«Solaris è il capolavoro della fantascienza filosofica. Siamo nel lembo più estremo dell’universo esplorato dal genere umano. Un astronauta, dalla Terra, approda nella stazione spaziale che gira intorno al pianeta Solaris. Qui trova un’atmosfera di mistero e sospetto: nessuno lo accoglie, i pochi ospiti dell’astronave sembrano angosciati e sopraffatti, c’è un morto recente a cui si allude con circospezione ma senza sorpresa, gli oggetti subiscono strane deformazioni, si avvertono presenza. Solaris è noto gli umani come il grande pianeta vivente. Appare in forma di vasto oceano e avrebbe dovuto conflagrare se la sua orbita avesse seguito le leggi della fisica. Ma è come dotato di capacità, cosciente di reazione e questa capacità sembra legata alle apparizioni di fantasmi, proiezioni viventi di incubi, sogni e fantasie. L’astronauta è costretto a interrogarsi, mentre lo contagia la stessa angoscia che domina in tutto l’ambiente. Sul mistero della morte del compagno, innanzitutto. Ma questo lo spinge verso maggiori enigmi da svelare: se Solaris ha una propria vita, e che tipo alternativo di forma di vita; se le apparizioni hanno una qualche spiegazione accessibile; se tutta questa attività ha un fine, in qualche modo legato ai destini esistenziali degli umani. Se non è tutto addirittura un immane messaggio. Un’avventura avvincente e carica di attesa e mistero»1.
Il Teatro Astra di Torino diventa la navicella che viaggia verso il pianeta Solaris
L’ingresso in sala coincide con un progressivo allontanamento dalla dimensione terrestre: passo dopo passo si entra in una spazialità altra, in un’atmosfera densa e angosciante. Gli attori sono già presenti sulla scena, accompagnati da strane presenze, delle sorte di automi la cui natura rimane indecifrabile per l’intera durata dello spettacolo.
Il Teatro Astra fu edificato nel 1928 come Cinema Teatro Savoia dall’ingegnere-architetto Contardo «Dado» Bonicelli: è stato recentemente ristrutturato dall’architetto Agostino Magnaghi che ha conservato le parti più importanti della struttura originale. La sala principale, dove trovava spazio l’antica galleria del cinema, è stata demolita ma sono ancora presenti gli spuntoni di ferro dell’armatura che si protendono verso il vuoto. Il Teatro Astra appare come una sorta di cattedrale, quasi un luogo di culto e di rito: lo spazio del pubblico non è la platea ma lunghe gradinate, che rimandano direttamente al modello del teatro antico.
Ciò che colpisce maggiormente della sala è la quasi totale abolizione della «quarta parete»: la prima fila di posti è allo stesso livello dello spazio scenico ed è quasi confinante con esso.
Il sedersi sulle nere poltroncine coincide con il trovar posto sulla navicella spaziale in viaggio per Solaris: la dimensione aggettante delle gradinate si interseca con lo straordinario gesto scenografico di Simone Mannino. Una ripida pedana si erge al centro dello spazio scenico: il pubblico è spinto dalla diagonale e la diagonale è spinta verso il pubblico dando vita ad una comunicazione tra due dimensioni separate dalle tendenze dominanti del teatro di oggi.
Il pianeta dai due soli
Nel romanzo di Lem è più volte esplicitato come Solaris, pianeta d’acqua, sia dotato di due soli: uno rosso e uno blu; la luce assume dunque una valenza fondamentale all’interno del racconto.
Sulla scena diventa protagonista assoluto l’oblò che ci permette di scorgere il pianeta e suggerisce un doppio statuto: da una parte è un’apertura verso la profondità dello spazio e che ci proietta nel fuori, dall’altra è un tappo che ci chiude in uno spazio ristretto e angusto.
La geniale intuizione del direttore luci Pasquale Mari e del regista Andrea De Rosa è stata quella di utilizzare proiezioni del nostro pianeta, la Terra: è stato un processo lungo e laborioso quello di ottenere contatto con l’Agenzia Spaziale Europea e con la NASA che hanno però fornito tutte le immagini che si vedono durante lo spettacolo. Questa scelta crea nello spettatore uno straniamento e un rovesciamento di prospettiva: si ritrova ad osservare sé stesso con diffidenza e timore e non l’altro.
L’oblò ha anche una proprietà tecnica nella messa in scena: è una fonte di luce che si staglia sull’orizzonte curvilineo. Più della luminosità, ciò che colpisce lo spettatore è l’ombra che questo proiettata sulla scena: il buio diventa materia e crea profondità, incrementando la sensazione di percepirsi in uno spazio altro e angusto che, paradossalmente, in realtà non è altro che il nostro stesso pianeta.
La regia di Andrea De Rosa
«Ho letto Solaris durante la quarantena e mi aveva molto colpito questa idea che gli esseri umani potessero essere il virus e che il pianeta fosse costretto a reagire e a difendersi dalla loro invasione. Solaris è una vera e propria creatura, un pianeta vivente che attraverso il suo immenso oceano cerca di comunicare con gli uomini attraverso i loro desideri che riesce a materializzare sotto forma di fantasmi».2
Il romanzo di Lem ha ispirato diversi adattamenti negli anni: dal famosissimo film di Andrej Tarkovskij del 1972 al testo di David Greig nel 2018. Il lavoro di Andrea De Rosa è stato quello di creare una sintesi tra tutti questi lavori, creando un proprio Solaris.
Ciò che maggiormente colpisce e va riconosciuto al regista è l’intuizione di scardinare alcune delle regole della tradizione teatrale: De Rosa ha infatti intrapreso una via di unione e contaminazione delle varie arti, abbandonando diverse imposizioni dominanti nella teatralità.
L’influenza del linguaggio cinematografico è molto forte: la scelta di microfonare gli attori deriva dalla volontà di aprire a maggiori potenzialità dell’estensione vocale degli interpreti che passano dal sussurrare al gridare, dal sospirare al disperare.
Anche lo spazio è molto lontano dalle consuete messe in scena: capita più volte che vengano date le spalle al pubblico e che la pendenza della pedana scardini la percezione dell’ambiente circostante, ciò deriva anche dal fatto che il pavimento non è mai illuminato frontalmente ma di taglio e per questo gli attori sembrano levitare e galleggiare nel buio.
Lo spettatore vive un’esperienza liquida data sia dai materiali scenografici e luministici, sia dalla condizione di incertezza che emerge dai personaggi: è un’esperienza teatrale diversa rispetto a quella che si è abituati a vivere e che si conosce, in cui il singolo non vive una separazione dalla scena ma entra in essa proiettandosi in un fuori che appare però estremamente ristretto e angusto, in cui il progetto sonoro di G.U.P. Alcaro crea una vibrazione interna ed esterna tale da smuovere e agitare l’animo e dove si perdono le coordinate, riconoscendo infine in Solaris una metafora del teatro in quanto in entrambi emergono elementi mistici e irrazionali.
- Tratto dalla quarta copertina di Stanislaw Lem, Solaris, edizioni Sellerio 2013. ↩︎
- Andrea De Rosa, brochure dello spettacolo Solaris. ↩︎
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