Guida completa al referendum dell’8 e 9 giugno: i cinque quesiti, come si vota

Tempo di lettura: 8 minuti

Quest’anno, nei giorni 8 e 9 giugno, il popolo italiano è chiamato a votare su 4 quesiti collegati al diritto al lavoro ed un quesito sul tema delle procedure per ottenere la cittadinanza italiana al di fuori del diritto di nascita (o ius sanguinis) per coloro che non sono nati da genitori italiani, ma vivono in Italia da molti anni.

Grande pregnanza hanno i primi quattro quesiti in quanto, giova ricordarlo, l’art. 4 della Costituzione recita: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.

La Repubblica, quindi, non calpesta, ma tutela il lavoro, quale diritto, le sue condizioni e la giusta retribuzione (art. 36 Cost.).

Il referendum abrogativo, in questo contesto, rappresenta il potere del popolo sovrano di decidere per sé stesso al di fuori delle logiche parlamentari.

Non a caso, il referendum popolare previsto dall’art. 75 della Costituzione rappresenta il principale argine al potere politico ed il principale strumento di democrazia diretta presente nel nostro ordinamento e, in questa occasione, permetterà a tutti gli italiani di decidere su tematiche molto rilevanti della vita sociale.

Il quinto quesito, poi, interviene in materia di cittadinanza e, per quanto esso sia di argomento differente dai primi quattro, nondimeno esso avrà un importante eco nel modo in cui le persone che giungono in Italia possono diventare cittadini al pari di coloro che saranno chiamati a votare.

In quest’occasione, come in tutte le votazioni referendarie, il potere di decidere non è “delegato” al Parlamento, ma assunto dall’intero corpo elettorale che potrà, con la giusta consapevolezza, plasmare il proprio futuro.

Questa guida rappresenta un mezzo per informare gli elettori dei temi che saranno discussi con il prossimo voto.

I QUESITI

Quesito 1: Licenziamenti illegittimi e reintegro nel posto di lavoro

Testo 

«Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, come modificato dal d.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018, n. 96, dalla sentenza della Corte costituzionale 26 settembre 2018, n. 194, dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145; dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, dal d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40; dalla sentenza della Corte costituzionale 24 giugno 2020, n. 150; dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147; dal d.l. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79 (in G.U. 29/06/2022, n. 150); dalla sentenza della Corte costituzionale 23 gennaio 2024, n. 22; dalla sentenza della Corte costituzionale del 4 giugno 2024, n. 128, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?»

Spiegazione

Il primo quesito del referendum sul lavoro riguarda il Decreto legislativo n. 23/2015 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti).

A partire dal 2015, con l’introduzione del Jobs Act, nelle aziende con più di 15 dipendenti, per i lavoratori assunti a tempo indeterminato non è più previsto il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, salvo in casi eccezionali, come ad esempio quelli legati a motivazioni discriminatorie. In tali situazioni, la legge prevede esclusivamente il riconoscimento di un indennizzo economico, calcolato in base all’anzianità di servizio.

Il quesito propone di abrogare questa norma e di ripristinare il diritto al reintegro nel posto di lavoro per tutti i lavoratori assunti a tempo indeterminato, nei casi di licenziamento dichiarato illegittimo.

Votando no: La normativa resta invariata e in caso di licenziamento illegittimo non sarà previsto alcun reintegro nel posto di lavoro ma soltanto un indennizzo di natura economica.

Votando sì: La normativa attuale viene abrogata e in caso di licenziamento illegittimo sarà riconosciuto il reintegro nel posto di lavoro.

Quesito 2: Licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese e relativa indennità 

Testo 

«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali” come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: , “compreso tra un” , alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.”?»

Spiegazione

Il quesito riguarda l’art. 8 della Legge n. 604/1966, che disciplina le norme sui licenziamenti individuali. 

Attualmente la disposizione prevede che nelle aziende fino a 15 dipendenti, in caso di licenziamento illegittimo, una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere 6 mensilità di risarcimento. Tale misura massima può essere maggiorata solo in alcuni casi previsti dalla legge in caso di aziende con più di 15 dipendenti.

Il quesito mira ad eliminare il tetto massimo dell’indennità, consentendo al giudice di determinare caso per caso l’importo, senza limiti predefiniti.

Votando no: La norma resta invariata e in caso di licenziamento illegittimo resta la misura massima dell’indennità.

Votando sì: La norma attuale viene abrogata e sarà il giudice a determinare caso per caso l’indennità, senza tetto massimo.

Quesito 3: Contratto di lavoro a tempo determinato, durata massima e condizioni

Testo 

«Volete voi che sia abrogato il d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, avente ad oggetto “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183” limitatamente alle seguenti parti: Articolo 19, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b-bis)”; comma 1-bis, limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “, in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; Articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?»

Spiegazione

Il quesito ha ad oggetto l’abrogazione parziale di alcune norme del Decreto legislativo n. 81/2014 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183), relative alla disciplina del lavoro a tempo determinato introdotte col Jobs Act.

Attualmente, un contratto a tempo determinato può essere stipulato liberamente, senza indicare una causale, per una durata massima di 12 mesi. Se il contratto supera i 12 mesi le causali sono obbligatorie.

Il quesito propone di imporre l’obbligo di specificare una causale anche per i contratti a termine inferiori a 12 mesi e quindi indipendentemente dalla loro durata. Con la modifica proposta, si vuole contrastare il ricorso sistematico e abusivo ai contratti a termine e incentivare forme di lavoro meno precarie e più stabili.

Votando no: La normativa resta invariata e rimane la possibilità di non inserire la causale nei contratti a termine con una durata massima di 12 mesi.

Votando sì: Vengono abrogate parzialmente le norme sopra indicate, e sarà obbligatoria una causale anche per i contratti a termine inferiori a 12 mesi.

Quesito 4: Appalti e responsabilità del committente per infortuni sul lavoro

Testo

«Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, in tema di “Obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione” di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della , legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.”?»

Spiegazione

Il quesito riguarda il Decreto legislativo n. 81/2008 (Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) e in particolare l’art. 26, comma 4 (Obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione). 

In tema di appalti, attualmente la disposizione esclude che il committente (chi affida i lavori) sia responsabile insieme all’appaltatore o il subappaltatore (chi esegue i lavori) in caso di infortuni sul lavoro derivanti da rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. 

Il quesito mira ad abrogare tale eccezione, al fine di estendere la responsabilità anche al committente.

Votando no: La normativa resta invariata e rimane esclusa la responsabilità del committente. 

Votando sì: La norma attuale viene abrogata e il committente diventa responsabile insieme all’appaltatore o al subappaltatore.

Quesito 5: Cittadinanza italiana e tempi di residenza legale in Italia per la richiesta di concessione 

Testo quesito

«Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.” , della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante “Nuove norme sulla cittadinanza”?»

Spiegazione

Il quesito ha ad oggetto l’art. 9 della Legge n. 91/1992 (Nuove norme sulla cittadinanza) che attualmente prevede:

– alla lettera b), che la cittadinanza italiana può essere concessa allo straniero adottato da cittadino italiano dopo il compimento della maggiore età, purché risieda legalmente in Italia da almeno 5 anni successivamente all’adozione.

– alla lettera f), che un cittadino extracomunitario debba risiedere legalmente in Italia da almeno 10 anni per poter fare richiesta di cittadinanza italiana.

Quindi, oggi, un cittadino straniero maggiorenne adottato da un cittadino italiano può richiedere la cittadinanza italiana dopo 5 anni. Con la modifica di questa norma verrebbe meno questa via preferenziale. Tuttavia, in virtù del secondo punto del quesito, per tutti i cittadini extracomunitari il periodo richiesto verrebbe uniformemente ridotto da 10 a 5 anni. 

In sostanza, si avrebbe una semplificazione e un’unificazione del criterio: tutti gli stranieri maggiorenni, come gli adottati da cittadini italiani, potrebbero richiedere la cittadinanza dopo 5 anni di residenza legale, senza più distinzioni basate sulla condizione personale, fermi restando tutti gli altri requisiti richiesti dalla legge.

Votando no: Viene mantenuta la normativa attuale, che prevede 10 anni di residenza legale per la richiesta di cittadinanza da parte dei cittadini extracomunitari (e 5 anni solo per quelli adottati da cittadini italiani).

Votando sì: Vengono abrogate le parti sopra indicate della norma, con la conseguente riduzione da 10 a 5 anni del periodo di residenza legale richiesto per tutti i cittadini extracomunitari maggiorenni che intendono fare domanda di cittadinanza italiana.

QUANDO E COME SI VOTA

Si vota domenica 8 giugno dalle 7:00 alle 23:00 e lunedì 9 giugno dalle 7:00 alle 15:00.

Si riceveranno cinque schede, una per ciascun quesito. Per ogni scheda, si potrà votare “Sì” per abrogare la norma o “No” per mantenerla.

Quorum: per la validità del referendum, è necessario che partecipi almeno il 50% + 1 degli aventi diritto al voto. Non votare, quindi, comporta la scelta indiretta di non far passare le modifiche delle norme esistenti.

PERCHÉ ANDARE A VOTARE

Il referendum rappresenta uno degli strumenti più incisivi e importanti della democrazia diretta. È senz’altro un’occasione per i cittadini di partecipare attivamente alla vita democratica del Paese e incidere su temi che riguardano la loro quotidianità, come il lavoro o i diritti civili.

Votare è un diritto, oltre che un dovere. Quando i cittadini partecipano in modo consapevole e numeroso, la democrazia si rafforza.

Non pensare che un singolo voto conti poco o nulla, perché – come diceva il grande Totò – “è la somma che fa il totale”. E c’è chi, ieri, ha lottato per consentire a noi, oggi, di esprimere il nostro pensiero e di salvaguardare i nostri diritti e le nostre libertà individuali.

Non restare a guardare. L’8 e il 9 giugno vai a votare: fai il tuo dovere, esercita il tuo diritto e fai sentire la tua voce.


Coordinamento editoriale a cura di Giada Ranghi.

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Dottoressa in Giurisprudenza, abilitata alla professione forense, con un Master in Studi e Politiche di Genere. È un'attivista digitale, crea contenuti legali per Chayn Italia, una piattaforma che si occupa di contrastare la violenza di genere utilizzando strumenti digitali, ed è membro della Redazione de Il ControVerso. Scrive su attualità, diritti umani, privacy e digitale, inclusione, gender gap, violenza di genere.
Attualmente lavora nel settore dell'editoria libraria.

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