Il popolo di Zelensky

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La mattina del 24 febbraio 2022, in Italia, ci siamo tutti svegliati con il sole, eppure a pochi passi da noi c’era fumo nero a soffocare ed annientare. La guerra ci è sempre parsa come una realtà così distante tuttavia, questa volta, è lì che bussa alla porta del popolo ucraino risuonando soltanto un unico grido: quello della morte.

La mattina del 24 febbraio 2022 il Presidente della Russia, Vladimir Putin, decide di prendere d’assalto Kiev e le principali città ucraine con l’obiettivo di annientare il popolo ucraino e renderlo suo. Vengono bombardate piazze, edifici e aeroporti in modo tale che nessuno possa entrare e nessuno possa uscire. Vengono uccisi militari, agenti, vengono uccisi soprattutto civili che questa guerra e quest’agonia non l’avevano mai chiesta. “Al temine di questa guerra, ogni piazza ucraina verrà chiamata piazza della libertà“, così esordisce il presidente Zelensky in una conferenza stampa con i membri dell’Unione Europea, che subito hanno fatto sentire la loro forza e la loro solidarietà verso un paese che, giorno dopo giorno, crolla in cenere. L’Unione Europea che è stata uno dei principali motivi che hanno spinto il presidente russo a prendere d’assalto l’Ucraina, in nome di una dittatura senza precedenti e soprattutto senza remore e rimorsi.

Sono 6.700 i russi che, protestando per le città di Mosca, Kazan, San Pietroburgo, sono stati arrestati e percossi. Cittadini di un dittatore che hanno scelto, e da cui non si aspettavano così tanto tormento. Ora chiedono scusa ad un popolo fratello vicino alla morte. Le tensioni sono forti anche lì, russi e ucraini sono sempre state due comunità alleate ed ora fratelli, compagni, amici, sono stati costretti al silenzio. Il popolo russo è costretto all’ignoranza, alla disinformazione, all’allontanamento da tutto quello che di reale esiste e che, soprattutto, possa dipingere il loro sovrano come un assassino.

15 anni di reclusione forzata per ogni giornalista che utilizza termini come guerra, invasione, vittime civile per descrivere questa azione. Voglio che venga censurato il conteggio delle vittime giornaliere“.

Ma come, Vladimir Putin, non era una missione di pace?

Non verranno attaccati civili. E’ un’esercitazione, una misura di pace

Eppure, tutto ciò che appare ai nostri occhi, sono immagini di civili bloccati nei bunker sotterranei ogni volta che sentono la sirena d’allarme risuonare per le strade, ospedali improvvisati sottoterra di cui molti degli ospiti sono pazienti oncologici e bambini; corpi senza vita congelati e insanguinati per le strade di Kiev, corridoi umanitari spezzati dalla morte e da promesse interrotte di tregua, palazzi residenziali colpiti da missili, quotidianità infranti, civili che hanno deciso di imbracciare le armi e difendere il proprio paese ad ogni costo.

L’attacco missilistico agli asili, all’ospedale pediatrico di Mariupol.

Commoventi sono le immagini di un popolo che, sulle notte dell’inno ucraino, si impegna nella costruzione di bombe molotov da distribuire in tutto il paese. I cartelli stradali sono stati sostituiti per confondere l’avanzata dell’esercito russo, masse di cittadini si inginocchiano di fronte ai carrarmati per bloccarne il passaggio, vengono fatti esplodere ponti ed autostrade per cessare la marcia dei militari nemici. Donne e uomini, tutti all’unisono in un’unica forza alleata.

E’ un popolo che non si spezza, quello ucraino. Un popolo che non abbandona la propria città, la propria cultura, la propria gente. Un popolo che ha un enorme fiducia in una democrazia che sognano da tutta una vita di poter raggiungere, ma che un zar medievale tenta di sottrargli. Parliamoci chiaro, noi occidentali non abbiamo la minima idea di che cosa sia una guerra, di che cosa sia addirittura una minaccia di una guerra. Eppure, di fronte all’impotenza di non poter fare molto, di fronte al senso di colpa di vivere una normalità quasi ingiusta, alla paura del “e se accadesse a noi?”, l’unica cosa che ci resta da fare è l’assistenza immediata attraverso la spedizione di beni e viveri di imminente necessità, l’ascolto di storie devastate dal dolore della comunità ucraina ché insidiata nella nostra Italia da così tanti anni e che, se ricordiamo bene, è sempre stata discriminata dal nostro razzismo becero.

Mio figlio non mi risponde al cellulare da due giorni“. “Ho bisogno di più pacchi per la spesa perché sta arrivando la mia famiglia e staranno tutti a casa mia”. “Mio nipote è riuscito a raggiungere l’autostrada e sta arrivando in auto, pochi minuti dopo è scoppiata una bomba e non l’ho più sentito”.

Sono storie di terrore.
Sono storie di agonia.
Sono storie di dignità e sofferenza che non avremmo mai voluto ascoltare.

Cosa si può dire per rimediare? Cosa si può fare per aggiustare le cose? Niente, assolutamente niente. Di fronte a così tanta privazione dei diritti civili e dei diritti umani l’unica cosa che ci resta è sentire un fortissimo senso di nausea allo stomaco e avere la consapevolezza di essere stati, ancora una volta, fortunati rispetto ad altri. Ma a cosa serve questa fortuna se a pochi metri c’è un popolo che muore, e che l’unica scelta che gli è stata concessa è stata quella tra un fucile o un coltello?

Noi siamo abituati alla culla, al sentimento di solidarietà che è stato ovviamente la prima risposta al seguito di questa notizia devastante. Ma se arrivasse qui la guerra, noi saremmo capaci di essere così resistenti come il popolo di Zelensky? Alle quattro del mattino uno sconosciuto ha bussato alle loro case dicendo loro con astio : inchinatevi a me, lasciate la vostra vita, la vostra libertà. E loro hanno risposto no, continuano a rispondere – ad urlare – no, non ce ne andremo, sarai tu ad andare via.

Urlano no ad ogni motolov lanciata.
Urlano no ad ogni animale domestico caricato sulle spalle.
Urlano no ad ogni carro armato che vedono arrivare.
Ad ogni sparatoria, ad ogni suono della sirena.
Urlano no ad ogni militare russo catturato.
Gridano no ad ogni morto.
Gridano no ad ogni fucile, ad ogni pistola, ad ogni incendio.


Urlano no danzando sulla terra che trema per lo scoppio di una bomba, corrono veloci, chi verso il rifugio, chi verso il nemico. Ma non si fermano mai. Il popolo ucraino non si ferma più e sciocchi noi, sciocco Putin, ad averli sempre sottovalutati.

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