Mirko Di Martino: il Teatro che ci salva

Tempo di lettura: 8 minuti

Mirko Di Martino, direttore artistico del Teatro dell’osso e del Tram, è diplomato all’Accademia d’Arte Drammatica di Napoli, oltre che laureato cum laude in Filosofia all’Università DI Napoli “Federico II”. Scrive dal 2000 testi teatrali grazie ai quali ha vinto numerosi premi: fra i molti ricordiamo il “Premio Vallecorsi”, “Schegge d’autore”, “Segnalazione SNAD”, “Fondi La Pastora”, “Per voce sola” e “Sorace”.

Artista poliedrico, nonostante l’attuale pandemia, ha all’attivo molti interessanti progetti che spaziano dalla regia alla docenza. Tutti i suoi lavori si contraddistinguono per la profondità, la professionalità e l’evidente passione per tutto ciò che il teatro rappresenta. Di seguito, l’intervista nella quale ci racconta le ultime novità e come i teatri indipendenti stiano gestendo l’attuale crisi.

Ultimamente quando si parla di teatro, si parla automaticamente di Covid-19, dato che è un settore che sta subendo grandi difficoltà. Certo, proprio perché è un periodo complicato, offre anche la capacità di rinnovarsi e di reinventarsi. Tu come lo stai vivendo? Per quanto riguarda anche i vari workshop online, come è cambiato il tuo modo di insegnare rispetto a prima, ora che sei costretto alla modalità online?

Ci siamo aperti a una possibilità che finora non avevamo sperimentato, e penso che questo valga veramente per tanti di noi per i quali, in fondo, il modo di lavorare in presenza era consueto. In realtà, stavamo facendo già delle piccole cose, ma poi la pandemia ci ha obbligato a sperimentare a pieno questa strada. La docenza certamente è più bella in presenza, anche se indubbiamente online è più efficace, vi è più concretezza dovuta ai tempi serrati. Soprattutto, la platea si è ampliata enormemente, perché ovviamente adesso ci rivolgiamo ad un pubblico che è nazionale e non più locale. Manca, però, il confronto sulla parte dei work shop: non si possono leggere e confrontare i testi, non c’è il tempo, diventa anche difficile per i soliti problemi di ascolto e linea. Insomma, si perde tanto senza il confronto diretto!

Rispetto invece ai laboratori di teatro, il discorso è completamente diverso. Abbiamo tantissimi allievi che ci seguono e ovviamente non abbiamo potuto prendere i laboratori in presenza e trasportarli online senza modifiche. Abbiamo un po’ alla volta avviato delle sperimentazioni: all’inizio era strutturato come chiacchierate, poi abbiamo avviato questo progetto delle Stanze del teatro. È un progetto che cerca di tenere insieme tutto ciò che si può fare online, soprattutto l’analisi dei testi, il confronto fra loro e anche un po’ di recitazione o più che altro di lettura interpretativa.

È un modo per avviare un percorso che non dimentichi completamente il lavoro del teatro, ma certamente non  è proprio possibile trasferire il tipo di lavoro che si fa in presenza sul web, quindi li consideriamo una sorta di palliativi. Così facendo, ci siamo però accorti che funziona molto bene, quindi sicuramente lo porteremo avanti anche in futuro. Non lo avremmo mai sperimentato senza questa necessità, quindi, in ogni caso, è stata un’esperienza. È indubbio però che, rispetto all’ esperienza in presenza, il teatro su zoom è estremamente limitante. Certo, anche in questo caso abbiamo allargato la nostra platea, ma il teatro è principalmente fisico!

Avendo visto vari tuoi spettacoli, una delle cose che salta all’occhio è che ogni volta metti in scena qualcosa di davvero diverso e c’è un continuo reinventarsi. Ultimamente, a parte il piacere e la deontologia professionale di voler proporre sempre qualcosa di nuovo, c’è anche la necessità pratica di farlo per cercare di attirare un po’ di persone in più. Il tuo lavoro, sotto questo aspetto, è cambiato o noti sempre lo stesso tipo di impulso? Come lo stai vivendo il tuo presentare spettacoli sempre nuovi in questo contesto?

Ma il problema è che noi siamo in una fase di grande difficoltà proprio rispetto alla progettazione. Io potrei anche immaginare uno spettacolo nuovo da fare in presenza al Tram, ma in realtà non abbiamo proprio idea di quando questo potrà avvenire.

Questo mese in realtà è escluso, dato che ormai la stagione è finita; anche se sarà ottobre, noi non sappiamo se potremo effettivamente riaprire con il nostro numero di posti. Il primo grosso problema è che non sappiamo con che tipo di numeri, di spazi e di esigenze dovremo confrontarci e, quindi, anche la direzione artistica purtroppo ha questo problema, perché lo stesso spettacolo cambia se fatto in mezzo al pubblico o se bisogna mantenere una distanza 3 metri, se ho 20 persone o ne ho 50 ad assistere. Nonostante questa premessa, io e i miei collaboratori cerchiamo di concentrare l’originalità su qualche cosa che possiamo fare con più certezza in questo periodo.

L’ultimo spettacolo in cui abbiamo ricercato l’originalità, Primo sangue, è stato a ottobre. Abbiamo provato a riaprire e l’abbiamo effettivamente proposto nelle prime tre settimane di ottobre, poi ci hanno chiuso. Lo spettacolo era molto originale e raccontava la storia di due atleti, fratelli di scherma che combattono tra di loro e, poiché i due attori erano al centro della platea, su una pedana, avevamo ribaltato la visione dal punto di vista dello spettatore, facendo sviluppare lo spettacolo in orizzontale. Il pubblico era distribuito su quattro lati, come se fosse appunto una gara di scherma o una sfilata di moda. Questo ci permetteva di avere il pubblico dentro la storia stessa. Avevamo allestito anche i segnali della gara, insomma, è stata un’esperienza molto bella, difficilmente ripetibile oggi in queste condizioni.

Abbiamo pensato allora di portare in streaming uno spettacolo che avremmo dovuto fare al Tram e che speriamo di poter fare dal vivo in futuro: Nude verità, Avrebbe dovuto essere un peep show; avremmo creato delle cabine in cui il pubblico si sarebbe infilato e chiuso, quindi, l’esperienza della visione sarebbe stata molto particolare. Non abbiamo potuto farlo, chiaramente, per la situazione attuale. Abbiamo fatto online una versione in streaming pensata appositamente, ma non è che si può fare chissà quale cosa originale in streaming. Certo, abbiamo fatto delle riprese di alcuni dettagli con la telecamera che ruota intorno al personaggio, ma quando perdi la presenza dello spettatore e dell’attore, diventa cinema, non teatro.

So che tu hai studiato come attore, attualmente sei uno sceneggiatore e un regista, oltre che un direttore artistico. In qualche modo hai vissuto in prima persona il teatro in tanti dei suoi aspetti; per te, personalmente, il teatro che cos’è?

Sai effettivamente, come dici tu, io pratico il teatro un po’ in tutti i suoi aspetti, tranne quello dell’attore, che ho solo studiato da ragazzo. In ogni caso, ci lavoro con gli attori, anche se comunque l’approccio è sempre diverso. Potrei dunque dire che per me il teatro è soprattutto creazione artistica: la possibilità di creare storie.

Nella parte legata alla struttura e alla messa in scena rientra il lavoro del direttore artistico ed è molto affascinante: avere una comunità di persone che si ritrova per vedere uno spettacolo e che, a volte, torna per una proposta nostra, che abbiamo creato noi, è una delle cose più belle. In effetti, è questo il valore profondo del teatro ed è questo che ci manca, tanto a me quanto agli altri e a tutte le persone che frequentavano i teatri. Sono tante e anche loro sono ferme, ricordando il Tram come il luogo in cui ci si poteva incontrare e stare insieme.

Questa era una cosa molto bella, infatti, sia del Tram che di tanti progetti tuoi. È qualcosa che in generale si vede molto a Napoli: l’idea di un teatro un po’ più comunitario, come una piccola famiglia in cui svilupparsi e confrontarsi.

Sì, questo è proprio l’intento che porta avanti il Tram e devo dire che in questo senso è un valore aggiunto che ha il nostro piccolo spazio. La nostra identità artistica è proprio quella di essere al centro di Napoli, facilmente raggiungibile. È soprattutto un luogo in cui ognuno si sente a suo agio, perché è un posto molto aperto, nel quale facciamo tante cose diverse. Nessuno si deve sentire escluso. Durante la settimana, dato che è sempre aperto, raccoglie tantissime persone diverse che si conoscono reciprocamente. Tutto ciò riusciamo ancora a tenerlo attivo con difficoltà. Ecco, stiamo veramente aspettando di ripartire.

Invece cosa puoi raccontarmi del progetto Visionari?

Questo è il secondo anno in cui portiamo avanti questo progetto. L’anno scorso siamo usciti a svolgere quasi tutto in presenza, tranne la parte finale a Marzo. Ora ci sono cinquanta iscritti al progetto: si incontrano regolarmente per discutere e per vedere link, perché poi il progetto consiste in questo: i partecipanti guardano alcuni video e alla fine del percorso, ad Aprile, scelgono uno spettacolo, il quale poi andrà in scena al Tram l’anno successivo

Ma, in realtà, lo scopo è un altro, ovvero incontrarsi e confrontarsi. Gli iscritti sono entusiasti del progetto e soprattutto non vedono l’ora di potersi incontrare di persona. Così persone che non si conoscono tra loro diventano amici e molto legati, ma al momento anche questo è tutto in video e  proprio in questo caso forse non sarebbe necessario, perché i Visionari sono del territorio, di Napoli e provincia, quindi veramente non sarebbe necessario.

Poi, comunque, niente è isolato, i Visionari hanno un loro percorso che si integra con i ragazzi del laboratorio, con gli studenti e con chi partecipa agli altri corsi di scrittura e agli eventi. È comunque un nesso che tra l’altro ci permette di entrare nella rete nazionale dei partner e dei Festival, quindi è un grosso progetto di cui siamo molto contenti e che speriamo di sviluppare sempre di più.

Tutti noi che amiamo il teatro dall’esterno, non facendolo ma fruendone, cosa possiamo fare per migliorare la situazione attuale?

La situazione è molto, molto complessa così come il mondo del teatro in Italia. Anche a livello politico, viene detto che i teatri devono rapire, ma dire “i teatri”, in Italia non vuol dire nulla: loro intendono i grandi teatri stabili, che hanno la forza economica e che hanno continuato a lavorare perché, come è giusto che sia, hanno contributi pubblici e contratti. Poi c’è una marea enorme di teatri, medio-piccoli con esigenze diverse: noi, ovviamente io parlo in particolare del Tram, dovremmo capire a quali condizioni, con quanti posti e con che progettazione si parla di riaprire.

Dal punto di vista del pubblico, in realtà, quello che si può fare è tornare a teatro il prima possibile, al di là poi delle singole campagne di sostegno. L’esperienza di ottobre purtroppo è stata negativa: noi abbiamo riaperto, ma il pubblico non veniva. Quindi la domanda è: le persone poi vorranno davvero tornare a teatro?  È questa la grande incognita, la grande preoccupazione per il futuro. In realtà, vi sono scelte che facciamo molto più facilmente piuttosto che andare a teatro quindi il problema è l’importanza che attribuiamo a queste attività e non lo dico come una critica, solo come un fatto. È molto importante uscire con gli amici a fare l’aperitivo, piuttosto che andare a teatro. Allora se si deve rinunciare a qualcosa, è evidente che si rinuncia più facilmente al teatro.

Certo, ha dell’ironico il fatto che non si sia mai parlato così tanto di teatro come adesso. Si potrebbe però auspicare che proprio questo suo essere così discusso possa essere un’occasione per far ritornare l’attività teatrale nella routine, dato che il teatro deve essere un momento di di aggregazione, un attimo da prendersi per fare una cosa bella anche per se stessi. Bisognerebbe tornare in quel modus cogitandi anche al di fuori della pandemia.

In effetti, davvero non si è mai sentita tante volte la parola “teatro”, è come se improvvisamente fossimo sotto gli occhi di tutti, quindi magari può darsi davvero che riaprendo, ci sarà la volontà di venire a teatro.

Però va detto che i problemi sono altri, nel senso che, finché noi continuiamo giustamente a parlare dei numeri di morti e di ricoverati il discorso si sposta un po’. Purtroppo l’Italia non vive intorno al mondo del teatro e il problema del turismo, per esempio, mi sembra veramente molto più radicale. Con questo non voglio certo dire che non sia giusto parlare di teatro, ci mancherebbe. Quello però che possiamo chiedere è che nel momento in cui si andrà avanti con le vaccinazioni e ci verrà detto di riaprire, le condizioni, siano effettivamente quelle in cui la riapertura sia davvero possibile. Manca, invece, un progetto complessivo per il teatro.

L’aspetto economico è assolutamente fondamentale, certo. È anche vero, però, che il sostegno per tutti noi stia arrivando proprio dall’arte, in un momento umanamente così complicato. Grazie a questo mezzo artistico, forse così poco utile economicamente quanto utilissimo per noi come individui.

È certo che in Italia l’approccio, l’idea che sia ha del teatro, come di tutto ciò che è artistico, è terribile. C’è l’idea che sia qualcosa di superfluo, afferibile al tempo libero o a un passatempo; ovviamente non è così, non lo è per nulla e quando ci viene tolto ce ne accorgiamo, perché a quel punto la vita diventa soltanto lavoro, mangiare e andare a dormire. E improvvisamente scopriamo che la vita non vale la pena viverla, se non ci prendiamo cura di noi stessi. A permetterci ciò è il teatro, è l’arte e sembra cosi assurdo che si debba ancora ribadire che tutto ciò ha un ruolo fondamentale nella vita, nel valore della vita.

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