Famiglie Arcobaleno: nella sentenza si legge che “il mancato riconoscimento dei rapporti civili con i parenti dell’adottante discrimina, in violazione dell’art. 3 della Costituzione, il bambino adottato in casi particolari rispetto agli altri figli, e lo priva di relazioni giuridiche che contribuiscono a formare la sua identità e a consolidare la sua dimensione personale e patrimoniale”. Alla seconda tipologia di adozione, ai sensi dell’art. 44 della legge 184 del 1983, possono accedere anche i single e le coppie conviventi more uxorio.

Pertanto, nel corso del tempo si è cercato di far riferimento a tale base normativa per riconoscere un rapporto di filiazione tra il convivente del genitore biologico e il figlio di costui, ma non in assenza di problematiche. Problematiche di questo genere si sono verificate anche in altri ordinamenti giuridici europei. Attualmente, in quattordici Stati (Belgio, Spagna, Paesi Bassi, Portogallo, Francia, Norvegia, Lussemburgo, Regno Unito, Irlanda, Svezia, Danimarca, Islanda, Malta e Austria) è consentita l’adozione piena alle coppie dello stesso sesso, senza la necessità di ricorrere a procedure particolari. In altri cinque Paesi (Germania, Croazia, Estonia e Slovenia, cui di recente si è aggiunta la Svizzera) le coppie omosessuali non possono accedere alle adozioni “piene”, ma possono legittimamente adottare il figlio (biologico o adottivo) del proprio convivente.

Le tecniche di PMA: in Italia costituiscono un privilegio solo per gli eterosessuali

Il tema dell’omogenitorialità è legato inevitabilmente anche alle tecniche di PMA, le quali non sono riconosciute e pertanto legalizzate in diversi Paesi europei, primo fra tutti l’Italia. La legge n. 40/2004 sancisce espressamente il divieto di ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo e prevede che chiunque, in qualsiasi forma, realizzi, organizzi o pubblicizzi la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità, sarà punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con una multa da 600.000 a 1 milione di euro. L’eccessiva rigidità di questa norma ha costretto tante coppie a una “migrazione riproduttiva” in cerca di Centri di PMA esteri che potessero aiutare loro ad avere un bambino. Tuttavia, nel corso del tempo, grazie ai numerosi interventi giurisprudenziali, è stato gradualmente regolato l’accesso alla PMA anche in centri specializzati italiani, venendo meno l’esigenza di recarsi all’estero. Possono farvi ricorso tutte le coppie infertili maggiorenni, eterosessuali, sposate o conviventi. Per proprietà transitiva, non possono ricorrervi le coppie omosessuali e i single. Pertanto le coppie same-sex sono solite effettuare una vera e propria trasmigrazione verso gli Stati nei quali la pratica è pienamente consentita. A seguito del concepimento del bambino in un Paese estero, i genitori si recano presso la Rappresentanza diplomatica o consolare competente per presentare l’atto di nascita del minore, rilasciato dall’Ufficio dello Stato civile del Paese estero. La nostra autorità diplomatica trasmette poi la richiesta di trascrizione del certificato di nascita all’Ufficio di Stato Civile del Comune di residenza dei genitori e rilascia un documento temporaneo al minore per consentire lui il viaggio di rientro in Italia. Non essendovi però una regolamentazione in materia, tutto è rimesso alla discrezione delle amministrazioni comunali, che possono liberamente decidere di non concedere la trascrizione dell’atto di nascita. Senza quest’ultima il nostro Paese non può riconoscere al bambino lo status di figlio della coppia. Avverso questi provvedimenti viene sovente tirato in ballo l’invalicabile limite dell’ordine pubblico internazionale, quale ultimo baluardo dei valori e delle concezioni che si pongono alla base di una determinata società.

La giurisprudenza della CEDU in tema di omogenitorialità

In questo complesso settore, da molti studiosi definito una nuova frontiera del diritto di famiglia, la giurisprudenza della CEDU è stata determinante. Essa ha sempre riposto particolare attenzione verso la tutela del minore e verso il riconoscimento e la continuità delle sue relazioni affettive, anche svincolate da rapporti biologici e adottivi. La Corte ha affermato il principio della prevalenza dell’interesse del minore di età in tutte le decisioni che lo riguardano: principio vincolante per lo Stato aderente alla Convenzione a prescindere dalla natura del legame (parentale, genetico o sociale) da preservare e dal limite dettato dall’ordine pubblico.

La Corte di Strasburgo si era pronunciata sull’omogenitorialità già nel 2013, attraverso una sentenza nella quale si affermava che all’interno delle coppie omosessuali il partner ha diritto di adottare i figli del proprio compagno, pena la violazione degli artt. 14 e 8 della Convenzione europea dei diritti umani, che sanciscono la non discriminazione e il diritto al rispetto della vita familiare.

Per quanto riguarda invece le tecniche di procreazione medicalmente assistita, e nello specifico la gestazione per altri, la Corte ha concesso agli Stati margini di apprezzamento: trattasi di una clausola generale che consente di lasciare spazio alla sovranità statale nelle materie in cui non vi sia un generale consensus tra le parti contraenti, soprattutto per quelle tematiche politiche e sociali che tendono a coinvolgere sensibilità diverse. Ecco che gli ordinamenti giuridici nazionali hanno dato vita a una pluralità di discipline, più o meno organiche, tese tanto a regolamentare la legittimità delle tecniche riproduttive medicalmente assistite, quanto ad assicurare il riconoscimento dei legami che ne derivano.

La giurisprudenza italiana: tra discriminazione e progresso

L’ordinamento italiano, dal canto suo, rimane ancorato a parametri normativi restrittivi: nel silenzio del legislatore si moltiplicano le pronunce giurisprudenziali di merito, di legittimità e costituzionali, tese a rispondere alle istanze di stabilimento o riconoscimento della filiazione all’interno delle coppie same sex. Con le sentenze n. 19599 del 2016 e n. 14878 del 2017 la Corte di Cassazione, valorizzando il principio del best interest of the child, ha assicurato la continuità transnazionale dello status di figlio legittimamente acquisito all’estero, garantendo la trascrivibilità in Italia, in quanto non contrastante con l’ordine pubblico internazionale, di atti di nascita validamente formati all’estero sulla base del diritto locale, contenenti l’indicazione di ambedue i componenti di una coppia omosessuale femminile. Un passo indietro, se così può essere definito, è stato compiuto dalla Corte Costituzionale nel 2017, con la sentenza n.272 in tema di maternità surrogata. Oltre a ribadire il divieto di accesso a tale pratica, poiché potenzialmente lesiva della dignità della donna e della tenuta delle relazioni umane, la Corte ha legittimato la menzione nell’atto di nascita del nome della madre surrogata, anziché di quello del genitore intenzionale, nell’ottica dell’interesse del minore a conoscere la propria identità. Ancora più restrittiva appare un’altra pronuncia della Corte Costituzionale avutasi due anni dopo, nel 2019, in cui è stata sancita l’inesistenza di un diritto a procreare nelle coppie omosessuali, tenendo in considerazione, per un verso, la funzione delle tecniche procreative medicalmente assistite (vale a dire porre rimedio a forme di infertilità o sterilità patologiche) e, per altro verso, la struttura del nucleo familiare delle suddette tecniche, caratterizzato cioè dalla presenza di un padre e una madre. Sostanzialmente, la Corte dal 2016 in poi si è sempre mossa in un’unica direzione, precisando che la legge Cirinnà, pur riconoscendo dignità giuridica e sociale alle coppie costituite da individui dello stesso sesso, non consente la filiazione, né adottiva né per fecondazione assistita, in loro favore. La ricostruzione giurisprudenziale sin qui delineata consente di comprendere al meglio una delle ultime pronunce della Corte Costituzionale, ossia la sentenza n.230 del 2020. I giudici hanno sancito che gli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione, nonché i parametri convenzionali ed europei richiamati per il tramite dell’art. 117, non autorizzano il riconoscimento delle donne omosessuali civilmente unite quali genitori del nato da fecondazione eterologa praticata dall’una con il consenso dell’altra. Inoltre, per la Consulta la libertà di filiazione, garantita dall’art. 30 della Costituzione, deve essere bilanciata con altri interessi costituzionalmente protetti. D’altronde, come già sottolineato, tanto la Convenzione europea dei diritti dell’uomo quanto la Carta di Nizza, fanno esplicito rinvio alle discipline nazionali, lasciando agli Stati un ampio margine di apprezzamento per le questioni etiche e morali. Tuttavia, con tale sentenza la Corte Costituzionale ha provveduto a inviare un monito al legislatore, unico e solo organo a cui spetta l’adozione di una disciplina in tema di omogenitorialità. Tale svolta rientra nella discrezionalità del Parlamento quale interprete della volontà della collettività, una collettività che soprattutto negli ultimi anni si è mostrata molto propensa al riconoscimento giuridico delle new families.

Nella sentenza del 31 marzo 2021, n. 9006, le Sezioni Unite della Cassazione hanno affrontato un altro delicato nodo dell’odierno patchwork della famiglia contemporanea, pronunciandosi sulla compatibilità dello status genitoriale, di natura adottiva, di una coppia omogenitoriale maschile con i principi propri dell’ordine pubblico internazionale. Per le Sezioni Unite il riconoscimento degli effetti del provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di minore da parte di una coppia di uomini che attribuisca loro lo status genitoriale, secondo il modello dell’adozione piena o legittimante, non contrasta con suddetti principi, non costituendo elemento ostativo il fatto che il nucleo familiare del figlio minore adottivo sia omoaffettivo. Il caso riguardava per l’appunto la richiesta di trascrizione nei registri dello Stato civile italiano dell’adoption order emesso dalla Surrogate’s Court dello Stato di New York che, a seguito del consenso prestato dai genitori biologici all’adozione del proprio figlio, nonché di un’indagine espletata dai servizi sociali circa l’idoneità dei richiedenti, disponeva l’adozione del minore a favore della coppia di uomini, l’uno cittadino italiano naturalizzato americano e l’altro americano, uniti in matrimonio. Da queste vicende giurisprudenziali si apprende bene il grado di contrarietà di gran parte del sistema giudiziario italiano nei confronti della pratica della GPA, avversità condivisa da svariati partiti politici di centro-destra, che dal 2004 a oggi hanno avanzato molteplici proposte di legge volte a estendere la perseguibilità del reato di surrogazione di maternità anche a chi la effettua in altri Paesi. Difatti, nel 2020, tramite due proposte di legge quasi identiche, Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) e Mara Carfagna (Forza Italia) si sono poste l’obiettivo di rendere l’utero in affitto reato universale, punendo anche chi si reca all’estero per diventare genitore. A seguito di tale iniziativa, le associazioni Luca Coscioni e Certi Diritti hanno redatto un testo alternativo, nato dal lavoro straordinario di numerosi giuristi e attivisti per i diritti civili e la salute riproduttiva. Il testo è stato presentato in Parlamento nell’aprile 2021 dai deputati Guia Termini, Doriana Sarli, Riccardo Magi, Nicola Fratoianni ed Elisa Siragusa, ma non è stato approvato.

L’approccio all’omogenitorialità nei diversi Paesi europei

Non esiste un’omogeneità legislativa tra i vari Paesi europei in materia di omogenitorialità. Risulta dunque molto utile, in un’ottica comparatistica, cercare di comprendere quali siano le strade adottate dai singoli Stati. Per quanto riguarda la Spagna, la ley del 26 maggio 2006 n. 14 regola le tecniche di inseminazione artificiale, fecondazione in vitro e trasferimento di embrioni e all’art. 7 stabilisce espressamente che la filiazione dei nati con le tecniche di riproduzione assistita sarà regolata dalle leggi civili. La donazione dei gameti, per essere legale, deve possedere i caratteri dell’irrevocabilità, gratuità, formalità e confidenzialità: pertanto, in caso di GPA, è prevista esclusivamente una compensazione economica per le spese sostenute durante la gravidanza e il travaglio fisico sopportato. Volendo sintetizzare, in Spagna, essendo consentito il matrimonio tra persone dello stesso sesso, sia nel caso di fecondazione omologa che eterologa, basterà che il coniuge presti il consenso affinché l’iscrizione dell’atto di nascita nei registri di stato civile venga effettuata. Difatti, qualora il coniuge di una coppia same sex presti il suo consenso, si produrrà in ogni caso la nascita del rapporto di filiazione (seppur in modo non automatico), come accade nelle coppie eterosessuali coniugate. Il consenso deve essere prestato al momento della nascita del bambino e può essere formalizzato nel documento che attesta il consenso alla riproduzione assistita, innanzi all’ufficiale di stato civile oppure in un atto pubblico.

In Germania, è considerata madre di un minore la donna che lo ha partorito; prevale pertanto il criterio della discendenza biologica, a discapito di quella genetica e di quella sociale. Nell’ordinamento tedesco non esiste una legge sulla procreazione medicalmente assistita; la materia è solo parzialmente disciplinata da una norma riguardante la tutela dell’embrione (Embryonenschutzgesetz), risalente al 13 dicembre 1990.

Quanto alla trascrizione degli atti di nascita redatti all’estero a seguito di procedimenti di maternità surrogata, la giurisprudenza tedesca ha da sempre adottato un atteggiamento piuttosto restrittivo. La Suprema Corte federale ha infatti sempre negato l’ammissibilità della trascrizione di siffatti documenti, non rinvenendo in ciò alcun tipo di lesione di diritti fondamentali. Nello specifico, pur sussistendo un generale divieto di ricorso alla GPA, ciò che si nega è esclusivamente il riconoscimento dello status giuridico della filiazione biologica, cui può comunque porsi rimedio attraverso l’adozione. Nel dicembre 2004 venne infatti approvata una legge che introdusse la possibilità di adottare il figlio biologico di uno dei membri di una coppia omosessuale. In presenza del consenso del genitore naturale e dei servizi sociali, tale procedura consente un’adozione piena, da cui scaturisce un’integrale e completa responsabilità genitoriale. A partire dal 2013, il Tribunale costituzionale federale ha esteso la possibilità di ricorrere alla stepchild adoption anche ai casi in cui tra genitore omosessuale e figlio non vi sia un legame biologico, bensì meramente adottivo: vale a dire quando il minore, già adottato da uno dei membri della coppia, viene adottato anche dall’altro. Un ulteriore passo avanti è stato compiuto nel 2017, attraverso il passaggio dalle unioni civili al matrimonio egualitario, che consente alle coppie same sex libero accesso all’adozione congiunta.

L’orientamento tedesco è stato successivamente condiviso anche dall’Austria, la cui Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma che permetteva l’adozione coparentale soltanto ai coniugi eterosessuali, escludendo i partners registrati dello stesso sesso. Per i giudici tale disciplina configurava una discriminazione basata sull’orientamento sessuale, dal momento che sembrava indicare un’idoneità a priori della coppia eterosessuale all’adozione, presupponendo invece la mancanza di tale idoneità rispetto alle coppie della comunità Lgbtq+, senza che ciò fosse supportato da alcun dato scientifico.

In Svizzera, è consentita la fecondazione omologa ed eterologa, mentre è precluso l’accesso alla ovodonazione e alla maternità surrogata. La legge federale del 17 giugno 2016 in materia di adozioni, consente al partner omosessuale l’adozione del figlio (naturale o adottivo) dell’altro. Sia in Austria che in Svizzera, il cammino verso il pieno riconoscimento dell’omogenitorialità è giunto a uno stadio molto più avanzato rispetto al fronte italiano, in cui la sorte dei bambini è rimessa esclusivamente ai giudici e alle amministrazioni comunali.

L’ordinamento giuridico francese consente il ricorso alla fecondazione assistita, omologa ed eterologa, a tutte le coppie unite in matrimonio, anche omosessuali, mentre vieta severamente il ricorso alla maternità surrogata. Il Comitato Nazionale di Etica francese statuì, in una sua opinione sulla materia, che tale pratica poteva agevolmente essere strumentalizzata per fini commerciali, ponendosi in contrasto con la dignità umana e provocando gravi ferite emotive nei minori così generati. Dopo numerosi interventi giurisprudenziali, a oggi in Francia le coppie omosessuali unite in matrimonio beneficiano dell’adozione coparentale, mentre le coppie omosessuali conviventi possono far riferimento all’art. 377 del Code Civil, al fine di delegare alcune potestà al c.d. genitore di intenzione non biologico. Tra l’altro, negli ultimi tempi, il formante giurisprudenziale francese si sta orientando anche verso il riconoscimento di un rapporto giuridico tra figlio e genitore di intenzione, nel caso di maternità surrogata.

Singolare risulta senza dubbio l’orientamento del Regno Unito, Paese particolarmente all’avanguardia in materia di adozione. Difatti, da oltre tre lustri l’istituto dell’adozione viene esteso anche alle coppie omosessuali e agli individui single. Per secoli, tuttavia, l’istituto della filiazione in Inghilterra è rimasto ancorato a quello del matrimonio: solo il nato da coniugi eterosessuali uniti nel sacro vincolo poteva giovare del riconoscimento della c.d. filiazione legittima. L’istituto adottivo del Common law moderno trova le sue origini nei movimenti di riforma del XVI e XVII secolo, i quali si focalizzarono sull’emancipazione dei minori orfani o disagiati. Tali riforme contribuirono all’evoluzione del concetto stesso di adozione, quale istituzione altruistica di promozione del benessere del minore. Attualmente la materia è compiutamente disciplinata dall’Adoption and Children Act del 2002, in cui si stabilisce che la domanda di adozione può essere presentata da una coppia o da un singolo, purché maggiorenni d’età e residenti nelle isole britanniche. Ciò che colpisce è la totale mancanza di riferimento all’orientamento sessuale dei richiedenti, i quali possono anche non essere uniti in matrimonio. In tale prospettiva, il Regno Unito viene considerato come il primo Stato europeo ad aver esteso l’adozione, di tipo pieno e legittimante, anche alle persone omosessuali, unite o meno in matrimonio. L’esperienza giuridica anglosassone rappresenta ancora oggi il punto di riferimento per tutte le legislazioni inerenti al diritto di famiglia che vogliano porsi in una prospettiva progressista.

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