La bellezza dell’abbandono, la Casina Vanvitelliana tra nostalgia e realtà.

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Un lungo ponte in legno che si erge sul lago Fusaro, nel comune di Bacoli, ci conduce in quella che è conosciuta come, secondo una leggenda partenopea, la «casina della Fata Turchina».
E’ erroneamente diffusa, infatti, la convinzione che si tratti della stessa casa-palafitta della Fata Turchina di Pinocchio di Comencini, del 1972. Ma non è così. La Casina Vanvitelliana è, in realtà, una delle opere più raffinate ed eleganti dell’arte architettonica settecentesca – una meraviglia prettamente partenopea.

Costruita per volere borbonico, all’inizio scarsamente abitata, a partire dal 1752, la riserva del Fusaro divenne locus di caccia e pesca per la famiglia dei Borboni.

La commissione dell’opera, per volere di Re Ferdinando, fu affidata a Luigi Vanvitelli e completata in un secondo momento dal figlio Carlo, il quale non tradì l’idea originaria del padre di realizzare uno dei paesaggi più suggestivi e romantici di sempre, per le più alte casate reali di allora. Un lascito che ancora oggi possiamo ammirare e visitare.

Dal punto di vista architettonico l’opera di Vanvitelli presenta una pianta molto articolata: tre corpi ottagonali che si sommano l’uno con l’altro, restringendosi in una pagoda contornata da grandi vetrate. L’interno, per aggiungere un ulteriore tocco di incanto e bellezza, è decorato da numerose opere d’arte, tra cui ricordiamo quelle dell’amico e artista di Vanvitelli, Jakob Philipp Hackert.

Il fascino della Casina però non termina. Difatti, la piccola villa, è stata costruita su uno specchio d’acqua formatosi con la chiusura del tratto di mare tra Cuma e Torregaveta – il Lago Fusaro – conosciuto anticamente come Acherusia Palus: la palude infernale formata dal fiume Acheronte.

Venne scelta come dimora di personaggi illustri, quali Francesco II d’Asburgo-Lorena, accolto nel maggio del 1819. Ma anche Mozart, Gioacchino Rossini e il Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi.

E’ stata set di opere cinematografiche antiche quali Ferdinando e Carolina, di Lina Wertmuller nel 1999, Luca il contrabbandiere di Lucio Fulci nel 1980 e L’imbroglio nel lenzuolo di Maria Grazia Cucinotta nel 2009.

Baciata dalle luci calde del tramonto, la Casina è uno dei paesaggi più romantici e suggestivi del settecento, nonostante l’abbandono e la poca cura dalle amministrazioni locali. Il suo mantenimento, infatti, è soltanto merito di volontari che hanno lottato per anni, affinché la villetta non venisse abbandonata del tutto. Molte delle opere al suo interno, nel corso del tempo, sono state perdute dopo i moti del 1799, che diedero vita alla breve repubblica Napoletana.

Andarono tristemente perduti anche i dipinti del tedesco Hackert. Soltanto uno fu fatto salvo: Ferdinando IV a caccia di folaghe nel lago Fusaro, consegnato ed esposto al Museo di Capodimonte, a Napoli.

E’ possibile passeggiare nel parco vanvitelliano ammirando la Casina da lontano, ma per chiunque volesse vivere un momento magico tra passato ed incanto, gli orari di visita del complesso variano tra le tre e le cinque del pomeriggio, soltanto di venerdì e sabato.

Lasciata sola a se stessa per un secolo e mezzo, la dolce Villa di Vanvitelli riesce a conservare quel fascino magistrale che soltanto l’arte sa tenere stretto a sé. Paradossalmente a come si possa credere, il suo stato d’abbandono è capace di conferire percezione di vita e di vissuto, conferendo verità ad un’opera immortale nel tempo, ma allo stesso modo, assolutamente mortale, fra polveri e fantasmi di un passato oramai lontano, ma non dimenticato.

Possiamo dunque percepire ricordi di un passato che non abbiamo mai vissuto ma che diventa reale, passo dopo passo, su quel ponticello in legno.

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