L’unicità di Drusilla Foer sul palco dell’Ariston

Tempo di lettura: 3 minuti

Iva Zanicchi: “Quanto sei alta!”
Drusilla Foer: “Più di te!”.
Iva Zanicchi : “Hai anche altre cose più di me!”.
Drusilla: “Sono colta”.


Così arriva Drusilla Foer sul palco dell’Ariston al Festival di Sanremo, con gli occhi scaltri e la voce attenta di chi non vede l’ora di dire la sua verità messa alla berlina dai luoghi comuni e dai pregiudizi che da anni accompagnano la vita della comunità LGBT e che non potevano certo mancare anche al Festival di Sanremo – se pensiamo che soltanto la sera prima Checco Zalone ci aveva allietato tutti con il suo divertentissimo monologo sulla comunità trans messi alla pari delle donne di marciapiede.

Ma tanto siamo un paese di simpaticoni, vero? Facciamocela questa risata.

Drusilla, ieri sera, si è fatta un bel po’ di risate. Alta, elegante, spigolosa e senza scrupoli, ha indagato un pensiero ancora troppo silenzioso nella mente dell’italiano medio. Drusilla ha parlato di unicità, di coraggio, di prendere per mano le proprie sofferenze e porgerle in alto con fierezza per sentirci in comunicazione costante con noi stessi e con gli altri.

Quello della diversità è sempre stato un concetto molto astratto, se non inserito all’interno delle relazioni che costruiamo e viviamo attorno a noi. E’ un concetto in divenire, che cambia e ci cambia ogni qual volta che comunichiamo con un’altra persona, con un’altra realtà: conosciamo un altro mondo. Eppure è un termine che non ci piace, che non useremo, perché fondamentalmente non ci fa capire granché di quello che siamo e di quello che potremmo diventare. Sì, siamo diversi, ma diversi da chi, da cosa? E poi che cosa vuol dire essere diversi?
Lo siamo tutti: siamo diversi per colore di capelli, colore di occhi, accento del parlato, per colore della pelle, per contesto sociale, economico, per orientamento sessuale, siamo tutti diversi per una miriade di cellule e contenuti. Diversi modi di vivere e di essere che sono però confinati dalle loro stesse divergenze. La Foer, allora, ci parla di unicità.

Diversità è una parola che non mi piace, ha un qualcosa di comparativo e una distanza che non mi convince. Trovo che le parole siano come gli amanti: quando non funzionano più, vanno cambiati subito. Ho cercato un termine che potesse sostituire degnamente una parola così incompleta. E ne ho trovato uno molto convincente: unicità. Io sono molto fortunata a essere qui, ma date un senso alla mia presenza su questo palco e tentiamo il più grande atto rivoluzionario che si possa fare oggi, che è l’ascolto. L’ascolto di se stessi, l’ascolto degli altri, l’ascolto delle unicità. Proviamo ad ascoltarci, a donarci agli altri. Accogliamo il dubbio, anche solo per essere certi che le nostre convinzioni non siano solo delle convenzioni.”

L’unicità ci mette dunque in contatto con quello che siamo, con i nostri dolori, le nostre gioie e le nostre idee più folli e rivoluzionarie. Diventa uno strumento necessario per la nostra sopravvivenza nel rispetto dell’identità personale di ognuno di noi. Ma non è cosa facile, non possiamo nasconderlo.

“Non è facile entrare in contatto con la propria unicità ma un modo lo avrei: si prendono per mano tutte le cose che ci abitano e si portano in alto, si sollevano insieme a noi, nella purezza dell’aria, in un grande abbraccio innamorato e gridiamo: “che bellezza tutte queste cose sono io”. Sarà una figata pazzesca e sarà bellissimo abbracciare la nostra unicità e a quel punto io credo che sarà più probabile aprirsi e uscire da questo stato di conflitto che ci allontana. Sono una persona molto fortunata a essere qui ma vi chiederei un altro regalo: date un senso alla mia presenza su questo palco e tentiamo il vero atto rivoluzionario, che è l’ascolto, di se stessi e degli altri.”

Diciamoci la verità, Drusilla ha parlato con molta semplicità di un argomento che sarebbe dovuto essere già abbastanza obsoleto, ma evidentemente se si avverte ancora l’esigenza di parlarne, vuol dire che non è cambiato nulla e che siamo ancora punto e a capo . Tornare al Festival di Sanremo con l’urgenza di dire determinate cose vuol dire, ancora una volta, tendere la mano a chi sta gridando forte aiuto e nessuno lo sta ascoltando.

Diversità, ascolto, accoglienza, rispetto rientrano nella sfera di quelli che sono – che sono sempre stati – i diritti e le linee guida di convivenza con gli altri, in questo mondo stanco d’amore e affamato d’odio. C’è l’urgenza di capire che la diversità riempie la vita ma, l’unicità ce la fa vibrare. L’urgenza di capire che siamo tutti esseri umani, con storie di vita profonda e calda dentro di noi, che trepidiamo dalla voglia di raccontare; l’urgenza di accogliere sentimenti con i quali non abbiamo ancora familiarizzato e scendere a patti con noi stessi, con le nostre perplessità e convinzioni. Uscire dall’immobilità, rendersi conto che magari – magari – non c’avevamo capito niente per tutto questo tempo.

Accendiamo la luce, ristabiliamo le vicinanze.
Siamo diversi, sì, ma perfettamente identici tra noi.

“Travestito, non travestito.. Volevo tranquillizzare tutti quelli che avevano paura di un uomo travestito, così mi sono travestita da Zorro!”

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