Allo scoppio della pandemia Covid-19, abbiamo tutti assistito a quelle scene raccapriccianti di supermercati vuoti, folle di persone che si recavano alle farmacie o scappavano alle stazioni per tornare nelle regioni di residenza. Ma c’è stata una scena in particolare che ha suscitato sgomento e che, ancora oggi, per le evoluzioni che ha acquisito la vicenda, permane nell’occhio del ciclone: la rivolta nelle carceri. Tra il 7 e il 9 marzo, infatti, mentre l’Italia tutta iniziava a preoccuparsi per il contagio da Coronavirus, ben 22 istituti penitenziari sono stati presi d’assalto da pericolose rivolte. 20 milioni di euro i danni recati, diversi i feriti tra detenuti e guardie carcerarie e infine, non potevano mancare i deceduti. C’è stato chi ha gridato all’indulto, e chi, invece, ha riacceso un campanellino d’allarme verso la situazione delle carceri italiane. Quest’ulteriore riflessione, però, ha aperto un vero e proprio spartiacque tra chi richiedeva con eccessiva urgenza la concessione di arresti domiciliari ai detenuti e chi vedeva in questa scelta una sconfitta da parte dello Stato.
Con il decreto Cura Italia del 17 marzo 2020, n. 18 è stato legittimata la liberazione domiciliare per tutti quei detenuti che dovevano scontare una pena inferiore ai 18 mesi.
Decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, art. 123 e 124 recante: «Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.».
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/04/29/20A02357/sg
La disposizione prevede che, per i detenuti che debbano scontare una pena tra i 7 e i 18 mesi, sia possibile ricorrere al braccialetto elettronico, reso disponibile secondo un particolare programma di distribuzione adottato dal capo dell’amministrazione penitenziaria, d’intesa con il capo del dipartimento di pubblica sicurezza. Sarà, inoltre, indulgenza del giudice, attraverso la lettura dei rapporti di ogni detenuto, scegliere chi sarà meritevole di una liberazione anticipata o chi no. Sono esclusi dal decreto Cura Italia, tutti i soggetti risiedenti all’interno del 41bis. Ovvero, coloro che sono stati condannati per crimini associati alla criminalità organizzata, associazioni a delinquere e criminali professionisti.
Ma perché allora sono stati 376 i mafiosi liberati nelle ultime settimane? Un numero che desta preoccupazione e rabbia non soltanto da parte del Governo, ma soprattutto tra le prime vittime, i cittadini.
Secondo gli investigatori carcerari, esperti dell’Antimafia e delle dinamiche criminali, non vi è alcun dubbio : dietro questo “tana libera tutti“, alle spalle, c’è un unico regista: la malavita. Fin dai tempi delle prime rivolte, difatti, gli inquirenti hanno notato alcune coincidenze. Il primo penitenziario preso in assalto è stato quello di Salerno, nel carcere di Fuorni. Successivamente, il protagonista è stato il penitenziario di Napoli, a Poggioreale, infine a Roma, nel carcere di Rebbibia. Ciò che ha portato gli inquirenti ad insospettirsi è stato, non soltanto la presenza di detenuti associati alla criminalità organizzata in tutti e tre gli istituti, ma anche la partecipazione passata alle rivolte penitenziarie degli anni ’70, svoltesi esattamente nello stesso ordine: Salerno, Napoli, Roma, come ci spiega Il Fatto quotidiano.
La Calabria, invece, si è zittita in questo uragano di rivolte – anche questa è stata una coincidenza importante da non sottovalutare. La Regione d’origine di quella che è oggi la più potente associazione criminale nel Paese – la ‘ndrangheta – non ha partecipato ai disordini. In modo molto più furbo e come a lei piace fare, ha fatto in modo che fossero gli altri a sporcarsi le mani e perché no, anche a morire. Così come’è accaduto nelle rivolte più sanguinarie, come a Foggia, in cui gli investigatori non hanno potuto fare a meno di notare la rivolta dei terzi letti. Nei carceri pugliesi, infatti, le camere hanno letti a castello, e sono i detenuti con più autorevolezza a scegliere in quale letto dormire. Come una piramide, nei posti in cima ci sono quelli con meno spessore criminale mentre al primo posto, ci sono loro, i capi. In ugual misura a Poggioreale, i padiglioni turbolenti sono stati popolati da rapinatori e scippatori che, senza l’assenso dei capi, non si sarebbero mai mossi.
Quando anche personaggi del calibro di Francesco La Rocca, socio e ideatore di Cosa Nostra, Pasquale Zagaria, mente economica dei Casalesi e Francesco Bonura, conosciuto come il colonello di Provenzano, vengono scarcerati e sono liberi di tornare a casa, il Ministero della Giustizia smette di ignorare la pericolosità dei fatti, al di là dell’emergenza sanitaria in corso e dell’improbabile igienizzazione delle carceri. Anche se, tuttavia, la liberazione di Bonura, a quanto dicono gli esperti, pare non tangere il decreto Cura Italia. Il boss, infatti, è affetto da patologie oncologiche e cardiorespiratorie e sarebbe dovuto comunque uscire per sottoporsi a cure specializzate.
Il ministro della giustizia Alfonso Bonafede non fa eccezioni. Nei prossimi 15 giorni si prevede un ritorno diretto nei penitenziari ai 376 criminali liberati. Il Decreto legge di Bonafede impone, inoltre, una norma specifica ai giudici di sorveglianza, che dovranno valutare entro i termini di “immediatamente” se all’interno delle carceri sussista ancora una pericolosità da contagio e, successivamente, la disponibilità di strutture penitenziarie o mediche alternative.
Una cosa è certa: per quanto la giustizia possa svolgere alla meglio il suo mestiere da anni, ogni qual volta che venga letta o si ascolti la parola boss, come la parola mafia, si trema, inevitabilmente. I ministeri hanno fatto appello alla loro fragilità da esseri umani non potendo ignorare le decadenza sanitaria delle carceri, ma allo stesso tempo, è difficile dimenticare il passato della giustizia italiana o meglio, della conquista alla giustizia italiana.
Ricordiamo tutti il maxi processo di Palermo del 1986, conosciamo tutti il nome del pentito Tommaso Buscetta, Salvatore Contorno. Ci tocca ancora terribilmente riguardare le immagini devastanti degli attentati che hanno portato alla morte Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Peppino Impastato e tante altre vittime innocenti. Morti atroci alle quali neanche i bambini sono stati risparmiati.
Bonafede con l’attuale decreto non ha potuto dimenticare l’orrore subìto e che ancora – di nascosto – stiamo combattendo. Tuttavia, non possiamo non ammettere che una piccola vittoria la malavita l’ha avuta e ce l’ha, con tanta soddisfazione pure. Ed è quella di farci tremare ancora.
Pertanto, sì, rispediamoli nelle carceri, assolutamente, a pagare per le loro colpe, per il loro passato.
Ma è senso di giustizia oppure paura?
Napoli, 24 anni, laureanda in Servizio Sociale. Teatro, musica, cinema, bud's e diritti umani.