«Quanto vale un metro cubo d’acqua?»: 125 teatri ricordano il disastro del Vajont

Tempo di lettura: 5 minuti

Piccolo Teatro di Milano, Teatro Elfo Puccini di Milano, Collège Européenne di Strasburgo, Teatro Stabile di Trieste, Teatro Stabile del Veneto, Fondazione ATER Emilia Romagna di Modena, Fondazione Teatro Goldoni di Livorno, Teatro Puccini di Firenze, Teatro Stabile dell’Umbria, Officina Teatrale “Il Ponte” di Viterbo, Teatro Brancaccio di Roma, NEST di Napoli, Teatro Koreja di Lecce, Teatro Libero di Palermo, Cada Die Teatro di Cagliari, Società Dante Alighieri Comitato delle Isole Baleari a Palma di Maiorca…

Questi sono solo una piccola parte dei teatri che hanno deciso di far parte della rete di VajontS 23: «Un racconto teatrale rivoluzionario che da monologo diventa un coro, 125 teatri riuniti assieme in una rete di scopo artistico e culturale in tutta Italia e all’estero, una storia che di voce in voce racconterà di una tragedia di ieri per parlare delle sfide che ci toccano nel nostro oggi».1 Un progetto di Marco Paolini per La Fabbrica del Mondo realizzato da Jole Film in collaborazione con Fondazione Vajont: la sera del 9 ottobre 125 teatri racconteranno all’unisono, a 60 anni esatti dal suo avvenimento, il disastro del Vajont.

Il disastro del Vajont, 9 ottobre 1963

«Serviva più gente possibile per portarla a scavare a mano, ed era un lavoro tremendo,  perché trovavano un cadavere, magari fatto a pezzi, o sotto le macerie, dovendolo poi tirar fuori, cercare di identificarlo in qualche modo e dovevano portarlo in un sito, dove venivano tutti distesi».2

I lavori per la costruzione della diga del Vajont iniziarono nel 1957 al confine tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto, presso il comune di Erto Casso: la SADE (Società Adriatica di Elettricità) aveva chiesto i permessi al Ministero dei Lavori Pubblici già nel 1940, affidando il progetto a all’ingegnere Carlo Semenza che, affiancato dal geologo Giorgio Dal Piaz, aveva pianificato la creazione di un serbatoio di 58 milioni di metri cubi d’acqua.

Quando presero avvio i lavori, tuttavia, si passò da una capienza di 58 milioni di metri cubi ad un totale di 150 milioni di metri cubi. Nonostante la diffidenza del geologo Dal Piaz, la SADE portò avanti la costruzione e la terminò  nel 1960: nello stesso anno si staccarono due frane dal monte Toc, la seconda delle quali creò una fessura a forma di M lunga due chilometri e mezzo.

L’ingegnere Semenza optò per la costruzione di una galleria di sorpasso per garantire il funzionamento della diga e mantenere al sicuro i cittadini.

«La galleria, con diametro di m 4,50, fu scavata tra il febbraio e il settembre del 1961, con imbocco presso i Mulini delle Spesse a q. 617,4, e sbocco a ridosso della diga a q. 600,7, e con due finestre ‘di servizio’ a Ovest del Ponte di Casso (a q. 613,9) e al Colomber (a q. 608)».3

Nel marzo del 1963 si decise di portare l’acqua a 715 metri sopra il livello del mare, oltre la quota di sicurezza di 700 metri.

 «Si sapeva che sarebbe successo: sulle case c’erano le crepe e così nella terra, di notte si avvertivano forti scosse di terremoto. Ma da quella sciagura non abbiamo imparato nulla. Ancora oggi si cerca solo la convenienza alla quale sacrificare tutto e tutti».4

Corriere della Sera, 11 ottobre 1963 (fonte: Corriere della Sera)

Alle 22.39 del 9 ottobre 1963 la frana si staccò: uno spostamento d’aria simile a quello provocato da una bomba atomica e l’impeto dell’acqua spazzarono via ogni cosa, lasciando dietro di sé 1917 morti.

«Mi sono preparato per andare a letto, ma non ho fatto in tempo ad alzare le coperte che è andata via la luce. Poi improvvisamente un rumore, un fragore che non riesco a spiegare, impressionante… Invece, dopo qualche secondo l’acqua mi ha preso, risucchiato, portandomi dal primo piano, dove c’erano le camere, al piano terra. Qui ho cominciato a girare come un mulinello sbattendo su mobili e pareti; poi all’improvviso l’acqua ha iniziato a defluire, portandomi con sé».5

Fonte: Corriere della Sera
Fonte: Il Gazzettino
Fonte: Il Gazzettino

VajontS 23, 9 ottobre 2023

«Quanto vale un metro cubo d’acqua?»: con questa domanda inizieranno simultaneamente 125 spettacoli  la sera del 9 ottobre 2023. Alle 22.39, orario della frana, la narrazione si interromperà per lasciar spazio a qualcosa che il 9 ottobre 1963 non ci fu: il silenzio.

«Un rumore che solo i sopravvissuti possono ricordare e che nessuno mai potrà imitare. Era come se un miliardo di aerei ci stessero passando sopra la testa nello stesso istante».6

Il testo, curato da Marco Paolini con la collaborazione da Marco Martinelli, verrà utilizzato come un canovaccio da grandi compagnie dei Teatri stabili, attori dei centri di ricerca, giovani, ballerini e musicisti che metteranno in scena lo spettacolo in maniera diversa ponendosi l’obiettivo di intrecciare il disastro del Vajont al vissuto del proprio territorio, per far sì che «non si racconti ciò che è accaduto sessant’anni fa, ma quello che potrebbe accadere a noi su scala diversa, in un tempo assai più breve»7.

Paolini, uno dei maggiori interpreti del Teatro di narrazione, raccontò la storia del Vajont per la prima volta il 9 ottobre 1997: da allora l’ha ripresa molte volte, in molteplici contesti e davanti pubblici eterogenei per cercare di dimostrare l’attualità del racconto. «Raccontando ho capito che la stessa storia, oggi, parla di noi e non di loro», dice: l’alluvione in Toscana nel 1966, l’esondazione del Po nel 1994, l’alluvione in Veneto nel 2010, la valanga della Marmolada nel 2022 e le recenti alluvioni in Emilia Romagna dimostrano come le tematiche affrontate dal testo siano estremamente attuali e riguardino ciascuno di noi. Nonostante ciò, nessuna televisione, a partire dalla RAI, ha deciso di mostrare la messa in scena del testo riscritto per l’occasione: attualmente sul palinsesto nazionale non c’è traccia di contenuti che celebrino la memoria dell’accaduto. Una decisione forte, che sembra riportarci indietro di oltre trent’anni, quando il disastro del Vajont cadde nel dimenticatoio: eppure non si tratta di una calamità naturale ma di una catastrofe frutto dell’arroganza e dello smodato desiderio di ricchezza e potere dell’uomo. Il testo di Paolini può risultare scomodo per qualcuno ma la verità è che VajontS 23 si pone il solo obiettivo di raccontare: i 125 spettacoli (l’elenco completo dei teatri che hanno aderito all’iniziativa è disponibile sul sito de La Fabbrica del Mondo, https://lafabbricadelmondo.org/progetti/vajonts-23/la-rete-di-vajonts-23/) vogliono rievocare i fatti del 9 ottobre del 1963 per imprimerli nella mente e nella memoria del pubblico, non per realizzare uno spettacolo di «teatro sociale» ma per fare teatro nella sua più intima essenza  narrando in simultanea la storia della diga che era ed è.

Era ed è. Perché la diga è rimasta su. 

Non come avevano scritto altri giornali, in un primo momento, con informazioni date al telefono: è crollata! 

No. La diga è lassù. Solida. Ancora lì. In piedi.

(dal copione di Vajonts 23)


  1. La Fabbrica del Mondo, Vajonts 23, https://lafabbricadelmondo.org/progetti/vajonts-23/la-rete-di-vajonts-23/ ↩︎
  2. La scuola fa notizia, Testimonianze dal Vajont: scavare nella memoria con Giampaolo Gallina, https://lascuolafanotizia.it/2021/03/31/testimonianze-dal-vajont-scavane-nella-memoria-con-giampaolo-gallina/ ↩︎
  3. Progetto Dighe, La galleria di sorpasso frana del Vajont, https://progettodighe.it/reportage/la-galleria-di-sorpasso-frana-del-vajont/ ↩︎
  4. Il Gazzettino, Vajont, il sopravvissuto, https://www.ilgazzettino.it/nordest/belluno/vajont_diga_tragedia_sopravvissuto_testimonianza_virgilio_barzan-6980146.html ↩︎
  5. Ytali, Vajont, 9 ottobre ’63. L’odore di quella maledetta sera, https://ytali.com/2016/10/07/vajont-9-ottobre-63-lodore-di-quella-maledetta-sera/ ↩︎
  6. Il Gazzettino, Mauro Corona: «Avevo 13 anni, quel rumore, poi tutto scomparve», https://www.ilgazzettino.it/nordest/pordenone/vajont_disastro_mauro_corona_racconto-2016990.html ↩︎
  7. La Fabbrica del Mondo, Vajonts 23, https://lafabbricadelmondo.org/progetti/vajonts-23/la-rete-di-vajonts-23/ ↩︎
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